Ophelia.

di opheliatanis
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Ophelia Tanis Ryder




L'immagine che lo specchio rifletteva non era mai stata più lontana dall'idea che Ophelia aveva di sè, o che gli altri avevano di lei. Era il grande giorno, il suo giorno era arrivato. Il giorno della Mietitura, della sua mietitura, e lei sarebbe stata semplicemente perfetta. Con l'aiuto di suo padre era riuscita a fare arrivare da Capitol City l'abito perfetto per quel giorno perfett: in realtà era un abito molto semplice, ma che allo stesso tempo aveva un forte impatto. Era bianco, in stile impero, con una scollatura generosa che lasciava intravedere le sue forme; sotto il seno e sulle spalline era tempestato da una pioggia di gemme preziose, che avrebbero ricordato a tutti da dove veniva e che, se possibile, rendevano i suoi occhi ancora più luminosi, freddi e decisi. Il dolce fruscio provocato dalla seta della gonna accompagnava ogni movimento di Ophelia, che girava su se stessa, cercando di immaginarsi salire sul palco: quella era la sua giornata. Quello che l'aveva subito colpita dell'abito era il modo in cui la faceva apparire: fasciata di bianco, in quelle linee morbide, pareva una dea, o meglio ancora, pareva un angelo, e chiunque conoscesse almeno superficialmente Ophelia Tanis Ryder poteva tranquillamente definirla una creatura demoniaca, piuttosto che angelica. Aveva raccolto i capelli color del grano in uno chignon morbido che permetteva a qualche ciocca ribelle di cadere ai lati del volto, conferendole un'aria romantica, e aveva completato il tutto con un cerchietto alto, un bracciale e degli orecchini tempestati delle stesse gemme che si trovavano sull'abito. Era pronta, ed era perfetta. Già s'immaginava gli abitanti della Capitale fremere nell'attesa, e poi gridare il suo nome, ammirarla, amarla, elogiarla. Sarebbe stata ciò che Capitol City voleva che fosse: un angelo della morte, sensuale e letale, lasciva e pronta ad uccidere a sangue freddo. Lo sarebbe stata per vincere, per tornare, per la gloria eterna. Fece un'ultima giravolta su se stessa osservandosi in ogni piccolo particolare, quando si rese conto che, sulla porta dietro di lei,sua madre l'osservava con un'espressione indecifrabile sul volto: si avvicinò a lei e le prese le mani, ristabilendo tra loro la connessione che si era spezzata il giorno del suo dodicesimo compleanno, quando la piccola, indifesa Ophelia era diventata carne da macello. Vincerò. Una semplice parola prima di lasciare le mani piccole e delicate della madre, le stessa mani che anni prima avevano ucciso chissà quanti giovani per arrivare dov'era ora. Si voltò e sospirò trasognata udendo il richiamo alla Mietitura, uscì di casa, diretta verso la propria morte e la propria rinascita.




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