Your Latest Trick
I don’t know it
happened
It
all took place so quick
But
all I can do is hand it to you
And
your latest trick
[Non
so cosa sia successo/ è accaduto tutto così in
fretta/ ma tutto quello che posso fare/ è fare I miei
complimenti a te/ e al tuo ultimo scherzo]
Dire
Straits- Your Latest Trick
Si
alzò di scatto, portandosi una mano alla bocca, tremante. Il
suo orgoglio non glielo face ammettere, ma tremava dalla paura. La
stanza era piccola ed accogliente, ma si sentiva ghiacciato, come se
fosse appena stato scongelato.
-Impossibile.-
sussurrò guardandosi i vestiti. Indossava di nuovo la
maglietta di un azzurro stinto, i suoi capelli arruffati parlavano di
almeno due ore di sonno profondo e agitato. Guardò
l’orologio senza realmente vedere che ore fossero e scese le
scale a due a due, sentiva le voci concitate di Tom e Dee, quella
preoccupata di Jenny.
-Qualcuno
avrà riscritto il suo nome.- sussurrò Michael,
ragionevole.
-E chi mai avrebbe
potuto riscrivere il mio nome?- domandò Julian apparendo
come una furia. Due volte, era quello il massimo…solo due
erano le opportunità che venivano date ai uomini ombra per
rimediare a tutti i loro errori, e Julian li aveva sprecati, meritava
la morte. Perché era tornato indietro? Non era possibile. Il
ticchettio stridulo che sentiva nei sogni gli rimbombava nella testa,
era accelerato…era tagliente come una lama di coltello. Si
portò le mani alla testa, stringendo gli occhi ma il dolore
era qualcosa di inimmaginabile, come se fosse caduto preda di un raptus
che non gli faceva pensare ad altro che a quel rumore che sembrava
fargli l’elettroshock.
-Julian,
cos’hai?- Jenny gli corse incontro, mentre i suoi pensieri
gli si presentavano come tanti frammenti sconnessi. Guardò
verso di lei, ma non lei. Dietro i capelli biondi di Jenny La figura di
Leanan si stagliava come una dea nera, tormentata e distrutta. Anche se
lei stava distruggendo lui.
Le irridi
azzurre lo risucchiarono, l'oscurità lo chiamò a
sè con forza irresistibile. Julian ne fu attirato come ferro
da una calamita, ma la sensazione non fu di cadere in quelle
profondità: fu di disgregarsi.
Sentì
il buio premere contro di lui, insinuarsi sotto la pelle.
L’immagine
non è reale, e se gli uomini ombra fossero in grado di
rendere reale ciò che non lo è?
Il buio
strisciò attraverso i muscoli, scollandoli.
Riempì i vasi sanguigni, si fece strada nelle
cavità delle sue ossa.
Elly,
Jenny, Tom. Zach, Audrey, Michael, Dee, Summer
Gli inondò
la mente, cominciò a scardinargli i pensieri.
Perdonatemi.
Il buio era freddo,
freddo: divorava vita e calore e restituiva in cambio solo tenebra
intatta.
Julian cercò di gridare: l'oscurità gli strinse
la gola, si cibò del grido, lo ridusse ad gemito soffocato.
Poi si contrasse, si
plasmò in immagini e volti incredibilmente concreti, e lui
vi scivolò attraverso.
Non
è reale.
Si aggrappò
a quel pensiero con tutte le forze che le restavano.
Tutto
questo non può essere reale.
(Devo credere)
Perchè se
il buio e le immagini erano reali, allora il fantasma doveva essere lui.
Posso
rendere reali i tuoi sogni più selvaggi.
E
se non fossimo reali? E se questo fosse tutto un sogno, come lo
capiresti?
Si alzò,
puntando i piedi sul legno scuro.
-Non è
reale.- disse con voce ferma, anche se in realtà tremava.
