Chapter
one, The Last Betrayer
Harry teneva un braccio attorno ai
fianchi di Ginny, mentre
si muovevano simultaneamente di alcuni piccoli passi. Non erano dei
grandi
ballerini e la mente del ragazzo era persa a ripercorrere gli istanti
trascorsi
con Silente, avendo la conferma che, sì, l’oramai
deceduto Preside non gli
aveva mai rivelato che anche i suoi genitori avevano visto il
sopraggiungere
della fine a Godric’s Hollow. Questo, infatti, gli aveva da
poco rivelato Elphias
Doge, l’autore di quell’elogio funebre pubblicato
dalla Gazzetta del Profeta. I
due ragazzi, però, si tenevano stretti, resi ancora
più affettuosi nei
reciproci riguardi dalla dipartita di Malocchio.
Quella guerra maledetta, mai come in
quei giorni, li
intimoriva, incutendo nelle loro menti un terrore distruttivo e
totalizzante.
Un erbicida, lanciato al suolo contro gli steli di fragili piante che,
in
futuro, avrebbero potuto generare il tronco di un albero. Un veleno
deglutito a
fatica.
Ron si era allontanato da un paio di
minuti, in cerca di una
Burrobirra o, forse, desideroso solamente che quel matrimonio finisse
presto
per chiudersi nella sua camera a scrivere l’ennesima lettera.
D’amore,
sostenevano Fred e George, non sbagliando.
Continuavano a stare così,
avviluppati dolcemente, godendosi
quell’attimo di tranquillità. Attimo.
A raggiungerli fu, prima, un ruggito
basso e gutturale. Poi,
a pochi metri da loro, videro l’imponente figura di un felino
argenteo: una
lince, fiera della sua muscolatura massiccia, creava scompiglio tra i
ballerini.
La voce di Kingsley Shacklebolt
proruppe tonante, lievemente
incrinata dall’agitazione.
“Il Ministero è
caduto. Scrimgeour è morto. Stanno
arrivando”.
Le loro mani corsero, a causa di una
troppo precoce
abitudine, verso le bacchette, che impugnarono saldamente. Un urlo, in
grado di
rompere anche quell’innaturale silenzio che si era generato,
fece da colonna
sonora al momento in cui il Patronus svanì. Fu il caos.
La piccola Weasley
cominciò a cercare i suoi famigliari,
concertandosi su quello con meno esperienza, dopo di lei, e che, per
ovvi
motivi, era quello che Voldemort voleva catturare: Ron. Lei, la
fidanzata di
Harry, e suo fratello, il suo migliore amico, si trovavano sotto quella
tenda
con un bersaglio lampeggiante attaccato alla fronte. Perché
così il Signore
Oscuro agiva: divide et impera. Lo chiamò, urlando sopra il
clamore della
calca, ma non ottenne alcuna risposta. Intanto, all’apparire
dei primi
Mangiamorte, Lupin e Tonks, spalleggiandosi, produssero
all’unisono un incanto
di Protezione che rispedì al mittente una Maledizione.
Ogniqualvolta qualcuno, nella foga
della fuga, li urtava, le
loro nocche sbiancavano, stringendo la mano dell’altro ancora
più saldamente.
Quando il lampo luminescente di un incantesimo sfrecciò
sopra le loro teste, i
cuori d’entrambi persero un battito: difficile stabilire se
si trattasse di una
fattura, così come era complesso risalire a chi
l’aveva lanciato e verso chi
era diretto.
Vedere Ron ancora vivo fu un
sollievo, il quale, però, durò
il tempo frugale d’un battito di ciglia. La sua bacchetta,
infatti, era
sguainata e si muoveva al ritmo degli affondi di un Mangiamorte
incappucciato e
con il viso coperto da una maschera. Ginny, degna Gryffindor, non perse
tempo.
“Reducto!”
urlò, dopo aver preso rapidamente la mira ed
essersi avvicinata con Harry di alcuni passi. Il fisico
dell’avversario
manifestava l’insolita assenza di una corporatura massiccia
ed imponente, ma,
nonostante ciò, tutto poteva sembrare meno che un novellino.
La sua arma si
mosse con una rapidità tale da far credere loro che non
fosse mai stata agitata.
Il Ragazzo Sopravissuto continuò l’assalto con uno
Schiantesimo, subito seguito
da una Pastoia Total-Body di Ron. Entrambi si infransero su una
barriera
azzurrina, ben più potente di un semplice Incantesimo Scudo.
Questo, però,
offrì la possibilità ad Harry di afferrare
Ron, che si era subito avvicinato ai due, per eseguire
un’affrettata, seppure
corretta, Smaterializzazione Congiunta.
L’ultima cosa che i loro
occhi videro furono le spalle di
quello che era il loro avversario, mentre questo, con passo sicuro, si
faceva
spazio tra i pochi rimasti a colpi di bacchetta, fino a raggiungere il
professor Kennan, già circondato.
***
Quando mancavano poco più
che cento metri alla casa dei
propri genitori, Hermione smise di correre e cominciò a
camminare. Ansimava,
affaticata dal già eccessivo calore di quella giornata,
nonostante fossero
appena le nove del mattino. Lasciò che i suoi troppi
pensieri defluissero dalla
sua testa, come risucchiati in un gorgo, abbandonandola a quello strano
torpore
che prova chi ha la fortuna di poter vivere alcuni istanti di silenzio
mentale.
Non avvertiva nulla, neppure il dolore delle sue gambe stanche, mentre
rientrava verso casa svoltando dolcemente verso destra, dopo aver
percorso una
lunga rete metallica dalle cui maglie sbucavano i rami flessibili,
sebbene
inariditi dall’afa, di una siepe sempreverde. I suoi piedi,
spontaneamente,
seguirono le lastre che andavano a comporre il viottolo, come se
ancora, dopo
anni, stesse giocando a campana con sua padre. Di quell’uomo,
il primo e
l’unico ad averla chiamata principessa, rimanevano solo i
ricordi di una casa
vuota, gli echi delle stanze disabitate ed un pianoforte scordato che
non aveva
ancora imparato a suonare. Là, in fondo, a pochi passi da
lei, la sua unica
luce in quel periodo oscuro la stava aspettando: rimaneva immobile,
seduto
sull’ultimo scalino che dà accesso alla piccola
veranda, troppo stanco anche
per combattere l’implacabile avanzata del sonno.
Così, con gli occhi chiusi e
la testa appoggiata alla parete, sfruttava un angolo d’ombra
per dare alle
proprie membra un poco di riposo. Tra le dita, un sacchetto di carta,
contenente la loro colazione.
Era diventata una tradizione, da
quando il panettiere di
quella piccola cittadina aveva accettato di prenderlo come apprendista.
Così,
dopo il lavoro, che regolarmente cominciava molte ore prima
dell’alba, lui
l’aspettava lì, scomodo sul legno duro di quei
gradini, così che potessero
condividere il piacere di quella colazione con brioche alla marmellata
appena
sfornate.
