Lady,
where has your love gone?
Assordante.
Il rumore lì dentro era semplicemente assordante. Eppure il
silenzio lo era ancora di più e non c'era niente che lei
potesse fare per metterlo a tacere.
Aveva
provato a circondarsi di amici e di facce allegre, ma per un motivo o
per un altro nessun rimedio etichettato come infallibile aveva
funzionato.
C'era
quel taglio nell'anima che non voleva saperne di ricucirsi.
“Io
adoro il campeggio. Beh sai, in Canada ci passo ogni estate in
campeggio. Sarebbe divertente farlo con voi due. Dovremmo davvero
pensarci.” Kyle sorrise e lei si sentì ancora peggio.
Fuori
pioveva e Londra risplendeva, come annegata nelle sue stesse lacrime.
“A
me fa schifo il campeggio.” disse e nessuno osò
controbattere.
Jill
soltanto ridacchiò e si sbrigò a cambiare argomento.
Era strana, Jill.
A
volte sembrava celare chissà quale grosso mistero dietro le
iridi color nocciola, altre sembrava limpida come un laghetto di
montagna. In Germania ce n'erano tanti di quei laghetti e Jill
rispecchiava la sua terra natia come e meglio ancora di un romanzo
scritto a fior di labbra.
La
barista dai capelli rosa si avvicinò a loro, portando tra le
mani una pila enorme di bicchieri sporchi “Scusate ragazzi,
devo passare” e si spostarono, lasciandola passare fra di loro
e per un attimo soltanto lei socchiuse gli occhi ed immaginò
di trovarsi ancora a chilometri di distanza.
Eppure
si era detta che non sarebbe successo mai più. Sì,
esattamente quello.
Quel
fantasticare perenne senza meta, quel battito di ciglia rapido e
infelice. Quel palliativo alla sua malattia incurabile dell'anima.
Dove,
dove devo andare? Pensò
ancora una volta e si maledisse perchè loro, le lacrime, erano
sempre lì in agguato.
Si
sbrigò a finire la sua Carlsberg al sapore di pioggia - o
forse era soltanto la vista al di fuori delle vetrate scure
dell'Hawley a darle quel retrogusto di terra bagnata? - e poi si
voltò.
Si
voltò una, due, tre volte.
E
lo vide.
Nascosto
dietro un sorriso triste, di quelli che ti pungono gli occhi per il
fiume di lacrime che vorresti versare quando niente nel tuo mondo va
per il verso giusto.
La
giacca di pelle nera, era sicura che profumasse di pioggia. Se
aguzzava la vista poteva anche scorgere le gocce ad imperlarne le
spalle.
Beveva
qualcosa di scuro, scuro come le pareti retrostanti. E sorrideva di
nuovo. Stavolta non più triste, però.
Sorrideva
a lei e per un secondo, un secondo soltanto, il taglio nell'anima si
ridusse.
“Dov'eri?”
le chiese lui, avvicinandosi.
“Sono
sempre stata qui. Dov'eri tu piuttosto?”
“Sono
appena arrivato, scusami.”
Ma
lei l'aveva già perdonato. Ancora prima che lui aprisse bocca.
“Come stai?” e quel sorriso lei non voleva dimenticarselo
mai più.
Anche
se sapeva che poteva farle male più della cicatrice che aveva
sul ginocchio, quando da piccola correndo per le scale di casa se
l'era aperto letteralmente in due.
Quel
sorriso poteva aprirle l'anima in due, e quel taglio che si portava
dentro avrebbe finito per risucchiarla dentro di sé per
sempre.
“Sto
bene, grazie.” disse, e in quel momento si rese conto di essere
davvero sincera.
“Vieni,
ti offro da bere” e la condusse di nuovo al bancone.
A
Jill piaceva. Piaceva da morire. Era stata lei a convincerla ad
accettare il suo invito. “Devi uscirci! Devi farlo per me.”
E
lei l'aveva fatto. Nonostante la sua naturale diffidenza verso
l'ignoto l'avesse fatta titubare fino all'ultimo.
“Non
voglio casini, Jill. Non ora che gli esami sono così vicini.”
“Maddai.
Il ragazzo stravede per te, si vede lontano un miglio. Dagli una
possibilità.”