-Cosa dici Julian, noi
siamo qui, sono con te. Cosa ti è successo?- La voce
preoccupata di Jenny non gli arrivò, ma le sue parole si. Si
voltò, senza darle spiegazioni e andò in cucina,
prese il grosso coltello da cucina e tornò vicino al camino.
-Julian, posa quel
coltello.- urlò spaventata Elly, quasi correndogli in
contro.
-Non capisci? Tutto
questo non è reale.- le disse, guardandola dritto negli
occhi, viola e azzurro che si fondevano insieme creando colori mai
visti prima.
Nessuno aveva notato
Leanan che se stava in disparte a guardarlo, lo guardava intensamente e
lui sembrava aver capito. Il dolore alla testa era diminuito,
lasciandolo riflettere con più lucidità.
-Certo che
è reale, ragiona.- insistette lei –Sei in casa
mia, e io non capisco perché…ma è come
se ti conoscessi da sempre, e ti sto dicendo che puoi rimanere qui se
vuoi. Quindi ti prego non farlo.- i suoi occhi lucidi lo incantarono. E
per un momento guardò la lama contro il suo stomaco, se si
fosse sbagliato, probabilmente sarebbe morto.
-Proprio per questo
è una finzione- sussurrò con sguardo triste.
-Non puoi ucciderti,
qualsiasi cosa….la supereremo insieme.- pianse, senza sapere
perché, forse per la sua impotenza o forse perché
stava per perdere un ragazzo che amava da qualche minuto.
-E’ una
vecchia leggenda: Se stai per morire in un sogno, ti svegli.- disse,
deciso. Strinse ancora di più il pugnale tra le mani, la
pelle tirata, le nocche bianche. -Anche se tu non te lo ricordi, ci
siamo innamorati l'uno dell'atra.- disse guardandola, gustandosi la
vista di quei meravigliosi occhi, forse, per l'ultima volta.
Inspirò profondamente, rimanendo senza fiato
quando il coltello perforò la carne.
*
Voglio svegliarmi.
Voglio
svegliarmi.
Voglio
svegliarmi.
Faceva
freddo, il suo corpo immerso nell’acqua non rispondeva ai
suoi comandi. Poteva controllare incubi di ogni genere e non riusciva a
controllare il suo stesso corpo. Era indubbiamente ironico. Anche
sospeso tra vita e morte le sue labbra si tesero in un sorriso da lupo,
piccole bolle d’aria si sollevarono verso
l’alto…o verso il basso?
I suo pensieri erano
sconnessi, come se fossero stati tirati e separati uno ad uno, le
uniche parole che riconobbe con lucidità furono
“Voglio svegliarmi’”.
Aprì
lentamente gli occhi, il sale marino bruciava e gli annebbiava la
vista, ma tuttavia riuscì a vederla, la scritta sul fondo
che lo scherniva con la sua immobilità.
GAME OVER.
“Quando
dirò tre ti sveglierai” la voce di
Leanan gli arrivò chiara e cristallina come se fosse accanto
a lui. Strinse gli occhi facendo uscire altre bolle d’aria,
non capiva le sue parole, si era pugnalato e quindi si sarebbe dovuto
svegliare subito. Perché era immerso nell’acqua,
allora? Perché sempre quell’elemento?
“Uno”.
Non sentiva più freddo alle mani, riusciva a sentire gran
parete del suo corpo, strane immagini gli scorrevano davanti a gli
occhi, come se avesse vissuto più di una vita, invece di
un’eternità.
“Due”.
Si dice che quando stai per morire tutta la tua vita ti scorre
davanti…ma non tutta. Per qualche ragione vedeva solo errori
davanti a se. Il suo ricordo più orribile, il suo incubo. La
fugace visione dell’uomo ombra che aveva inciso il suo nome
gli arrivò come uno schiocco di frusta, mostruoso, con la
pelle della stessa consistenza del cuoio, gli occhi completamente rossi
ad eccezione delle irridi blu, la bocca allargata come quella dello
stregato “Ricorda, anche tu diventerai così un
giorno.”
“Tre”.