Passandogli accanto silenziosa, anche
quel giorno fecero il
loro solito gioco: premurosa, Hermione gli passò una mano
tra i capelli e lo
svegliò chiamandolo piano. Tra le sue dita, che non avevano
più la carnagione
chiara della ragazza studiosa, quell’oro, filato da un fuso
stregato, risaltava
di riflessi di miele. Credette di poter quasi vedere la sua espressione
schiudersi in un sorriso, mentre, dopo che lui ebbe ricambiato il suo
buongiorno, andò ad aprire la porta. Cominciarono subito le
loro chiacchiere,
compiendo i pochi metri che li distanziavano dalla cucina: parlavano
del più e
del meno e di quanto, a volte, il meno fosse troppo e il più
troppo poco. Come
d’abitudine, lui si sarebbe seduto sul balcone, lei avrebbe
preso del succo d’arancia
rossa dal frigo e, poi, avrebbero preso a mangiare i loro croissant,
mentre,
tirandola piano per i fianchi, si sarebbe ritrovata tra le sue
ginocchia, ad un
sospiro di bacio.
Era proprio in momenti come questi
che Hermione avrebbe
voluto rinnegare il mondo magico: lei, la Nata Babbana, oramai non
più reietta
della società magica per quell’anello che portava
all’anulare destro, avrebbe
voluto rinunciare a tutti i suoi poteri e alla sua bacchetta, scappando
con lui
da quella Guerra infinita contro il Signore Oscuro che le aveva
sottratto fin
troppo. Perché Christopher Hunt sapeva farsi amare, per quel
suo tocco lieve e per
quel suo modo in cui era in grado di stringerti il viso tra le mani.
Eppure, pur sapendo che non avrebbe
neppure dovuto dare al
tempo la possibilità di tracciare il suo solco, lei non
riusciva a concedersi
quel lieto fine di fiaba che, in fin dei conti, credeva di meritarti.
Da che
era diventata uno degli stendardi del suo battaglione, nulla aveva
senso ai
suoi occhi se non in vista della Guerra. Da che aveva sbattuto la porta
in
faccia a Draco, all’inizio dell’estate, nessuno, se
non lui, avrebbe potuto
rendere realtà quell’utopia che l’amore
era diventato.
Nessuna donna completamente senziente
avrebbe potuto
disprezzare quelle tenerezze che lei e Chris si scambiavano, ma erano
solamente
le coccole di due bambini che si erano giurati amore eterno davanti ad
un
autorevole compagno di classe goloso di merendine, nulla in confronto a
quel
sentimento, ben più vero e reale, che Hermione aveva provato
con Draco. Proprio
quest’aspetto della sua relazione con il Malfoy,
però, era stato il suo più
grande errore, quello che non riusciva ancora a perdonarsi e che, con
buona
probabilità, mai avrebbe potuto superare: la
veridicità di quel loro rapporto,
si era tramutata fin da subito in un bisogno anche carnale, che
l’attesa non
aveva fatto l’altro che aumentare di intensità.
Come un amplesso, fare l’amore
con Draco l’aveva lasciata sfinita, desiderosa solamente di
lui e con il
bisogno sulle labbra d’averlo ancora tutto per sé,
di sentirlo fremere, come accadeva
a lei, sotto le sue carezze.
Tutto era accaduto
all’inizio di quell’estate, con una
spontaneità quasi disarmante, come se i loro corpi non
fossero stati fatti per
altro che toccarsi. Tutto era accaduto una settimana prima che lo
lasciasse.
***
I giorni, dopo aver lasciato
Hogwarts, trascorsero immersi
nella noia e nel dubbio. Le ore, quindi, trascorrevano piano, come se
tra le
sue mani vi fosse una spessa corda di canapa con cui qualcuno la stava
costringendo a trascinare un grosso masso. Continuava a salire rupi, le
cui
vette parevano irraggiungibili e, quando pochi passi la distanziavano
dalla
tanto agognata meta, qualcosa andava storto e la pietra cominciava a
rotolare,
senza che lei nulla potesse fare se non seguirla fino a valle.
Così si sentiva
Hermione, non capendo quale fosse l’ostacolo che non era in
grado di superare
per poter finalmente superare il traguardo. Continuava a cadere nei
suoi stessi
errori, negli stessi pensieri che non la conducevano in alcun luogo, in
quelle
frasi che le erano state confidate con ovvi secondi fini. E negli occhi
di
Drew, nella sua sicurezza, nella sua caparbietà, nella sua
folle e geniale
strategia d’attacco.
“Purtroppo” aveva
continuato, aggiungendo altre informazioni
a quelle che, dopo quella chiacchierata nel suo ufficio, Hermione
avrebbe
dovuto affrontare e digerire “una guerra non si vince solo
con i duelli e con
le guerre. E non bastano neppure ideali saldi e piena convinzione in
questi. Ci
vuole dell’altro: l’astuzia”. Lei, si era
limitata ad annuire, intuendo forse
dove quel discorso sarebbe volto, ma rifiutandosi di semplificare le
cose al
giovane uomo che aveva dinnanzi. “Silente si fidava
completamente di Piton, ma
lui era un traditore e lo ha ucciso. Ora l’Ordine della
Fenice non ha più un
leader, Hogwarts ha perso la propria guida e non abbiamo la
benché minima idea
di quante e quali informazioni sono giunte all’orecchio del
Signore Oscuro” la
sua pausa, ben studiata, ottenne l’effetto desiderato:
aprirle gli occhi.
“Hermione, oggi non abbiamo
perso solamente una delle tante
battaglie della guerra! Oggi il nostro migliore plotone di uomini
è stato
sterminato!”
Dal punto di vista di Drew,
così come da quello di chiunque
fosse in grado di estraniarsi dai drammi personali per avere una
visione
d’insieme più ampia, la situazione non era ancora
tragica, ma poco ci mancava.
La vittoria s’era fatta miraggio, così come la
sconfitta, morso di vipera, aveva
già messo in circolo il proprio veleno: la
società magica, anche nei suoi
capillari villaggi, si stava tingendo del colore della paura. Tutto si
era già
ridotto ad un timoroso vociferare, i negozi venivano chiusi prima che
il sole
tramontasse e nessuno, oramai, osava uscire di casa la sera. I
pettegolezzi, infatti,
dicevano che i Mangiamorte stessero progettando delle violente retate.
Così, lei aveva trascorso
quella prima settimana lontana da
Draco in una solitudine pressoché completa, se escluse le
poche visite del suo
vicino Chris che, nonostante i suoi continui rifiuti, continua a
riempirla
d’attenzioni. Lei, però, imperturbabile e troppo
innamorata, si limitava a non
calcolarlo, dandosi alla lettura degli ultimi libri che il professor
Kennan le
aveva suggerito e rispondendo alle sempre più frequenti
missive del suo
fidanzato. Le capitava spesso, inutile negarlo, di sorridere, mentre
scriveva
poche parole alle domande a volte troppo insistenti del Malfoy,
rigirandosi tra
le dita quel piccolo ciondolo a forma di “D” che
pendeva dal suo braccialetto.
