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Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
PROLOGO
°°°°°°°
Se
all'albeggiare di quell'uggiosa domenica di giugno aveste
attraversato il parco che circondava l'imponente cattedrale di St.
Paul, gigante fra i giganti di Londra, avreste avuto anche voi la
possibilità di vedere Remus Lupin, che seduto su una delle
fredde panchine di cemento del giardino, fissava il vivace zampillare
delle fontane, perso fra l'oscurità dei propri pensieri.
Come
aveva potuto essere così sconsiderato? Come aveva potuto
permettere al suo desiderio di soffocare tutti i suoi più
fermi e radicati principi per un'unica e infinita notte di carezze?
Eppure, aveva ceduto al sorriso malizioso di Tonks, alle sue mani che
sembravano voler marchiare a fuoco la sua pelle ad ogni tocco, alle
sue labbra di whisky che gridavano tutta la passione che erano state
costrette a ingoiare negli ultimi mesi.
Socchiuse
gli occhi ambrati e trasse un profondo respiro. Sirius era morto da
tredici giorni. Tredici precisi, sì. Remus li aveva contati,
se li era sentiti scorrere nella carne e nell'anima, pesanti e
assassini come gli anni che aveva trascorso in completa solitudine.
Sirius era stato il suo migliore amico. Era stato una delle poche
persone che lo avevano sempre sostenuto e accettato, nonostante fosse
a conoscenza della sua delicata condizione. Fin dai primi anni di
scuola, la sconsiderata esuberanza di Sirius Black aveva sempre
compensato la calma e pacata razionalità di Remus Lupin,
dando
origine a un'amicizia che fuorviava dalla normalità, certo,
ma
che era stata in grado di resistere alle più forti tempeste.
Sirius
era stata l'unica spalla su cui Remus avesse mai pianto, e lo rimase
per anni. Né James, né tanto meno Peter, ebbero
mai
l'occasione di assistere alle sue lacrime. Non vi fu nessun motivo
logico a definire questa scelta, semplicemente il destino fece in
modo che Sirius fosse sempre presente quando Remus ne aveva
più
bisogno.
Come
avrebbe dovuto sentirsi, ora, Remus Lupin? Come avrebbe dovuto
reagire alla prospettiva di una vita senza l'ilarità e senza
l'incoerenza dell'amico, senza la spensieratezza di trovarselo
accanto nei momenti meno opportuni, senza il suo modo di essere
così... così, come? Era una domanda che l'aveva
sempre
tormentato, eppure, dopo quasi trent'anni, non era ancora capace di
definire a parole quello che sostanzialmente era Sirius Black.
Avrebbe
dovuto sentirsi abbattuto, frustrato, angosciato? Be',
probabilmente...
Avrebbe
dovuto perdere ogni speranza per il futuro? Be', quella l'aveva persa
da tempo incalcolabile, ormai...
Avrebbe
dovuto sentirsi colpevole, impotente e abbandonato? Be', forse...
E
invece, no. Ripensando all'amico, Remus Lupin si sentiva soltanto un
grande infame. Mentre vedeva Sirius scivolare con grazia oltre al
velo nero che aveva nuovamente distrutto la loro amicizia, mentre la
parte razionale della sua mente assimilava in un lampo
l'insopportabile verità di quella perdita, il suo cuore,
quello che avrebbe dovuto realmente piangere per Sirius, era
ostinatamente concentrato su Tonks, riversa col volto a terra ai
piedi della scalinata di marmo.
E meno
di dieci ore prima, a dodici giorni e dieci ore dalla morte del suo
migliore amico, Remus Lupin aveva osato dimenticarsi di lui.
Mentre
la passione esplodeva fra le lenzuola umide, si era scordato di
Sirius.
E si
era scordato di essere vecchio.
E di
essere povero.
Si era
scordato di essere un lupo mannaro.
Per
un'unica, infinita notte di carezze, era stato semplicemente un uomo
innamorato.
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L'aroma
inebriante del caffè risalì lentamente le scale
di
Grimmauld Place e si soffermò pensieroso davanti alla grande
porta di frassino in fondo al corridoio.