Si sollevò di colpo dal letto scomodo, con una mano premuta
contro la bocca per reprimere l’urlo che lottava per uscire
dalla sua gola. La camera dove si trovava era piccola ed ingombra del
letto matrimoniale e di due comodini, i muri erano ricoperti di carta
da parati scozzese, così come la coperta sulla quale era
sdraiato, il tappeto, il gilè sulla camicia bianca che
indossava. Quando lo tirò per osservarlo meglio fece uno
strano rumore, come se fosse stato appena inamidato. Strappò
via, confuso, la targhetta con il prezzo della camicia, notando solo
ora che in quella stanza tutto aveva un prezzo. Corse fuori da quella
stanza assurda, constatando con sorpresa che non era proprio una stanza
ma una di quelle camere finte nei negozi di arredo, con
l’unica differenza che ce ne erano decine tutte identiche.
Correva lungo la strada di una normale cittadina, ma senza incontrare
anima viva, nessuno che in quell’assolato pomeriggio avesse
qualcosa da fare. Si fermò al centro
dell’incrocio, guardando per un momento le sue ombre che si
estendevano in tutte le direzioni, confondendolo anche di
più se possibile. Si sarebbe dovuto svegliare, ma allora
perché era in quel luogo, che fosse un altro scherzo di
Leanan?
Alzò la
testa, i suoi capelli sotto il sole splendevano con mille riflessi
color oro, gli occhi di un azzurro chiarissimo, che lo facevano
sembrare un bambino.
SVEGLIATI. A
caratteri cubitale, un piccolo aeroplano giallo si trascinava
uno striscione con le lettere dipinte di un nero lucido. Avrebbe voluto
urlare, con rabbia ceca, che ci stava provando con tutte le sue forze
ma che tutto ciò che faceva era inutile. Aveva il fiatone, e
quella dannata cravatta non lo faceva respirare. Allentò il
nodo, girando su se stesso lentamente e cercando di riconoscere quel
luogo. Si accorse che nulla era cambiato e allo stesso tempo nulla era
come prima.
Era davanti la porta
della casa da qualche minuto, senza sapere bene cosa fare. Doveva
suonare o aspettare che la porta si aprisse da sola? Il suo volto
veniva deformato dallo spioncino, sentiva il torace alzarsi e
abbassarsi a ritmo accelerato, con quel fastidioso tintinnio ancora
nelle orecchie, e dei passi dietro la porta, delle chiacchiere
distratte. Suonò, sentendosi per l’ennesima volta
uno straniero in un mondo oscenamente ordinato. La porta si
aprì dopo qualche istante con un sommesso cigolio. Elly lo
guardava stranita, la bocca carnosa e morbida aperta in una muta
sorpresa. Aveva il suo stesso identico gilet, ma dal taglio
più femminile, sembrava anche più grande con i
capelli lisci e anonimi, teneva la porta semi chiusa, aspettava che
dicesse qualcosa…ma cosa?
-Ti conosco?-
domandò con la sua voce argentina, oscurata dal velo di
diffidenza che si usa con gli estranei.
-Sono io!-
esclamò aprendo e facendo da parte la porta –Sono
io, Julian- ripeté.
-Non ti
conosco.-rispose confusa, indietreggiando lentamente.
-Cosa?! Certo che mi
conosci- La abbracciò ma lei iniziò ad urlare e
lottare.
-Tom, Aiuto!- ecco di
chi doveva essere l’altra voce che aveva sentito, forse lui
lo avrebbe ascoltato. Ma quando arrivò il ragazzo, non lo
guardò ne con lo sguardo carico d’odio che si
aspettava ne disse una parola. Lo spinse semplicemente fuori dalla
porta, chiuso in un inreale mutismo. Quello era il uo inconscio, si era
arreso all’evidenza, e forse per questo che era solo. Lui era
sempre stato solo, dalla notte dei tempi. Ma conosceva quei ragazzi
come se fossero un suo braccio avrebbe potuto immaginare
centinaia di conversazioni. Forse il suo subconscio non li conosceva
realmente… non conosceva neanche se stesso.