Quel giorno, non era cominciato poi
in maniera differente
dagli altri. Se ne stava seduta sulla sua sedia a dondolo, regina
indiscussa
del porticato di casa sua, con un libro pesante che sfogliava distratta
ed una
coperta leggera in grado di ripararla dal vento di quella giornata di
temporali
estivi. La pioggia, scrosciante, le faceva compagnia.
Sbucò dal nulla, mentre,
camminando lungo il viottolo di
casa sua, si avviava verso di lei con passo sicuro e deciso.
“Hey, ti sono
mancato?” disse Draco con voce bassa e
gutturale, atteggiandosi come poche volte lo aveva visto fare.
Inutile dire che la ragazza era
scoppiata a ridergli in
faccia, ottenendo un’occhiataccia offesa.
“Per niente,
bambola!” gli rispose a tono, mentre cercava,
asciugandosi le lacrime dagli occhi, di riassumere un minimo di
serietà. Quando
alzò gli occhi, lui l’aveva già
raggiunta. Percepì le sue mani bagnate, posate
lungo il suo viso, mentre le dita, fredde, le sfioravano il collo. Si
era persa
nei suoi occhi grigi come la sfumatura più chiara delle
nuvole temporalesche
che avevano inzuppato i suoi vestiti. Draco non fece nulla, se non
posarle un
bacio innocente sulle labbra, facendo di tutto pur di non essere
costretto a
sciogliere così precocemente quel ritrovato legame con il
profumo alla vaniglia
di lei. Credeva quasi di poterlo assaporare sulla propria lingua, tanto
da
ritrovarsi costretto a deglutire: non poteva farci nulla, le sue
papille
gustative erano in visibilio.
Continuò a guardarla,
mentre le sue palpebre, piano, presero
a celare le iridi nocciola e mentre la sua mano, docile, si posava
sulla sua
maglietta bianca e zuppa, all’altezza del suo cuore. Avrebbe
sentito quanto
questo pulsava come un forsennato per lei, sebbene già la
sua presenza lì fosse
un chiaro indicatore della sua follia, visti i rischi che correva nel
farlo.
Voleva che lo sentisse, voleva che ne fosse sicura, ma sentire
pronunciare
qualche parola a riguardo, a suo parere, avrebbe sicuramente minato la
sua
mascolinità. Per questo, giocò
d’anticipo, rispondendo alla sua futura
stilettata con un astuto affondo.
“Invece, sì, ti
sono mancato”. Perché il loro amore era
fatto anche di questo. Nessuno dei due voleva mostrarsi debole agli
occhi
dell’altro ed entrambi cercavano di celare, sotto una corazza
di forza e
determinazione, le proprie debolezze. Erano così mal
assortiti, da risultare
un’accoppiata perfetta; erano talmente opposti da sembrare
quasi simili. Perché
conoscendosi, amandosi, si erano circumnavigati vicendevolmente,
finché nel
riflesso del proprio amante avevano rivisto se stessi e i propri timori.
Hermione non aveva avuto bisogno
d’utilizzare la propria
fantasia per intuire cosa si celasse sotto quell’indumento
fradicio d’acqua: la
maglietta, infatti, si era perfettamente attaccata alla pelle di Draco,
delineando in maniera chiara quei suoi muscoli appena accennati che,
dal
torace, scendevano ipnotici fino agli addominali. Alzarsi per avviarsi
verso
casa fu una sofferenza atroce perché questo aveva implicato,
ovviamente,
sfuggire da quella presa così dolce e ferrea in cui il
ragazzo, con suo estremo
piacere, la aveva costretta. Sì, ne aveva sentito la
mancanza e nulla, neppure
l’odore di lui ancora impregnato nei suoi vestiti
né quel braccialetto che le
aveva regalato, aveva potuto anestetizzare, anche per poco, quella
così
piacevole sofferenza. Per questo, nel compiere quel gesto che
allontanò i loro
corpi, afferrò saldamente la sua mano, conducendolo
all’interno.
“Ti prenderai
qualcosa” continuava a ripetere, troppo felice
di quella sorpresa perché il suo cervello fosse in grado di
formulare un
pensiero comprensibile ad altri “Devi toglierti quella
maglietta zuppa”.
Bastò il tempo, una volta
giunti nel salotto, per farle
comparire tra le mani un ricambio asciutto, affinché,
voltandosi verso il
fidanzato, si ritrovasse la sua maglietta bagnata in faccia. La
esiliò lontano,
con un rapido incantesimo non verbale, mentre, stendendo bene il
braccio e
puntando la sua bacchetta, si preparava a ridurlo in cenere.
Sul suo volto, un ghigno compiaciuto.
Era di nuovo rimasta vittima
di uno dei suoi ridicoli tranelli.
“Mi piacciono le ragazze
che prendono l’iniziativa” ridacchiò
“Dai, slacciami tu la cintura”. Concluse il tutto,
immancabilmente, con un
occhiolino che, per quanto sarcastico, aveva evidentemente un qualcosa
di sensuale
e provocatorio.
No, non gliel’avrebbe data
vinta. Non così facilmente,
almeno.
“Subito, amore”
gli rispose a tono, mentre già nella faccia di Draco si
dipingeva “Prima, però,
vado a prendermi un caffè, dicono che sia un forte
eccitante”. Gli voltò le
spalle, volendo sorridergli compiaciuta, ma ritrovandosi a mordersi il
labbro
inferiore.
Sentì solamente le sue
braccia sicure attorno alla vita e il
petto nudo di lui contro la propria schiena. Poi, poté
avvertire solamente le
sue labbra che risalivano piano la sua spalla, percorrendo la piccola
insenatura della clavicola e soffermandosi alla base del collo.
“Va bene, questa volta hai
vinto tu” sussurrò, avvicinandosi
al suo orecchio “Mi arrendo”.
Le scostò piano i capelli,
ricci e folti, svelando d’improvviso
le linee morbide del suo viso. Il respiro caldo di Draco ben presto
venne
sostituito da baci, con cui abilmente tracciò il profilo
della sua nuca. Strinse
piano tra le labbra calde una piccola porzione di pelle all'altezza
della
mandibola, mentre Hermione brandiva, in maniera piuttosto imprecisa, la
propria
bacchetta. Con un tonfo sordo, che fece sobbalzare entrambi, il
divano-letto si
aprì e il ragazzo sorrise compiaciuto mentre, prendendola in
braccio, annullava
la distanza da quel giaciglio improvvisato. Alcune cose si persero per
strada,
come inutili suppellettili quali erano. La bacchetta
d’Hermione, la camicia di
suo padre che voleva dare a Draco affinché si coprisse, le
scarpe d’entrambi.