L'aroma
inebriante del caffè pensò che forse non era il
caso di
disturbare l'inquilina della stanza, strappandola così al
dolce abbraccio del sogno.
Purtroppo
per lei, il caffè non si soffermava mai troppo a pensare.
Scivolò sotto la porta e circondò lentamente la
stanza,
avvicinandosi sempre di più alla ragazza addormentata fra le
lenzuola.
“Mmm...”
mugugnò, captando la presenza del caffè con
l'olfatto.
Ninfadora
Tonks sorrise placidamente nel dormiveglia, improvvisamente colpita
da un'ondata di immane felicità.
Quanto
aveva desiderato sentire le mani di Remus scorrerle sul corpo? Quanto
aveva sognato di poter assaporare quelle labbra sottili?
Si
voltò su un fianco, stringendosi nelle lenzuola, e quando si
decise ad aprire gli occhi, sussultò.
Si
rizzò a sedere, lasciandosi sfuggire un gemito. I Guaritori
le
avevano detto che si era perfettamente ripresa dalla battaglia
nell'Ufficio Mistero, ma di tanto in tanto, il ventre le si
riaccendeva di lancinanti fitte.
Fissò
sconvolta il posto vuoto accanto a lei per diversi minuti. La
metà
del letto dove avrebbe dovuto trovarsi lui, era perfettamente
sistemata, copriletto compreso. Ninfadora Tonks non poteva credere ai
suoi occhi; quell'uomo era così preciso da rifare
addirittura
la sua metà del letto, (in maniera perfetta e impeccabile,
oltretutto), mentre lei era beatamente addormentata!
Ispezionò
con lo sguardo il resto della stanza: i suoi vestiti erano finiti in
posti impensabili, ma gli indumenti di Remus erano spariti con il
proprietario.
L'aroma
inebriante del caffè rise di gusto fissando l'espressione
offesa sul volto pallido di Tonks, mentre afferrava la propria
biancheria e con un gesto spazientito si rivestiva.
°°°°°°°
“Qualcuno
sa dov'è andato Remus?” chiese Molly Weasley
mentre versava
il caffè ancora bollente nella tazza del marito,
completamente
eclissato dalla Gazzetta del Profeta. “Di solito è
il primo
a svegliarsi”.
“L'ho
visto uscire presto, stamattina” rispose suo figlio Bill.
“Saranno
state le cinque, forse sei...”
“Povero
Re-” si bloccò, lanciandogli improvvisamente
un'occhiata
sospettosa. “Ma che ci facevi in piedi alle
cinque-forse-sei?”
“Ehm...
mi stavo vestendo” balbettò Bill. ”Devo
andare alla
Gringott, e... “
“Di
domenica, Bill?” chiese a bruciapelo la madre.
“Be',
sì... ti ricordi di Fleur Delacour? La ragazza di
Beauxbatons
che partecipò al Torneo Tremaghi con Harry? Ecco, ora lavora
alla Gringott, ma ha problemi con l'inglese,
perciò...”
infilò tutto quello che rimaneva della brioche in bocca.
“Percò
lelo inseno io”
concluse,
sputacchiando briciole sulla tavola candida.
“Bill
Weasley! Non parlare con la bocca piena! Non è buona
educazione!”
“Buongiorno
a tutti... “
Molly
Weasley staccò lentamente gli occhi dal figlio per guardare
Tonks.
“Buongiorno,
Tonks, cara. Dormito bene? Preferisci pancetta, bacon, frittelle o
brioches?”
Tonks
ci pensò un istante. “Mmm... frittelle!”
Molly
sorrise deliziata e riprese a destreggiarsi con i fornelli.
“Avete
visto Remus, questa mattina?” chiese Tonks, mentre afferrava
al
volo la sedia che aveva urtato nel pericoloso tentativo di sedersi.
Sperava con tutta sé stessa che la sua voce non tradisse
nulla.
“Bill
l'ha visto uscire presto, questa mattina” rispose Arthur, di
cui
Tonks riusciva a vedere solo i capelli rossi oltre la prima pagina
della Gazzetta.