Era
stata restia quel pomeriggio a casa, mentre parlando con la sua
migliore amica Vee in Erasmus in Italia, aveva scelto cosa mettersi.
“Non
ho bisogno di nessuno, io. Lo sai, no?”
“Ma
certo, splendore. Hai solo bisogno di divertirti, infatti.”
“Una
birra veloce e torno a casa, lo giuro.”
Quella
birra veloce si era rapidamente tramutata in un Jack&Coke
ghiacciato. Proprio come gli occhi di lui, mentre la fissavano da
sopra il bicchiere il momento stesso in cui l'aveva fatto scontrare
con il suo.
“Così
sei una East Ender.” rise un po'. Un po' per prenderla in giro,
un po' perchè era sinceramente divertito.
“Sì.
E non c'è niente di divertente in questo, sai? Ho le buste
della spazzatura a coprire le mattonelle dietro la vasca da bagno. E
una foresta amazzonica al posto di un backyard. La prossima volta che
daremo una festa, sarai il primo ad essere invitato.”
Risero
insieme stavolta e qualcuno si girò a guardarli.
Forse
avevano attirato qualche sguardo indiscreto. Forse la mano di lui
sulla schiena di lei era stata indicativa.
“Perchè
non cambiamo posto?” chiese Kyle, chiaramente annoiato,
interrompendoli bruscamente e Jill intervenne a tirarlo per un
gomito.
“Oppure
possiamo semplicemente restare qui.” disse.
“No
va bene, cambiamo”.
Aveva
paura. Se ne rese conto, perchè non riusciva a sostenere lo
sguardo di lui per molto tempo. Aveva paura di scorgervi dentro quei
pezzi mancanti di se stessa, probabilmente.
E
così si ritrovarono fuori, di nuovo sotto la pioggia eppure
stavolta non era più freddo. Non sentiva il bisogno di
stringersi nella sua così fuori stagione giacca di jeans di
Primark.
E
poi si rese conto che era perchè lui le aveva di nuovo messo
il braccio attorno alle spalle.
“Voglio
sapere cosa ci fai qui, in questo posto del cazzo. Ti prego,
dimmelo.”
“Non
è un posto del cazzo, è il posto migliore del mondo.
Ecco perchè sono qui.”
Un
mezzo sorriso, di quelli belli ma belli da morire. “Forse hai
ragione. Londra è il centro del mondo. Nemmeno io vorrei
lasciarla mai.”
Camminarono
così, l'uno accanto all'altra per tutta Camden High Street ed
improvvisamente smise anche di piovere e si accorsero di essere
rimasti indietro. Solo loro due, e i loro sogni e le loro parole
ingombranti.
Si
chiese dove fossero finiti Kyle e Jill e poi si rese conto che non le
importava davvero.
Lo
guardò, senza farsi scorgere e la sua giacca di pelle brillava
adesso, sotto la luce fittizia dei lampioni.
“Mi
mancano le stelle, sai? Dal tetto di casa mia riuscivo a scorgerne a
migliaia, all'infinito. E mi sentivo bene.”
“E
adesso?” le chiese lui, nonostante sapesse già la
risposta.
“Non
stavo davvero bene, però” continuò lei, fingendo
di ignorare la sua domanda.
Camden
High Street era diventata Chalk Farm Road e nessuno dei due aveva
intenzione di fermarsi, lo sapevano entrambi, lo sapevano i sassi
sotto di loro e quelle stelle invisibili sopra le loro teste.
E
poi qualcuno li fermò.:“Carta d'identità,
signorina” un buttafuori grosso e scuro bloccò il loro
passaggio e solo allora si resero conto di essere arrivati al pub
dove tutti gli altri li stavano aspettando da chissà quanto
tempo.
Gente
ubriaca e felice o triste e disperata. Un campionario nauseante come
l'odore di alcohol impregnato fin dentro le crepe del soffitto.
Dobbiamo proprio stare qui? Si
chiese lei.
Odiava
Joe's. L'aveva sempre odiato e detestava essere lì con lui.
Eppure si rassegnò a cercarlo dentro quella folla delirante.
Jill
l'afferrò per un braccio e la trascinò verso di sé.