L’unica cosa che la ragazza ebbe la coscienza di portarsi a
tutti i costi con
sé fu quella coperta troppo piccola per coprire entrambi,
che si era trascinata
fin dentro dalla sua sedia a dondolo.
Si ritrovò prigioniera
sotto di lui, incarcerata dal
materasso troppo duro e dal corpo di Malfoy.
“Sei bellissima”.
Quelle parole, unite al movimento
ondulatorio e periodico di
quel ciondolo a forma di “H” legato al collo di
Draco, la resero ancora più
desiderosa di fare l’amore con lui. Flettendosi in avanti,
cingendogli il collo
con il braccio sinistro, si presentò alle porte del suo
sorriso e, dopo aver
dovuto bussare per ben poco tempo, ottenne finalmente
l’accesso a quel tanto
agognato Eden: la sua bocca.
Non era lui a condurre quella lenta
danza, così come non era
neppure Hermione. Pareva, infatti, che i loro due corpi si muovessero
perfettamente secondo le esigenze dell’altro, in
un’armonia che difficilmente
avrebbero saputo spiegare. Così, mentre lui
cominciò a sfilare piano la
canottiera della ragazza, questa piegò il proprio busto nel
tentativo di
aiutarlo, alzando, poi, le braccia, affinché quel tessuto
leggero andasse a
fare compagnia a ciò che già si trovava sul
pavimento.
La loro non era fretta, ma
incombenza, bisogno. Per questo,
la mano di Draco corse a chiudersi a coppa sul seno di Hermione e lei,
lentamente,
percorreva la sua schiena e si infilava nei suoi pantaloni. Poi, furono
baci e
carezze. E sospiri liberatori. E gemiti non trattenuti.
Si liberarono definitivamente dei
pantaloni e, poi, anche di
quella così scomoda biancheria. A coprire i loro corpi, nudi
ed accaldati,
solamente quella coperta troppo piccola e che lasciava scoperti i loro
piedi.
Scambiandosi un bacio, i loro corpi si persero, divenendo
l’uno quello
dell’altro ed impedendo ad entrambi di stabilire i propri
confini. Non era un
semplice armistizio, il loro, era amore. Il modo in cui Draco
l’accarezzava i
capelli e le sfiorava il seno con le labbra. Il modo in cui Hermione si
stringeva al proprio amato e mordicchiava, sorridendo, la sua pelle
morbida.
Quelle spinte, lente e costanti, con
cui protrassero per
molto tempo quel loro piacere e che si conclusero con un amplesso che
gridava
liberazione e felicità.
Amarono tutto dell’altro,
anche il sudore e la stanchezza.
Per questo, dopo aver taciuto a lungo, dopo che il loro corpo si
riprese dall’euforia
di quell’intimo contatto, le parole che si scambiarono
rimbombarono potenti e
sincere. Non era l’eccitazione a parlare, non era il piacere
ad imporsi come
narratore, ma i loro sentimenti, ciò che per lungo tempo
avevano maturato, ciò
che ora gli aveva nutriti con linfa vitale.
“Draco, ti amo”
gli disse, mentre si faceva spazio sotto la
sua spalla e contro il suo rannicchiandosi addosso a lui.
“Ricordatelo anche domani,
quando ci sveglieremo, perché
dopo oggi, se tu ritrattassi, potrei morirne” disse lui, con
il finto intento
d’apparire scherzoso e non risultandolo affatto. Si
piegò per posarle un casto
bacio sulla guancia e per stringersela ancora più vicina,
così da vincere, dopo
tutti quei brividi che il fare l’amore aveva dato loro,
quelli che il freddo li
stava procurando.
“Io ti appartengo,
ricordi?”.
Il risveglio, uno dei più
belli della sua vita, le aprì gli
occhi. Tra le sue mani, vi era la sinistra di Draco. A pochi centimetri
dai
suoi occhi, svettante sulla pelle pallida e nobile del ragazzo, il
Marchio
Nero. L’inchiostro, ancora vivido come se quel tatuaggio
fosse appena stato
fatto, tracciava con eccessiva precisione i tratti d’un
teschio e della sua
lingua, ispide velenoso. Ricadde in quell’incubo, nei visi
cianotici dei suoi
genitori morti, nel corpo scomposto di Silente riverso al suolo, nel
sangue che
sgorgava dalle ferite durante la Battaglia di Hogwarts, nella crocchia
scomposta della McGranitt che dava battaglia. E le parole di Drew le
sovvennero, acquisendo un nuovo significato, una diversa angolazione,
una
spiacevole soluzione.
Una guerra
non si
vince solo con i duelli e con le guerre. E non bastano neppure ideali
saldi e
piena convinzione in questi. Ci vuole dell’altro:
l’astuzia.
Nessuno avrebbe potuto farlo, se non
lei. Il suo titolo
onorifico le avrebbe spianato la strada, il suo talento le avrebbe
aperto le
porte, il suo coraggio le avrebbe permesso di lasciarsi alle spalle
ciò a cui
teneva per dare una nuova speranza all’intero Mondo Magico.
Lei, Hermione
Granger, l’Ultima Matriarca, la Traditrice.
Non ebbe più il coraggio
di guardarlo, così, quando Draco si
svegliò, si limitò a sorridere e a rispondere in
maniera evasiva.
“Non sono stato
all’altezza delle tue aspettative?” le
chiese Draco, incredulo per primo d’aver osato pensare ad una
tale fesseria.
“A dire il vero, dopo Krum
e la storia del freddo siberiano,
pensavo che non avrei potuto incontrare qualcuno così poco
fornito” sospirò
teatrale “Per fortuna, Madre Natura con Ron è
stata veramente molto generosa”
L’occhiata che il fidanzato
le rivolse valse più di mille
parole. Cercando di mantenere la calma, posò, il vassoio con
i biscotti che era
andato a prendere in cucina per fare colazione. Incrociò le
braccia sul petto,
ancora nudo, come del resto era anche la restante parte del suo corpo,
fatta
eccezione per quella coperta dai boxer neri.
“Tu e Weasley
l’avete veramente fatto? Speravo fosse una
leggenda metropolitana, come quella dei coccodrilli nelle
fogne!” esclamò
esterrefatto, per poi accorgersi di quanto fosse offensiva la frase
della
ragazza. “Aspetta” disse, incredulo, sorridendo
nervoso “Tu mi stai dicendo che
la donnetta di Lavanda Brown è … ma da quando ce
l’ha?”
La sua espressione era realmente
sconcertata. Hermione lo
vide togliersi i boxer serio.
“Giuralo” la
intimò “Adesso”.
No, allontanarlo non sarebbe stato
facile.
***
La casa, dopo che Chris se ne era
andato, era crollata
miseramente in un terribile silenzio. Più volte, nei mesi
trascorsi, era
capitato che il ragazzo fosse così stanco da chiederle
l’ospitalità del suo
divano ed Hermione, sorridendogli cortese, non gli aveva mai negato
questo
privilegio, visto l’affettuoso comportamento che teneva
sempre nei suoi
riguardi. Eppure, se lo avesse fatto quel giorno, sarebbe stata
costretto ad
allontanarlo. Tutto era evoluto così rapidamente da non
permetterle di
comprenderlo veramente: era già giunto il momento.