Bill
Weasley lanciò un'occhiatina furba in direzione della
vecchia
compagna di scuola. “Perché ti
interessa?”
Tonks
intravvedette con la coda dell'occhio un ciocca di capelli farsi
più
rossa. La afferrò con un gesto deciso e sorrise
nervosamente.
Era consapevole che se Molly Weasley fosse venuta a conoscenza di
quello che aveva fatto con Remus, a poche stanze dalle camere dei
figli minorenni, né lei, né tanto meno il suo
amante,
sarebbero vissuti a lungo per raccontarlo.
“Facevo
per parlare, Bill, tutto qui...” rispose, con il suo migliore
tono
da "niente di che". Peccato non sembrasse sortire l'effetto
desiderato. Bill la guardò di sottecchi per tutta la durata
della colazione, sogghignando di tanto in tanto e facendo gesti
ambigui tutte le volte che Molly si voltava verso i fornelli.
“Bill...”
sussurrò Tonks all'orecchio dell'amico, in modo che nessuno
potesse sentirla, “come fa la francesina a
sopportarti?”
Lui la
guardò terrorizzato, si picchiò la fronte e
gridò,
alzandosi di scatto: “Fleur! Merlino, mi sono dimenticato di
Fleur!”
Afferrò
un'ultima brioches - la quinta, per l'esattezza - e si
precipitò
verso la porta, salutando con un gesto i genitori.
“L'ho
visto andare verso la cattedrale di St.Paul“
mormorò Bill a
Tonks, con un sorriso affettuoso, prima di sparire con un fruscio del
mantello.
°°°°°°°
Se in
quell'uggiosa domenica di giugno aveste attraversato il parco che
circondava l'imponente cattedrale di St. Paul, gigante fra i giganti
di Londra, avreste avuto anche voi la possibilità di vedere
Ninfadora Tonks, mentre cercava con lo sguardo Remus Lupin. Lo
intravide in pochi minuti, seduto su una panchina, intento a fissare
il vivace zampillare delle fontane.
Si
avvicinò lentamente a lui, cercando di riordinare
mentalmente
le parole più adatte "da dire o non dire" in una
simile situazione. Aveva già fatto molti progressi, quando
lui
alzò lo sguardo e la vide. Il cuore di Remus Lupin fece un
salto.
“Ciao”
mormorò Tonks, non appena si fu avvicinata abbastanza.
“Posso
sedermi?”
Lui la
guardò un attimo, apparentemente perso nelle sue parole e
fece
un cenno col capo.
Rimasero
in silenzio diversi minuti. Lui, con gli occhi ancora incollati al
danzare dell'acqua, e lei, intenta a fissarsi imbarazzata le
ciabatte.
Le
ciabatte!?
“Non
è possibile!” strillò improvvisamente.
Remus
sobbalzò e si voltò rapido verso di lei. Voleva
dirle
qualcosa, qualsiasi cosa, ma sembrava che la sua bocca si fosse
tramutata in granito.
I
capelli di Tonks iniziarono a farsi più ardenti.
“Mi sono
dimenticata le scarpe...“ grugnì con un buffa
smorfia,
squadrandosi abbattuta le ciabattine rosa shocking.
Remus
non avrebbe dovuto ridere. Non avrebbe dovuto, e non avrebbe voluto.
Non in quel momento, almeno, ma quella ragazza era incredibile.
Nonostante il suo autocontrollo e la sua razionalità ce la
mettessero tutta, lei faceva o diceva sempre qualcosa che accendeva
in lui una scintilla di pazzia, una sorta di varco nella sua anima
che solo lei riusciva ad aprire, un varco che Remus, da solo, non
sarebbe mai riuscito ad attraversare.
Tonks
scoppiò a ridere a sua volta, e Remus desiderò
immensamente che non smettesse mai. Un silenzio nervoso
aleggiò
fra di loro per i minuti successivi. Tutte le frasi più
adatte
"da dire o non dire" che Tonks si era preparata, sembravano
essere fuggite dalla sua mente, nel momento stesso in cui si era
seduta accanto a lui. Alzò gli occhi, e lo trovò
ancora
concentrato sulla fontana. Guardò le sue labbra, e chiuse
gli
occhi per evitare di saltargli addosso.