Era già ubriaca e si reggeva a malapena in piedi. Stringeva
una pinta di birra fra le mani e Kyle le portava la borsa.
“Finalmente!”
rise prima di venire sospinta nuovamente tra la folla.
Sospirò
e si spostò i capelli su una spalla.
Una
birra e me ne vado pensò
e poi una mano calda come il sole di settembre scivolò attorno
alla sua, intrecciando le dita alle sue e trascinandola verso lo
sconosciuto proprietario.
Si
guardarono senza parlare, incuranti dell'orrida musica attorno a loro
e delle facce anonime e delle grida al sapore di whisky e gin e di
Jill e delle sue occhiate maliziose e di quelle due ragazze bionde
che avevano messo gli occhi su di lui all'Hawley e che l'avevano
seguito anche lì dentro.
Si
guardarono e davvero non c'era bisogno di parlare, perchè
nessuna parola sarebbe mai stata in grado di riempire quel vuoto
delle rispettive anime. Quel taglio che in quel momento a lei
sembrava essere scomparso.
Si
guardarono e si baciarono.
E
il silenzio assordante che si portava dentro esplose in frammenti di
stelle. E di millemila cose ancora senza nome. Lo baciò come
non aveva mai baciato nessuno in vita sua. Come se poi non potesse
esistere nient'altro. Come se fosse rinchiusa in un negozio di
caramelle a 5 anni e potesse fare man bassa di orsetti gommosi al
lampone. Lo baciò e per un attimo si scordò di essere
un casino sconclusionato.
Per
una volta, una volta soltanto nella sua vita fu sicura, senza nessun
tipo di dubbio, di essere dove avrebbe sempre dovuto essere. Con chi
avrebbe sempre dovuto essere.
E
poi lui si allontanò e la guardò negli occhi e sorrise
e le chiese se stesse bene e come avrebbe mai potuto fargli capire
esattamente quanto si sentiva bene?
Restò
in silenzio invece, abbassando semplicemente lo sguardo perchè
davvero l'intensità di quegli occhi
color smeraldo era atroce e sorrise a malapena. E lui la baciò
nuovamente.
E
poi un'altra volta. E un'altra ancora. E nessuno dei due sembrava
intenzionato a smettere.
E
a lei venne in mente un'estate di tre anni prima quando si era
svegliata con una sensazione acuta all'altezza dello stomaco per un
sogno che aveva fatto, un sogno che le era sfuggito del tutto ma di
cui ancora conservava il sapore estatico di qualcosa che è
scritto nel destino. E in quel momento, confusa fra la giacca di
pelle di lui e la parete di marmo alle sue spalle, lei seppe che quel
sogno si era avverato.
“Voglio
conoscerti” le disse poi lui.
“Sei
troppo alto per me” rispose lei, cercando di scherzare. Perchè
sapeva che il taglio nell'anima non se n'era ancora andato.
Lui
scosse la testa e si abbassò in ginocchio, facendola ridere.
“Adesso va meglio?”
“Molto.”
“Bene.
Adesso ci vieni a casa con me?”
E
a lei venne in mente che sarebbe potuto finire tutto l'indomani. E
che comunque si era stancata delle regole. E anche di una vita che in
fin dei conti le era sempre andata troppo stretta.
Ma
comunque rispose che no, non c'andava a casa con lui. Che la sua
amica Jill si sarebbe preoccupata e che il suo coinquilino le avrebbe
dato il tormento l'indomani per i dirty details.
Solo
che commise l'errore di guardarlo nuovamente negli occhi e lì,
fra le sopracciglia arcuate e un accenno di sorriso perplesso, si
rese conto che quel ragazzo assurdo, per qualche motivo ancora più
assurdo voleva davvero conoscerla.
Come
non aveva mai voluto fare nessuno.
Stavolta
fu lei a baciarlo, stringendosi stretta contro il suo petto e
respirando a pieni polmoni il suo profumo muschiato.
“Non
devi fidarti di me, figurati. Devi solo venire a casa con me. Tutto
qui” continuò lui poi.