Sentiva sulla pelle, quella maschera
soffocante che aveva
deciso di indossare e percepiva chiaramente quanto ogni giorno
trascorso portasse
quel malefico oggetto ad adattarsi ai suoi lineamenti, diventando
irremovibile.
Aveva perso se stessa, in un bacio che Draco le aveva rubato, ed aveva
deciso
coscienziosamente di farlo. Aveva rinunciato a se stessa e al proprio
futuro,
nel vaneggiante speranza di poterne dare uno alle future generazioni.
Ora, guardandosi allo specchio, non
riusciva più a
riconoscersi: non era solo il fisico ad aver subito drastici mutamenti,
ma
anche il suo spirito. Il suo grande coraggio e la sua predisposizione
al
sacrificio l’avevano condotto a tutto ciò e, ora,
non aveva più la possibilità
di ripercorrere a ritroso i propri passi. Anche perché, in
fin dei conti, non
ne aveva la benché minima intenzione.
Lo aveva capito a sue spese che la
menzogna non è solamente
un’attitudine, ma un vero e proprio talento. E lei,
l’onesta Gryffindor, ne era
completamente sprovvista, così si era ritrovata obbligata a
dover imparare
anche questo, nel breve tempo che aveva a disposizione.
Il vapore della doccia calda
condensandosi sulla superficie
che rifletteva i suoi tratti un tempo amorevoli, si accumulava in gocce
d’acqua, che, percorrendone l’intera lunghezza,
sparivano in un insenatura del
legno. I lineamenti del suo viso si erano fatti più
acuminati, dandole un tocco
di femminilità quasi inusuale, che aveva annullato
completamente quello che era
il pallido ricordo, dopo la morte dei suoi genitori, delle sue gote
paffute da
ragazzina. La corsa mattutina aveva diminuito ancora il suo peso,
mentre quella
serale aveva aumentato la sua muscolatura. Lo yoga quotidiano, poi,
aveva reso
più tonico ed elastico il suo corpo. Non aveva potuto fare
molto per la sua
forza, ma un intensivo allenamento di karate, suddiviso su quattro
pomeriggi
settimanali, le aveva fornito gli aspetti basilari della tecnica di un
buon
combattimento corpo a corpo e dell’autodifesa. Infine, con
qualche visita alla
piscina comunale, cui Christopher si era sempre gentilmente offerto di
partecipare, aveva migliorato la sincronia dei suoi movimenti.
Ovviamente,
tutto ciò aveva avuto molte spiacevoli controindicazioni: di
rado le poche ore
che si concedeva per dormire erano sufficienti a farle risanare la
stanchezza
data da questo sforzo, spesso i dolori erano tali da compromettere la
sua
prestanza fisica e molte cose del suo nuovo corpo non le piacevano
affatto. Per
esempio, il suo seno, quello che a contatto con le labbra di Draco la
faceva
fremere, si era rimpicciolito. Almeno una taglia, ad occhio e croce,
anche se
le sue ricerche a riguardo si erano concluse ben prima di scoprire
quanto
marcato fosse questo danno. Una fortuna, le aveva fatto notare Drew,
nel
tentativo di consolarla invitandola a guardare il proverbiale calice
riempito
per metà, visto l’impaccio che questo avrebbe
potuto arrecarle durante un
duello magico. La stessa motivazione, in quest’ultimo caso
ben più fondata,
l’aveva spinta a tagliarsi i capelli: entrata nel salone di
una sua vecchia
amica di famiglia con i suoi lunghi boccioli perfetti e ottenuti grazie
ad una
abbondante dose di Tricapozione Lisciariccio, ne era uscita con un
taglio ben
più corto e decisamente meno impegnativo. Eppure, nonostante
il taglio deciso,
questo non aveva leso in alcun modo l’innata delicatezza del
gentil sesso. Non
era divenuta più bella, ma non vi era stato in lei neppure
alcun imbruttimento:
Hermione Granger era semplicemente diversa.
Finalmente, poi, durante
quell’estate di metamorfosi, aveva
realmente capito il senso di tutti quei libri che il professor Kennan
le aveva
fatto leggere durante l’intero corso dell’anno. Con
questi, infatti, si era
potuta costruire una solidissima base che aveva sveltito notevolmente
quelle
lezioni private che le impartiva nella segretezza della taverna della
dimora
dei suoi genitori, che la ragazza aveva stregato abilmente
così che questa
evitasse d’andare distrutta nell’arco della prima
seduta. I muri riflettevano
le maledizioni e le fatture, ricreando il clima di una vera e caotica
battaglia, il pavimento era disseminato di ostacoli ed oggetti
utilizzabili
durante lo scontro e, infine, si era procurata alcuni manichini con cui
continuare ciò che aveva iniziato con Drew. I due, su
volontà d’entrambi, si
vedevano tutti i giorni, all’imbrunire. Lui le aveva
insegnato buona parte di
ciò che era a conoscenza della magia oscura, non
tralasciando l’Occlumanzia e la
Legilimanzia. Spingendola più volte tra la vita e la morte,
torturandola come
solo un vero avversario desideroso d’ucciderla avrebbe fatto,
l’aveva resa una
duellante ancora più abile di ciò che
già era, ampliando gli orizzonti della
sua conoscenza e permettendole di reggere uno scontro con un qualsiasi
Mangiamorte, nonostante entrambi sapessero che, nel caso in cui tutto
fosse
andato come speravano, sarebbero dovuti essere gli Auror la sua
principale
fonte di pericolo.
Si era occupata, tra
l’altro, anche della protezione di
quell’abitazione da possibili attacchi, aumentando gli
incantesimi difensivi e
potenziando quelli già esistenti. Aveva stregato anche un
paio delle piante del
giardino, per ogni eventuale evenienza. Non si era dimenticata, poi, di
far aggiungere,
compilando non poche scartoffie per il Ministero, anche il suo camino
alla rete
nazionale di Trasporto Magico.
Infine, aveva troncato il suo
fidanzamento, lasciando Draco
senza molte spiegazioni.
Non poteva fare altrimenti, aveva
deciso che questa sarebbe
stata la sua strada e non si sarebbe voltata indietro, neppure per
piangere.
Smise di rispondere alle lettere che quotidianamente gli mandava via
gufo,
anche solo per chiederle come stava. Lui, preoccupato, si
presentò
immediatamente a casa sua, ma Hermione non si fece trovare. Tutto
mutò in paura
ed ansia. Poi, Malfoy ricevette quel suo ultimo messaggio. Riempito di
scuse
che non avrebbe mai accettato, gli rivelò
d’essersi innamorata di Christopher
Hunt e che, nel suo cuore, non c’era più spazio
per lui e per il futuro che,
insieme, avrebbero avuto.