Il ticchettio aveva
iniziato a rimbombare di nuovo nella sua testa, era come sentire delle
campane a pochi metri di distanza. Corse cercando un altro indizio,
ignorando il mal di testa, cercando di fari largo tra i vialetti ben
curati della cittadina.
-Julian…-
si voltò, qualcuno lo chiamava. Era una voce che aveva
già sentito prima anche se in quel momento non avrebbe
potuto dire dove l’avesse sentita. Veniva dalla sua sinistra,
quasi si aspettava di vedere del fumo nero, uno manciata di
oscurità così fitta da farti credere di essere
morto. Ma tutto ciò che gli apparve davanti era la cittadina
tranquilla e silenziosa, così luminosa da fargli venire i
brividi.
-Julian…- A
destra, questa volta veniva dalla sua destra. Era bassa e roca, come
pietre che si strofinano l’una con l’altra per
creare del fuoco. La normalità agghiacciante lo
schiacciò, ma poi lo vide: sulla collina, grosse lettere
bianche contornate di nero erano state sistemate da silenziosi e
velocissimi operai.
JULIAN, CHIAMA: 123-581-1321
Ad un solo isolato di
distanza c’era una vecchia cabina telefonica, se fosse stato
più lucido in quel momento, se avesse pensato a
ciò che stava facendo,avrebbe potuto pensare ad una trappola
di Leanan o degli uomini ombra, quegli indizi erano troppo facili da
seguire.
Ma Julian non stava
riflettendo. No, lui era puro istinto, qualcosa che non può
essere governato dalla ragione. Aveva paura, certo. Perché
perdersi nella propria mente può farti scoprire cose
terribili, ma era anche incredibilmente euforico, vivo. Il cacciatore
era diventato la preda e tuttavia si stava divertendo,
focalizzò nella sua mente il momento in cui avrebbe
affondato i denti nella pelle nuda di Leanan, il momento in qui avrebbe
sentito l’odore vibrante del suo terrore. Prese la cornetta e
infilò la mano nei pantaloni, ne estrasse una moneta, grossa
e d’oro massiccio.
“Tutto
ciò è dannatamente divertente”
pensò con un sorriso bieco e ironico, facendo scivolare il
doblone nella fessura. Quella nuova situazione lo aveva stupito, ma lui
non rimaneva impressionato a lungo, si chiese con selvaggia
curiosità chi avrebbe risposto al capo opposto. Di sicuro
non Elly… forse Leanan.
-Pronto? Chi
è?- domandò una voce identica alla sua. Una voce
nata nelle tenebre, risuonava della musica degli elementi, come acciaio
rivestito di velluto rosso.
-Pronto? Chi
è?- ripeté Julian corrugando la fronte.
-Chi è?-
chiese con maggior forza la voce infastidita, si fece più
minacciosa.
-Mi è stato
detto di chiamare questo numero- sussurrò con le labbra che
accarezzavano la cornetta grigio chiaro –Il mio nome
è Julian- aggiunse. Attese una risposta, ma dopo qualche
secondo sentì una lieve risata, aveva
l’impressione che le labbra della voce si fossero tirate in
un sorriso da lupo, mostrando dei letali denti bianchi.
-E’ uno
scherzo?- Domandò con ancora i rimasugli di una orribile
risata. Julian strinse un secondo gli occhi, era l’identica
domanda che avrebbe voluto porre a se stesso.
-No, no…
io..- stava cercando di spiegare qualcosa che neanche lui conosceva, ma
a voce interruppe sul nascere la loro conversazione, lasciando Julian a
fissare la cornetta. Ma non si fece intimorire, si riprese subito,
infilò un altro doblone e premette il tasto per chiamare il
centralino*.
-Operatore?-
-Si?- la voce
impostata e meccanica della nuova voce lo snervava, ma doveva fare in
fretta e quindi chiuse gli occhi e ispirò profondamente.