Per
tutte le Banshee, ti voglio!
“Ninfadora,
dobbiamo parlare” disse, improvvisamente.
Lei
riaprì gli occhi e poté incrociare quelli ambrati
di
lui. Respirò profondamente, cercando di mantenere la calma.
”Remus,
se non ti bacio ora, credo che impazzirò” proruppe
lei,
senza riuscire a fermarsi. Le loro labbra si sfiorano per un
brevissimo, intenso attimo, nel quale Tonks poté perdersi
nel
profumo dell'uomo.
“Ninfadora,
ti prego... devi ascoltarmi”.
Tonks
sgranò gli occhi. Remus la stava supplicando.
“Remus,
cosa c'è?”
Lui
abbassò gli occhi, appellandosi al Grifondoro assopito
dentro
di lui.
“Non
posso”.
La
giovane lo fissò senza capire. “Non puoi... fare
cosa?
“domandò, chiedendosi se davvero voleva conoscere
la
risposta.
“Non
posso permetterti di amarmi”.
La
forza di quelle parole la investì in pieno, e Tonks
sentì
il suo cuore strizzarsi come uno strofinaccio usato.
“Che
significa che non puoi permetterlo?”chiese. “Non
è il tuo
permesso che voglio “.
Remus
si decise a guardarla, gli occhi che luccicavano di una fiera
determinazione.
“Ninfadora,
sono vecchio e povero. E malato. Non posso lasciarti sprecare la tua
vita con uno come me”.
L'espressione
che comparve sul volto di Tonks non avrebbe potuto essere
più
chiara. Era completamente incredula.
“E
questo
sarebbe
il problema?” domandò, divertita. “Tutto
qui?”
Lui la
fulminò con un'occhiata, e lei trasalì.
“Remus,
non riesco a capire dove tu veda il problema”
sbottò.
“Sono
vecchio, Ninfadora...”
“Non
lo sembravi, questa notte!”
“E
povero...”
“E
credi davvero che a importi?”
“Ninfadora,
dannazione! Sono un lupo
mannaro!”
“E a
me non importa un accidente, Remus!” strillò la
ragazza,
ormai al colmo della sopportazione.
Remus
sorrise malinconico. “So che non riesci a capire, ma credimi.
È
meglio per entrambi”-
“È
meglio... per entrambi...“ ripeté Tonks, fissando
sconvolta
il vuoto. “No, Merlino, non è meglio per entrambi!
Non è
meglio per nessuno!” esclamo tutto d'un tratto, alzandosi in
piedi
e fissando Remus furibonda.
“Cos'è
stato per te questa notte, Remus? Guardami negli occhi, e dimmi
cos'è
stato per te!” aggiunse, afferrandolo per il bavero della
giacca.
Remus
rimase spiazzato. È vero... cos'aveva significato per lui
quella notte?
La
debolezza di un momento? Il piacere del divertimento? Cos'era stato?
“È
stato un errore,
Ninfadora. Soltanto un errore”
mormorò
con voce roca, senza sapere se credeva o meno alla risposta che aveva
dato.
La
presa di lei si allentò improvvisamente, le braccia
cadettero
lungo i fianchi, le labbra si strinsero in una sottile linea di
rabbia, e gli occhi si riempirono di lacrime di furia.
Tirò
sul con naso, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Stai
mentendo,
Remus Lupin. Te lo leggo in faccia”.
Le sue
parole furono accompagnate dall'eco di un tuono lontano, mentre
lentamente, iniziò a piovigginare.
“Io
ti amo. E nulla in questa vita potrà impedirmi di amarti,
Remus”.
Ninfadora
Tonks si voltò, e se Remus Lupin non fosse stato intento a
maledire tutti gli angeli del Creato, si sarebbe certamente accorto
che la pioggia, scivolando fra i capelli di lei, li aveva tinti di
grigio.
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