Inutile dire che nessuno avrebbe
potuto credere a quelle
motivazioni.
Il suo già ex-fidanzata
bussò urlando alla sua porta. Fu
costretta ad aprirgli e a reggere il suo sguardo.
Cercava ancora di capire come vi era
riuscita, ma non
trovava ancora alcuna risposta che non fosse la sua disperata
accettazione. Del
suo destino, della fine che la attendeva.
***
“Se vuoi lasciarmi, devi
avere il coraggio di dirmelo. Devi
guardarmi negli occhi”.
Questo gli aveva chiesto.
Lo aveva fatto.
Scosse piano il capo, trattenendo
appena un’espressione di
noia. Incrociò le braccia sotto al petto. I suoi occhi si
fossilizzarono su
quelli grigi di lui.
“Tra noi è
finita. Ora, non in un futuro prossimo” disse,
scandendo piano le parole “Ora”.
Vide i suoi occhi farsi lucidi,
mentre chinava il suo
sguardo e, rabbioso, tirava un pugno contro il muro. Si ferì
alla mano, da cui
prese a sgorgare sangue in maniera costante. Lo vide voltarsi, pronto
ad
andarsene sconfitto. Ma non era soddisfatta, non era abbastanza. Doveva
conficcare più in profondità quello stiletto. Lo
chiamò. Si volto con uno
strano sorriso, le gote segnate da lacrime che non aveva neppure il
coraggio
di versare. Le
avrebbe perdonato tutto,
anche questa sua crudeltà, pur di riaverla.
Lei allungò la mano verso
di lui, reggendo tra le dita il
braccialetto che le aveva regalato. Il segno del loro amore.
Vedere il suo volto cambiare
espressione in maniera
istantanea la fece quasi morire. Draco cercò di dire
qualcosa, ma le parole gli
morirono sulle labbra prima d’acquisire un qualsiasi suono.
Gli voltò le spalle
e si chiuse la porta di case alle spalle.
Protetta, dal suo sguardo e dal
desiderio di chiedergli
scusa. Vinta, dal peso di ciò che aveva deciso
d’affrontare.
Dopo molte settimane di preparazione,
il momento cruciale
era giunto. Lo studio, la pratica, i combattimenti, il dolore. Tutto
era
finalizzato solamente a questo. Lei che a malapena era in grado di dire
una
bugia, avrebbe dovuto mentire a tutti, se stessa compresa, per entrare
nelle
grazie di Lord Voldemort. Sicuramente sarebbe stata sottoposta ad
alcune prove
e lei doveva dimostrare non solo d’essere in grado di
superarle, ma anche di
poterlo fare senza essere costretta neppure ad impegnarsi. Non si
poteva
accontentare d’essere brava, se voleva trarre in inganno il
Signore Oscuro,
doveva essere eccelsa.
Era già notte. Malfoy
Manor, ora sede principale del
convoglio dei Mangiamorte, si stagliava ancora più oscura su
quella volta
celeste d’un tetro blu notte. Non una stella illuminava il
suo cammino e anche
la Luna sembrava averle voltato le spalle. Dell’intero
complesso, tra le
antiche pietre che componevano le pareti, solo un paio di finestre al
secondo
piano trapelavano, con le luci arancio e flebili che emanavano, una
qualche
forma di vita all’interno.
Il suo incedere, su quelle
décolleté laccate di nero e
leggermente aperte sul davanti, era sicuro e fiero. Poco importava che
nel suo
petto il cuore sembrasse voler lacerare la sua stessa carne, era
l’apparire
quello che solo aveva importanza. Nascosto sotto un cappuccio calato
sul viso,
incorniciato da un unico ciuffo più lungo degli altri, il
suo sguardo era
fermo. Nel pungo destro, ben salda, la sua bacchetta, pronta a scattare
ad ogni
evenienza. Hermione si avvicinò al portone di ferro battuto,
studiandone per
pochi istanti i contorti arabeschi e le cime acuminate. Intravide, con
non poca
fatica vista la sua inesperienza in quell’ambito, una traccia
magica. Un
potente incanto oscuro, una violenta maledizione che avrebbe colpito
chiunque
avesse valicato quella soglia senza permesso. Un potente virus, in
grado di
condurre alla morte in pochi mesi. Una variante meno aggressiva di
quella che,
ora lo sapeva, aveva infettato Silente al braccio sinistro. Impossibile
da
arrestare, ostica persino da rallentare. Nonostante ciò,
sapere che il vecchio
Preside di Hogwarts sarebbe morto comunque non aveva reso la sua morte
meno
ingiusta.
Un servo le si avvicinò,
chiedendole chi fosse.
“Hermione Granger Bright.
Riferisca al suo Padrone che sono
venuta ad offrigli i miei servigi”
Dopo pochi minuti, l’alta
inferriata si aprì e un elfo
domestico la condusse all’interno di quella che, un tempo,
era stata la casa di
Draco. Troppo presa da ciò che stava per fare,
lanciò un’occhiata
disinteressata e prese a seguire la creatura salendo l’ampio
scalone che
conduceva ai piani superiori.
Il rumore dei suoi tacchi scandiva i
trascorrere dei
secondi, così come il lieve frusciare di
quell’abito lungo fino al ginocchio
sembrava essere deciso a contare le contrazioni del suo cuore. Non era,
quella
che indossava, la tenuta migliore per tenere un combattimento, ma aveva
scelto
qualcosa di sufficientemente ampio da non impedirle il movimento. Di
nuovo,
tutto ciò che aveva da giocarsi era il suo aspetto esteriore
e quello che
questo suggeriva.
Si fermarono dinnanzi ad una grande
porta di mogano a doppia
anta. Hermione trasse un grosso respiro. Quando questa si
aprì, entro con passo
sicuro. Una grande stanza, illuminata da un prezioso lampadario di
cristalli di
Boemia e con ampie vetrate. Non era questa la zona che
dall’esterno aveva visto
illuminata, ma sembrava che la riunione, visto il suo inatteso arrivo,
fosse
stata spostata di ubicazione. Molti furono gli sguardi che ricevette,
ma su
alcuni si soffermò più che su altri. Bellatrix
Lestrange, colei che aveva
ucciso i suoi genitori,
pareva essere
curiosa e divertita, mentre, al contrario, Fenrir Greyback, che aveva
ferito
gravemente Bill Weasley, non sembrava essere molto felice della sua
comparsata,
cui avrebbe posto facilmente rimedio sbranandola. Ma tra tutti, non
poté non
soffermarsi sul volto imperturbabile e ambiguo di Piton,
l’assassino di
Silente. In quella stanza, era riunite tutte quelle persone che aveva
distrutto
la sua esistenza e delle persone a lei carica.
Lord Voldemort ridacchiò,
interessato alla sua presenza lì e
a quel suo strano e suicida coraggio.