-Ho bisogno
dell’indirizzo di questo numero:123-581-1321- disse
velocemente, domandandosi se fosse sua quella voce così
stanca e roca.
-Attenda un
attimo- rispose. Sempre con gli occhi chiusi, provò ad
immaginare cosa stesse facendo Elly in quel momento. Poi, si chiese,
cosa stesse facendo lui in quel momento. L’ipotesi
più plausibile era che stesse dormendo, e non era detto che
fosse passato tutto il tempo che immaginava. Il tempo nei sogni
è soggettivo, sembra che sia passato un anno e invece sono
passati venti minuti.
-12358, Heloise
Street- La voce fredda e calcolata lo scosse da quei pensieri.
Iniziò a correre, l’unica cosa sensata da fare.
Il numero della casa
ciondolava, facendo un rumore stridulo, come quello delle unghie contro
una lavagna. La casa del nonno di Jenny, ovviamente. Poco importava che
fosse impossibile che fosse a pochi isolati dalla casa di Elly, poco
importava che fosse l’ultimo luogo nel quale volesse andare.
Molte cose erano successe in quel luogo: era stato catturato da un mago
che poteva considerarsi un bambino, gettato in uno sgabuzzino come
qualcosa di vecchio, sofferto per la vicinanza ai suoi
antenati, stolte e mostruose creature pronte a schernirlo, e non si
poteva dire che quel vecchio non avesse pagato il suo debito.
Lì era morto, felice per la prima volta dopo tanto tempo.
Quella casa trasudava peccato, magia, usurata dal tempo. Troppo a suo
parere, porte e finestre erano sbarrate da grosse travi di legno, e la
casa sembrava inesorabilmente sul punto di crollare in pezzi. Ma, come
già detto, era del tutto inutile perdersi in inutili
osservazioni, quella era la sua mente, quanto poteva essere logica la
situazione?
Staccò
dalla porta sul retro due o tre travi, giusto per passare,
l’edera ormai secca doveva essere stata, un tempo, verde e
combattiva, perché era riuscita ad insinuarsi fin dentro
casa. L’interno era fatiscente, la carta da parati porpora
era scrostata e penzolante, i pochi mobili rimasti consumati e divorati
dalle termiti, il pavimenti ricoperto da un consistente quantitativo di
polvere. Un piccolo CD era appoggiato su una scrivania sembrava
chiamarlo. Lo inserì nel lettore sotto il televisore al
centro della sala e aspettò.
-Salve, Julian.-
La voce argentina, il
tono beffardo. Una donna demoniaca apparsa nel televisore della sua
mente. Ironico, senza dubbio.
-Leanan-
salutò con un lieve cenno del capo, il sorriso mesto, la
posa arrogante.
-Ti diverte il mio
scherzetto, uomo ombra?- domandò curiosa, gli occhi grandi e
blu che si stagliavano nello schermo.
-Una vera
noia… mi aspettavo qualcosa di più spumeggiante
da parte tua.- Rispose insolente.
Leanan sorrise
dolcemente, sembrava felice…. E triste.
-Sai, ho sofferto
molto nella mia vita.- disse con sguardo basso.
-E ora cosa
c’entra? Sai bene che il mio cuore non
c’è spazio per la compassione- rispose duro.
-Sei così
arrogante. Ma sapevo bene che tu non sei altro che un bambino che
è stato lasciato da solo a marcire… hai aspettato
silenziosamente che la tua anima e il tuo corpo si deteriorassero, hai
cercato di assopire il tuo bianco facendo prevalere la tua anima nera.-
-Non osare!-
urlò Julian –Io sono ciò che sono, non
ho mai cercato di cambiare.-
-Ma davvero?!-
riversò in quelle parole veleno e dolcezza, un gusto
afrodisiaco per l’udito di Julian. –Ma allora
perché hai cerato di salvare quella dottoressa
così tante volte? Perché hai avuto paura di
perderla, cadendo nell’oblio del terrore… TU uomo,
come credi di poter ingannare un’ingannatrice che ha vissuto
secoli e secoli prima di te?- disse piena di astio, astio che sembrava
mascherare qualcos’altro.
