Dedicata a chi non è sopravvissuto all’11 settembre
e a chi pur avendo ancora la propria vita ha perso
la ragione di viverla.
L’insieme
delle pause che compongono un silenzio è una cosa molto più difficile da
comprendere di quanto possa sembrare a prima vista.
Lui, non
Castle, Nathan ha sempre riconosciuto al silenzio una maggiore quantità di
privilegi rispetto alle parole, poiché esse possono esprimere solamente una
parte dei propri sentimenti.
Era rimasto in
silenzio, la sera prima, quando lei gli aveva chiesto perché la guardava in
quel modo, perché l’aveva toccata in quel modo.
Anche in
questo momento ha scelto il silenzio per esprimere ciò che ha dentro, ma lei
non è Beckett, non ha un copione su cui sono scritti i pensieri di Castle, lei
è solo Stana, con i suoi problemi, i suoi dubbi e l’uomo che ama davanti a sé.
Stana sa che
quella domanda non richiede risposta, ma la vuole sentire lo stesso.
Nathan passa
davanti al camerino di Stana con il caffè in mano, la porta è aperta ma lui non
accenna a voltarsi verso quella donna che sta pregando, con le mani giunte e il
mento appoggiato sopra, sperando che quell’uomo dagli occhi azzurri interrompa
quel silenzio durato troppo tempo.
«Nathan». Le parole
escono da labbra più rosse del solito, quello non è il loro vero colore, e lui
se ne accorge voltandosi verso quella voce che l’ha chiamato. Poi di nuovo
silenzio.
Stana chiude
gli occhi, lo sente dietro le sue spalle.
Ti prego non andartene.
Ti prego non lasciarmi di nuovo.
Ti prego amami.
Dita morbide e
forti scivolano sul collo scostando appena i capelli, Stana china la testa per
facilitare i movimenti dell’uomo. Nathan si arresta. Sospira.
Stana apre gli
occhi, vede nello specchio il riflesso di un uomo che ha paura, la sua mano
trema sulla sua pelle candida. Tremano insieme.
«Stana io...».
Le frasi
rimangono incomplete, anche se la fine è lì, davanti a loro, basterebbe quel
poco per rendere tutto finalmente reale e non solo più una possibilità, ma sono
attori e a volte è più facile impersonare un personaggio nato sulla carta
bianca, che vivere attraverso se stessi.
«Io...». Sempre
e solo io. Io e Stana o Nathan ed Io, mai un noi ed è questo che li ha divisi
sin dalle prime apparizioni sul set, è colpa di quell’egoismo e quell’orgoglio
che li hanno sopraffatti e che hanno rischiato di allontanarli definitivamente.
«Io non avrei dovuto».
Gli occhi di
Stana si chiudono, sente le lacrime che vogliono segnare il suo viso, la mano
di Nathan si allontana dal suo collo, Stana cede, piange.
Lui vede
quelle lacrime, le vede riflesse nello specchio e abbassa lo sguardo, come un
codardo, incapace di affrontare le conseguenze delle sue parole.
Sa che il
silenzio è molto meglio, allora perché non è stato zitto?
«Io sbaglio
sempre tutto». La voce di Stana è decisa, quasi divertita e non rotta dal
pianto come immagina lui, Nathan fa per fare un passo avanti ma si ferma prima.
«Sei un bravo attore Nathan, e non lo dico con disprezzo, tutt’altro, ma con
ammirazione» Nathan si passa una mano tra i capelli, sa quali saranno le parole
di Stana. «Quel bacio per me non è stato finzione, no, non avrei mai potuto
baciare Seamus o Jon in quel modo. Certo se avessi dovuto, ci avrei anche
provato, ma no, non li avrei baciati come ho baciato te sul set. E ieri sera
quando ti sei presentato nel mio camerino con il bicchiere di spumante e quegli
occhi azzurri pieni di gioia, ho davvero pensato che ci fosse qualcosa di più
tra di noi, per questo ti ho chiesto perché mi avevi guardata e toccata in quel
modo sul set, anche se il copione non lo richiedeva. Ma ora lo so, sei solo un
bravo attore che vuole interpretare al meglio la sua parte, e io.. io sono una
stupida». Si copre il viso con le mani, sente il mascara appiccicoso sugli
zigomi, si vergogna per quel suo gesto di debolezza.