Non avevano i volti coperti dalle
loro solite maschere: da
quel luogo, lei sarebbe uscita Mangiamorte o cadavere. Non
c’era altra via di
fuga, né alcuna alternativa da vagliare.
“Allora, signorina Granger,
cosa la porta nella mia umile
dimora?” esordì il Signore Oscuro con la sua voce
sibilante “O preferisce
essere chiamata Bright?” concluse con un ghigno malefico sul
viso.
Fu il caos. Qualcuno
cominciò a parlottare, altri a
ridacchiare senza un motivo apparente.
Nella folla, qualcuno
parlò a voce troppo alta.
“È
l’Impura!”
Hermione lo squadrò
dall’alto in basso.
“Avery Junior”
disse tranquilla “Ho studiato il suo albero
genealogico, di recente, e secondo le mie ricerche il suo sangue
è ben meno
nobile del mio, semplice Nata Babbana che ha avuto la fortuna di
divenire parte
di una delle famiglie più antiche
dell’aristocrazia magica inglese”
continuò,
guardandolo con aria di sufficienza “Ma del resto, se non
fosse risaputo che è
completamente sprovvisto di astuzia, avrebbe avuto la furbizia di
starsene in
silenzio, visti i suoi disastrosi trascorsi. Mi dica,
com’è stata la sua
esperienza ad Azkaban? Certo che sfuggire ad una prima accusa
dichiarandosi
sotto l’effetto della Maledizione Imperius per poi venire
incarcerato a causa
di un manipolo di ragazzini nell’Ufficio Misteri non le fa
proprio onore …”
Aveva toccato il nervo scoperto
giusto. La reazione
dell’uomo, fu immediata. Lo vide impugnare la bacchetta e
questo le bastò per
ritenere quel gesto un attacco.
Il suo braccio compì un
rapido vortice nell’aria, mentre lei
si spostava in posizione d’attacco. Prevedibilmente,
l’incanto andò a segno. Le
sue pupille parvero cominciare ad ingrandirsi, fino ad inglobare
completamente
l’iride azzurra e il biancore dell’orbita. Se non
fosse stato per quel lieve
rigonfiamento al di sotto delle palpebre, si sarebbe detto che qualche
essere
mostruoso glieli avesse cavati.
Cadde al suolo stramazzato, senza
emettere alcun gemito.
Il rumore di due mani che cozzano tra
di loro rianimò la
stanza. Lord Voldemort la stava applaudendo.
“Magia Oscura di livello
molto avanzato” motivò “Una
piacevole sorpresa, signorina”
Hermione chinò il capo in
una reverenza che non si faceva il
minimo problema a mostrare un’insita superbia.
“Malfoy”
continuò l’Oscuro Signore “Sciogli
l’incanto e
riporta tra di noi quell’idiota del tuo compagno”.
Dalle retrovie, Lucius Malfoy, ancora
rinchiuso ad Azkaban
per l’opinione pubblica, uscì con passo incerto e
testa bassa. La Granger
mascherò alla perfezione il suo stupore, con
un’espressione schifata.
“I Dissennatori andrebbero
istruiti meglio” commentò con
cattiveria.
Il suo unico interlocutore si
alzò dal suo trono. Le fece
cenno d’avvicinarsi e lei così fece.
“Dimmi, cosa mi
offri?” le domandò, toccandole il viso con
la sua mano diafana.
“Potrei offrirle
informazioni, ma so che non ne ha bisogno”
gli rispose, sorridendo a Piton “Quindi, le offro la
possibilità di divenire
immortale”
Quello che un tempo era stato il
giovane Tom Riddle si fece
improvvisamente serio.
“Interessante”
sussurrò Voldemort “Ma impossibile. Ho
già
fatto ogni genere di ricerca, a riguardo, e ho vagliato tutte le
possibili
alternative, le quali, però, fino ad ora si sono dimostrate
tutte piuttosto
deludenti”
Sul volto della ragazza si dipinse
quell’espressione
compiaciuta che molte volte aveva riservato ai suoi insegnanti e ai
suoi
compagni di classe.
“So tutto a
riguardo” esordì annuendo piano “Il
sangue
d’unicorno, la pietra filosofale, il rito con cui
è stato riportato in vita. Ritengo,
tuttavia, che non abbia ancora vagliato l’ipotesi del
Tredicesimo modo di
utilizzare il sangue di drago”
Venne bruscamente interrotta dal mago
oscuro.
“Sono solamente
dodici”
Hermione colse la palla al balzo.
“Sono dodici quelli che
Silente ha dichiarato pubblicamente.
In realtà, però, se ne dovrebbe annoverare un
altro che, però, è rimasto sempre
abilmente celato. Si tratta di un progetto segreto, presente in
un’unica forma
manoscritta”
“Mi stai dicendo che quel
vecchio pazzo è riuscito a
ottenere la chiave per l’immortalità?”
“Lo trova poi
così improbabile? Se non erro, è stato proprio
quel vecchio pazzo, nel suo periodo migliore ovviamente, a creare la
Pietra
Filosofale assieme al celebre Nicholas Flamel. E vogliamo disquisire,
per caso,
del Fuoco Gubraitiano, l’unica fiamma in grado di
non spegnersi mai?
Risulterebbe ovvio a qualunque stolto che Albus Silente era
particolarmente
interessato a questo concetto. Non era, del resto, una rarissima fenice
il suo
animale da compagnia?”. Era questo il suo affondo, la
strategia che aveva
accordato con Drew. Ed entrambi erano pronti a svelare il mistero che
Silente
aveva raccontato al professor Kennan prima che questo abbandonasse
Hogwarts per
partire alla caccia dell’assassino della propria madre.
Vide nei suoi occhi una vena
d’interesse.
“E tu sai dove questo si
trova?”
“All’interno di
Hogwarts, ben protetto in un luogo segreto.
Non ne conosco l’esatta collocazione, ma sono sicura che, se
potessi svolgere
qualche ricerca all’interno della scuola, potrei
trovarlo”.
Questo era il suo obbiettivo.
Riuscire a diventare un occhio
per Voldemort, all’interno della scuola, ora che il nuovo
Preside si era
istaurato e che le misure di protezione, dopo quella inaspettata
ribellione nei
confronti del Ministero, erano aumentate. Per un Mangiamorte non
sarebbe stato
semplice infiltrarsi all’interno, ma, in fin dei conti, anche
prima di Marcus
Belby ciò sembrava pressoché impossibile.
In quell’istante, gli
sovvenne del ragazzo e lo cercò con lo
sguardo. Quando lo trovò, vide in lui solo lo spettro di
quello che era. La
punizione per non aver ucciso Silente non doveva essere stata semplice
da
superare.
“Severus, ti prego, offri
da bere alla nostra graditissima
ospite” disse improvvisamente il Signore Oscuro.
L’attimo cruciale. Vita e
morte si basavano solo su questo.