“Non
mi fido di te, infatti.” e nonostante volesse convincersi delle
sue parole, si rese conto che qualcosa di lui le ispirava fiducia
invece. Qualcosa di indefinibile, certo. Ed inafferrabile anche. Ma
comunque fu quel qualcosa a farle dire che d'accordo sarebbe andata a
casa sua per una birra punto e basta.
“Una
birra punto e basta.” le fece eco lui. “Sembra
ragionevole.”
Pioveva
di nuovo per strada e lui la prese per mano, portandosela un po' più
vicina.
“Ho
un ombrello sai?” disse lei, cercando nella sua grande borsa.
“Cosa
aspettavi a dirlo?”
“Mi
piace camminare sotto la pioggia.”
“Anche
a me. Ma questa è un po' più di una semplice pioggia,
non ti pare?”
Risero
tutti e due e il taglio davvero sembrava non esserci più.
Chalk
Farm Road tornò ad essere Camden High Street, nonostante il
diluvio attorno a loro rendesse tutto confuso e grigiastro e bagnato
e dolce in un certo qual modo amarognolo.
“Ma
è lontana casa tua?” chiese lei, sperando forse che lui
le dicesse che non esisteva nemmeno una casa, che sarebbero fuggiti
insieme, senza zaini, solo loro due e un ombrello malconcio.
“Pensavo
avessi detto che ti piaceva camminare sotto la pioggia...?” di
nuovo quel tono per metà canzonatorio, per metà
preoccupato che lei potesse prendersela a male.
“Certo
che mi piace. Magari mi piace di più quando non c'è il
diluvio universale ma vabeh. Non si può avere tutto nella
vita.”
“Sai
non dovresti criticare tanto la pioggia. La pioggia è buona.
Sotto la pioggia si possono fare un sacco di cose.” fece lui,
bloccandosi poi all'improvviso, come se fosse stato colto da un
pensiero fulminante e volesse renderla partecipe.
E
lei ebbe a malapena il tempo di rendersi conto che la pioggia era
addirittura aumentata, che le braccia di lui la avvolsero e di nuovo
le sue labbra furono sulle sue, a fondersi un'altra volta ancora con
lei, dentro di lei.
Era
confortante baciarsi così, nel mezzo del nulla, sotto un
torrente di pioggia talmente rumorosa da annientare qualsiasi altro
suono.
L'ombrello
che lui stava reggendo scivolò via e loro si strinsero ancora
di più, come a volersi proteggere dal mondo lì intorno,
uno lo scudo dell'altra.
“Che
clichè, ti prego.” fece poi lei, tornando con i piedi
per terra e raccogliendo l'ombrello finito tristemente sul
marciapiede.
“Baciarsi
sotto la pioggia torrenziale? Sto morendo di freddo.” non
voleva certo essere così dura, ma la paura di farsi male era
tanta ed era imponente e lui lo capì perchè per tutta
risposta le offrì semplicemente la sua giacca. Che lei
puntualmente rifiutò.
Forse
dovrei andarmene adesso pensò
di nuovo lei e lo guardò un attimo, quasi sperando che potesse
dargliela lui una risposta.
“Cosa
devi fare domani?” le chiese, invece.
“Beh...”
cosa doveva fare domani? Avrebbe dovuto studiare, Media Law certo non
aspettava lei. E avrebbe dovuto pulire tutta la cucina prima che
Delilah, la sua coinquilina francese, si svegliasse.
Sarebbe
stato meglio così, in effetti. Ci pensò un attimo e si
voltò, cercando forse quell'N253 direzione Euston che
l'avrebbe ricondotta a casa.
“Non
so come tornare a casa da qui” non voleva dirlo ad alta voce,
ma lo fece e lui la prese per mano “Pensaci domani, stanotte è
solo per noi”
Lo
guardò di nuovo, quel ragazzo strano che veniva da Ladbroke
Grove ma viveva come un rifiuto della working class, e capì
che voleva essere sua e che lui fosse suo.
“Andiamo”
disse semplicemente.
E
lo seguì. Non sapeva dove, non sapeva nemmeno esattamente
perchè. Lo seguì e basta.
Forse
non dovevano per forza esserci delle risposte a tutto, forse era
giusto così e alla fine chi decideva cos'era giusto e cosa
sbagliato?
Si
concentrò solo sulla mano stretta attorno alla sua e smise di
pensare.
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