Above Clouds There’s
Only Sky
C’era stato un momento, nella sua vita, in cui aveva capito
che lo sguardo andava tenuto ben fisso a terra.
Oltre il primo avversario, proiettato verso il secondo.
Ancorato sull’esercito che avanzava
urlante, rapido. Inghiottendo terra come fosse stata aria, sputando
sangue come sudore.
Dunque, Leonida aveva imparato.
Non con pazienza, non con frasi di ammonimento.
Lo aveva appreso sul campo di battaglia, mentre correva con la lancia in mano,
e faceva roteare lo scudo al ritmo dei suoi passi.
Aveva osservato i suoi nemici cadere come fuscelli,
accasciarsi al suolo privi di conoscenza. La sua era un’arte, una danza fatta di rischi e di gloria.
Lo sguardo rimaneva fisso, immobile, piantato parallelamente
al suolo. Se lo alzava, era solo al sibilo infido
delle frecce assassine. E quello che vedeva, era nero.
Subito dopo, lo scudo – che era protettore e occludente al
tempo stesso – lo riportava nel suo mondo fatto di terra.
Dove doveva tenere gli occhi.
Raramente, quando era lontano da
quelle grida e si riposava a Sparta, nel suo letto, si chiedeva se quel suo
gesto non fosse, semplicemente
[codardia]
come una protezione.
Per quanto si ritenesse esperto del mondo
e di chi lo abitava, c’era sempre qualcosa che sfuggiva al suo controllo.
Limitarsi a fissare il suolo era una piccola limitazione alla propria
ambizione, un muro contro il quale non si poteva, prima o poi,
non infrangersi.
- Come combatto, io? – si chiedeva passeggiando.
- Come uno Spartano. Come un uomo libero. Come un uomo che
ricorda chi è. E ricorda le sue origini. – rispondeva
sua moglie, sincera e bruciante.
La verità era che lui non l’aveva mai visto. Non c’era
memoria di esso, nelle sue origini.
I suoi antenati stessi, non ne avevano
alcuna. Proiettati verso la guerra, l’onore, la
gloria.
La salvezza.
Dicevano di essere guerrieri.
A volte, Leonida pensava fossero solo degli uomini. Tremanti
e bugiardi.
Continuava comunque a combattere,
perché aveva una famiglia da difendere, verso cui effettivamente guardare.
Pensava a loro. E di quello, ne vedeva una piccola parte.
Poi, era arrivato Serse, con i
suoi elefanti, i rinoceronti, e gli Immortali.
Aveva scoperto che le bugie serpeggiavano spesso tra le
lingue degli uomini: aveva imparato a smascherarle.
Serse era un Dio, e un Dio non sanguina.
Aveva dimostrato il contrario.
Ma aveva anche compreso una grande
realtà. Per quanto immenso che fosse, o sterminato, o
potente, ogni esercito prima o poi finiva.
Ma quando si era trovato trafitto
dalle frecce, e lo scudo non era giunto a salvarlo, allora lui, in quell’attimo
che separa la vita e la morte, lui…
… lui aveva visto il cielo.
Ed era azzurro e sconfinato.
Semplice e complesso.
E aveva scoperto che combattere per
sconfiggere un esercito non era niente, che era quella, la vera gloria: quella
che può dare il cielo.
Combattere per poter alzare lo sguardo,
fino a superare l’ombra del nemico, e giungere alla memoria eterna.
Per quanto le Termopili,
geograficamente, fossero solo un vicolo cieco.
Grazie a Suzako per la compagnia di oggi.
A Mika per la frase di chiusura.
A Reki, per il
titolo e l’introduzione, e spezzoni di frase.
Sì, Suzako ha sempre una brutta
influenza su di me. Ah, male.
Ad Maiora!
Lady