-Perché..
io…- non sapeva cosa risponderle, perché lo aveva
fatto? La amava, ecco perché…eppure si era spesso
chiesto, anche con Jenny perché fosse l’unico
della sua specie ad amare, era un uomo ombra e gli uomini ombra non
provano simili sentimenti. La sua specie, tutta la sua specie, era nata
dalla fredda pietra, un’orrenda manciata di rune gettate
senza molta grazia. Erano condannati a deteriorarsi come frutta sotto
il sole, che nessuno accoglieva.
-Tu la ami, vero?-
domandò lei con la testa inclinata di lato, i grandi occhi
blu profondi come fiordi norvegesi.
-Si-
-E non ti è
mai venuto in mente che questo, tutta questa storia potesse essere un
sogno?- domandò Leanan aprendo le braccia, come a voler
abbracciare tutta la casa.
-Io… non ho
riflettuto.- rispose distogliendo lo sguardo, odiava essere trattato
come uno stupido, ma lui era il più giovane tra gli uomini
ombra. In qualche modo ci era abituato.
-Desideri che ti
spieghi le regole del gioco?-
-Illuminami.-
ordinò scettico.
-Quando hai curato
Tom, il tuo corpo ha preso le sue ferite, lo hai guarito ma il dolore
non scompare mai, si trasforma, si trasferisce da un corpo
all’altro, si cura ma non scompare.- disse seria.
-Questo lo so bene.-
-Ma tu hai voluto
strafare, hai curato anche Audrey, e Michael… e Audrey era
rimasta per troppo tempo nella stanza…ricordi?-
Julian
annuì appena, iniziava ad essere tutto chiaro. Se si
rimaneva troppo tempo in quella stanza rimanevi imprigionato nei tuoi
stessi incubi…e non come nella casa di carta! Rimanevi
rinchiuso nella tua stessa mente, condannato a rivivere per sempre i
tuoi incubi peggiori. Julian ne aveva avuto un assaggio, vedendo morire
nei modi più disparati la donna che amava.
-Noto dalla tua
espressione che hai già capito. Sei rimasto imprigionato
nella tua stessa mente, e hai vissuto i tuoi incubi più
orribili.- disse dura –Tu hai paura, Julian. Paura d sentirti
impotente… proprio perché sei sempre riuscito a
controllate qualsiasi cosa. Ma gli uomini vengono spesso sottovalutati,
eppure hanno una volontà di fuoco.- aggiunse.
Julian rimase in
silenzio, colpito dalla veridicità di quelle parole.
-Era il tuo sogno,
vero?-
-Cosa?-
domandò apatico.
-Essere felice.- disse
Lei con semplicità.
-Non è
così… io…io…- non sapeva
come formulare quelle parole, voleva distruggere qualcosa, come se
nella distruzione potesse vedere il suo vero essere.
-Io non è
che volessi essere felice, questo no. Volevo…salvarmi,
ecco:salvarmi.- rispose infine, incerto.
-Salvare la tua anima
nera come la pece?-
-Si-
-Quel labirinto, lo
hai attraversato così tante volte, non ti sei mai accorto
che ti assomigliava?-
-Assomigliarmi? In che
senso?-
-E’
complicato, spaventoso, impossibile da capire….e tu,ragazzo
mio, sei il più grande interrogativo che
l’eternità mi abbia mai posto. Sei come un
indovinello senza risposta. Eppure… allo stesso tempo sei
semplice. Come fa un essere dalla natura distruttiva come la tua ad
amare qualcosa?-
-Non lo so, me lo sono
sempre chiesto.-
-Forse tu sei
speciale.- aggiunse, con la bocca che si piegava in un dolce sorriso.
-Non dovevi spiegarmi
il tuo scherzetto? Credo di meritarmelo.- disse voltando le spalle a
quel sorriso che attraversava lo schermo.
-Così sei
rimasto intrappolato nel tuo stesso trucco, intrappolare le persone
negli incubi.- ripetè, cristallina.