Lei è forte ma
si sente come una ragazzina che piange per il suo primo amore. Piange, che
stupida, non si è nemmeno accorta che Nathan si è accovacciato vicino a lei,
che ora i loro visi sono alla stessa altezza a pochi centimetri di distanza. Di
nuovo egoisti, lei pensa solo alle sue lacrime e lui a come non cederle.
«Vattene Nathan, è già abbastanza umiliante così. Vattene».
Nathan non si muove,
appoggia la sua mano su quella di Stana, non l’aveva mai vista in questo stato
ed è stato lui a ridurla così. Anche Nathan vorrebbe piangere ma preferisce il
silenzio delle parole e dei gesti. Sta uccidendo Stana pur essendo convinto di
starla salvando.
«Ti prego
Nathan...». Un sussurro. La vergogna. Un po’ di pietà.
Nathan accarezza
il viso della donna che ha di fronte a sé, è uno spazio ridotto dalle sue mani
che la continuano a proteggere come uno scudo, ma il tocco con quella pelle lo
fa tremare di nuovo, come qualche minuto prima. È una scossa dentro di sé che
gli percorre tutta la spina dorsale, è un crampo allo stomaco forte come un
pugno, è qualcosa che fa male, dannatamente male, eppure sta bene come non lo è
mai stato prima. «Credo di amarti Stana».
Silenzio. Quel
dannato silenzio che si sta impossessando del loro rapporto, ora è Nathan a
odiarlo. Stana sposta le sue mani, i suoi occhi increduli si riflettono nello
specchio, sono lucidi, contornati dal mascara nero eppure Nathan e lì che la
guarda con ammirazione, come una dea. Si Stana sembra una dea.
Ti prego guardami.
Ti prego non odiarmi.
Ti prego sii mia.
Le dita
sottili e curate di Stana s’intrecciano con quelle di Nathan prima che lei si
volti. Basterebbe avvicinarsi all’altro di poco per coronare un sogno, ma la
paura è ancora nell’aria. Si sono dichiarati, la parte più difficile sembra
essere superata, e invece sono fermi a esitare su un bacio. Su un semplice
bacio. In fondo l’avevano già fatto e non è così difficile.
Stana si volta e sorride. Nathan respira
di nuovo.
I loro sguardi sono rivolti l’uno all’altro,
non sono fissi in un punto, sono vaghi esaminano tutto nell’insieme, sanno che
avranno altro tempo per analizzare i particolari.
«Ti posso baciare?». La voce di Nathan è
poco più che un sussurro e mentre pronuncia quelle tre parole si sente uno
stupido, chi chiede di poter baciare la donna che ha davanti a sé? Nessuno, si
fa e basta ma lui no, ha paura che lei possa andarsene nonostante tutto.
Stana acconsente con due leggeri
movimenti del capo.
È Nathan ad avvicinarsi a Stana, e lei
lo aspetta già con le labbra dischiuse.
Il tempo sembra andare al rallentatore e
forse è così, lo sanno tutti che l’attesa è il periodo più lungo da sopportare,
e quel lento avvicinarsi è un’estenuante attesa, più lunga ancora dei quei
quattro anni passati insieme.
Si baciano dolcemente assaporando l’uno
il gusto dell’altro.
Qualcuno fuori dal camerino sorride e in
punta dei piedi si allontana, lei l’aveva sempre saputo che sarebbe successo,
lei sapeva che Stanathan esiste.
Rebecca Is Here:
Salve! *entra nel fandom fischiettando* Come va?
Non avevo mai scritto una Stanathan prima, mi ero solo limitata alle
Caskett e sì sono agitata e curiosa di sapere cosa ne pensate.
Questa storia è nata dal silenzio o forse dalla musica che risuonava dalle
casse e che non ascoltavo, bah so solo che le mie dita non hanno mai smesso di
scrivere, conoscevano la storia prima di me.
Grazie di averla letta, spero a presto
Baci Becky