Veritaserum. Impossibile da
riconoscere, non in quel
bicchiere d’acqua, almeno. Tuttavia, Drew aveva supposto che
avrebbe dovuto
superare questa prova. Era stata una tortura quotidiana, a cui si era
dovuta
sottoporre. Alla fine delle loro sezioni di allenamento, dopo che lei
era stata
costretta ad assumerne alcune gocce e dopo che il suo insegnate privato
l’aveva
tempestata di domande, ben poche erano le cose che poteva definire
private.
Nell’arco di un’estate, il professor Kennan era
venuto a conoscenza di molti
dei suoi segreti, da ciò che provava nei confronti di Draco,
ai suoi timori per
il futuro.
Alla fine, però, sebbene
non potesse in alcun modo mentire
sotto l’effetto di quella pozione, era riuscita a controllare
i suoi pensieri e
a formulare risposte che, pur tralasciando una parte della
verità, non potevano
essere definite false. Assuefazione da Veritaserum, l’unico
metodo per ridurne
gli effetti.
Bevve quindi dal bicchiere senza
timore, psicologicamente
pronta a rispondere alle domande che il Signore Oscuro le avrebbe porto.
“Per quale motivo sei
qui?”
“Per la gloria”.
La gloria che portarlo alla sconfitta
definitiva le avrebbe arrecato.
“A cosa sei
disposta?”
“A tutto ciò che
sarà necessario”. A tutto ciò che
sarà
necessario per ottenere il mio unico obbiettivo.
“Ucciderai chiunque si
metterà sulla tua strada?”
“Sì”
disse, senza alcuna remora.
“Allora, il tuo primo
bersaglio sarà Drew Kennan” disse,
pronto ad assistere glorioso a qualsiasi reazione la ragazza avesse
avuto. Sul
suo volto, però, c’era solo risoluzione.
“Se è questo che
desidera, così sia” gli rispose, quasi
annoiata da quell’incarico. Nessuna domanda, ergo nessuna
bugia che il
Veritaserum avrebbe potuto svelare.
Anche perché, stranamente,
sentiva l’effetto di quel
distillato meno soffocante.
“Perfetto, Hermione.
Porgimi il braccio”
Quando la punta della sua bacchetta
toccò la sua pelle, le
stilettate di dolore raggiunsero galoppanti la sua testa. Avrebbe
voluto
urlare, ma non lo fece. Era stata marchiata. Come un animale.
Come una traditrice, quale era.
***
Non sapeva su cosa concentrare le sue
preoccupazioni, se sul
duello che stava per tenere con Drew o se su
quell’eredità che Silente le aveva
lasciato e che non riusciva ad interpretare. Non era l’unica,
anche Harry, Ron,
Draco, Blaise e Daphne avevano ricevuto qualcosa dal Preside. Questo
l’aveva
spinta a pensare che si trattasse d’un indizio per la ricerca
degli Horcrux, quindi,
non sapendo se e quando avrebbe rivisto l’unica persona a
conoscenza del suo
segreto, doveva riferirgli tutto quello che ne aveva carpito durante il
loro
combattimento. Un appunto in penna, su una delle tante pagine
d’una versione
antica, tanto da essere scritta in Antiche Rune, di quella che aveva
scoperto
essere una raccolta di racconti per bambini: le Fiabe di Beda il Bardo.
In qualche modo, doveva far
sì che Drew facesse arrivare ad
Harry quell’informazione.
Si fece largo nella folla, colpendo
chiunque le venisse a
tiro, ma evitando di infliggere ferite mortali. Infine, fiancheggiata
da altri
Mangiamorte, tra i quali la stessa Bellatrix, accerchiò il
professor Kennan.
Non avevano avuto modo di stabilire
un piano comune.
Semplicemente, avrebbero duellato, come durante un allenamento, senza
risparmiarsi alcun colpo. Sapeva solo che Drew confidava
nell’intervento di
qualcuno.
Lei sperava solamente che nulla
andasse storto, o si sarebbe
vista costretta ad ucciderlo.
Qualcuno provò ad alzare
la bacchetto contro di lui, ma
Hermione, rapida, lo disarmò.
“Lui è
mio!” gridò sicura di sé, mentre la sua
voce veniva
resa più profonda e gracchiante, quasi mascolina, dalla
maschera che indossava.
La loro fu una danza di perfetta
sincronia che durò quasi
per una decina di minuti. Ad ogni attacco seguiva un incantesimo Scudo
o una
controffensiva.
Poi, un affondo imprevisto, invece di
una parata, colse il
professore in fallo. Una magia oscura lo colpì in pieno
petto, ritrovandosi
incapace di muovere gli arti superiori.
“Incarceramus”
sibilò, mentre pesanti catene uscivano dalla
sua bacchetta e, dopo averlo spinto contro un albero, lo legavano a
questo. Un
serpente che tiene tra le sue spire una povera preda.
Sciolse in uno sbuffo di fumo nero la
propria maschera e si
fece scivolare il cappuccio sulle spalle.
“Hermione?”
chiese realisticamente sconvolto Drew. “Tu?”
La ragazza sogghignò e
alzò le spalle.
“Mi spiace, ma al momento
attuale sei diventato solo un
peso” gli spiegò tranquilla, avvicinandosi di un
passo “Ma non ti preoccupare,
mi prenderò cura io dei risparmi della famiglia
Bright”
Bellatrix che piacevolmente colpita
l’aveva raggiunta, la
invitò a finirlo.
“Non ancora”
rispose lei, avvicinandosi alla donna e
sussurrandole quelle due parole all’orecchio.
Hermione alzò la bacchetta
e, dopo aver evocato un
incantesimo non verbale, prese a muoverla lentamente.
La camicia candida del professore
cominciò a macchiarsi di
rosso in maniera indistinta. Ampi squarci si stavano aprendo sul suo
petto.
Poi, qualcosa accadde inatteso.
Un rapace si avventò sulla
sua mano, recidendole in maniera
profonda la carne con i propri artigli e lanciando lontana la sua
bacchetta.
Poi, si avventò con violenza sul viso di Bella, sfigurandola.
Con una rapidità che mai
aveva visto neppure nella
McGranitt, l’animale mutò in donna.
Non poté neppure studiarne
il profilo.
Questa, afferrato per una mano il
professor Kennan, si era
Smaterializzata nel nulla.
Il Falco aveva fatto la sua entrata
in scena.
Anche l’ultima pedina della
sapiente scacchiera di Silente
si era mossa.
Note
dell’Autore
Avrei voluto che non fosse
così, ma, dopo un anno di pausa,
avrei dovuto intuirlo. Sì, sono piuttosto arrugginito.
Sì, probabilmente non
sarò più in grado di gestire né i miei
personaggi né la mia trama.
Tuttavia, questa rimane la mia
piccola fatica e deve avere
un finale.
Per chi fosse interessato, questa
è You
and Me.
Qui,
invece, trovate la mia pagina Facebook.
Un grazie a chi ha letto e a chi
leggerà.
Sperando che qualcuno commenti,
Jerry
|