-Ironico sopra ogni
altra idea congeniata.- rispose asciutto, le braccia strette al corpo.
-Ti ringrazio- disse
piegandosi in un inchino –Per questo tutto era
così confuso. Ma sono sicura che una domanda ti preme
più di ogni altra; ebbene ponila pure.-
-Elly è
dunque morta nel labirinto?- al pronunciare quelle parole perse un
battito. Sarebbe stato meglio morire che vivere con la consapevolezza
di aver ucciso, con la sua presenza, Elisabeth.
-Anche il labirinto
era un sogno. Io ti avevo invitato, in origine, di nuovo nel parco dei
divertimenti. Mi hai uccisa nel faro.- Per tutto il tempo, lei era
rimasta seduta. Ora invece, in piedi, anche se con le gambe tagliate
dall’inquadratura, poteva vederla a figura intera. Il suo
vestito bianco, di raso lucido, era macchiato all’altezza
dello stomaco. Rosso, rosso sangue.
Ma Julian quasi
barcollò per il sollievo, sapere che Elly era viva, la
consapevolezza che lei fosse in qualche posto al sicuro, che non era
l’estranea che non lo aveva riconosciuto era una sensazione
indescrivibile... tanto che non poteva crederci.
-Questo non è possibile.- affermò con estranea
assennatezza -Me ne sarei ricordato, sono un uomo ombra, so riconoscere
un sogno quando ci sono dentro.-
-Sei molto giovane Julian, non puoi accorgerti di un sogno creato da
me.- rispose dolcemente, ancora quel tono lo confuse, facendogli
inclinare la testa. -Dimmi, quando l'hai vista ''per la prima volta''
non hai avuto l'impressione di averla già vista, di
conoscerla da molto tempo? Non pensi di esserti innamorato troppo in
fratta di lei?-
I dubbi che lo avevano attanagliato per un mese si sciolsero, come una
matassa che veniva tagliata.
-Due anni. Siete stati insieme due anni prima che mi intromettessi.-
sibilò -Ti è piaciuto il mio scherzo, uomo
ombra?-
-Il tuo
scherzo è stato memorabile, ma ho ancora una cosa da
chiederti.- disse Julian, gli occhi che fiammeggiavano come
falò azzurri –Perché hai fatto tutto
questo?-
-Prima di risponderti,
c’è una cosa che dovresti sapere.- disse lei seria.
-Cosa?-
-Devi ascoltare la
verità dalle sue labbra- Tese una mano verso di lui,
immergendola nello schermo, lasciandola passare con tutto il braccio
per protendersi verso di lui.
A Julian non
servì altra spiegazione. Leanan era la verità, si
diede dello stupido per non averlo capito prima. Prese la sua mano, si
immerse nei pixel dello schermo, lasciò che come un liquido
si formasse intorno a lui.
La stanza
completamente nera lo inghiottì. Nel suo colore, il nero,
nel suoi elemento, l’oscurità, lasciò
che la mente vagasse e si preparò a scoprire tutta la
verità.
Hello!! come state carissimi?
Allora, ho una schiera di fan (mia madre e mia sorella, sigh) che mi
stanno facendo la ola per la velocità con cui sto
pigiando i tasti!!!
che dire? spero di aver sciolto tutti i dubbi!
Mancano ancora solo due grandi segreti: Perchè Leanan ce
l'ha tanto con Julian e qual'è il segreto di Elly (il meglio
per ultimo)
Non so quanto ci metterò per pubblicare il prossimo (spero
poco) e poi volevo dire a ''Destruction'' che è
liberissima di aggiungermi si Facebook, anzi mi fa molto piacere che tu
me lo abbia chiesto cara! Anche perchè gente, mi dispiace
dirlo, ma sparirò dalla circolazione per un po' quando
finirò Stranger (sigh T___T mi mancherete *abbraccia tutti*)
Anyway, che sono queste facce tristi? Un megabacione!
Jessy ♥
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