Allora, un po’ di spiegazioni: sono una grandissima fan di Batman, tempo
fa mi ero cimentata con un ipotetico sequel di “The Dark Knight”, immaginando
una Gotham in balia dei due pazzoidi numero 1, ovvero Joker e dolce metà, Harley
Quinn. Ben presto ho realizzato che avrei rischiato di fare uno schifo un
gran casino e ho abbandonato la FF.
Ho visto il sequel da poco uscito “The Dark Knight Rises” per tre volte e
per tre volte ho pianto come una disperata (sono un caso grave), mi sono venuti
i brividi, mi sono emozionata come un’adolescente alle prese col suo primo
amore.
Arriviamo al sodo: fra tutti i personaggi (oltre a Batman, che rimane il
mio amore super-eroico di sempre) sono rimasta colpita da uno in particolare,
ovvero John Blake. (interpretato dal quel gran gnoccone da un
eccellente Joseph Gordon-Levitt.) Cosa mi ha colpito di Blake? In realtà,
essendo io stessa attrice, facevo molta attenzione alla recitazione, alla mimica
etc. (deformazione professionale) ma una scena in particolare ha catturato la mia
attenzione, ovvero la scena in cui John Blake parla con Bruce Wayne e gli dice
di aver capito la sua identità. La scena non era basata solo su questo, il
caro John parlava della sua infanzia, della sua rabbia repressa, in quanto
orfano di genitori morti in circostanze che possono essere “assimilate” a quella
di Bruce. Mi ha colpito molto il suo discorso sulla rabbia, sui suoi sentimenti e
di come sono serviti per determinare il finale del film. (Attenzione, stiamo
entrando nella zona SPOILER)
Dunque, cosa ho fatto io? (“Ho
preso il paladino di Gotham e l’ho trascinato al nostro
livellooo..”Scusate, non ho resistito) Data la mia passione per tutto
quello che riguarda l’introspettività e i trascorsi dei personaggi, ho cercato
di ricordare per bene il monologo di John Blake (cavoli, dopo aver visto 3 volte
il film, qualcosa ricorderò) e l’ho trasformato in questa Ff che state per
leggere. E’ divisa in capitoli, anche se avevo pensato di fare una One-shot (che
sarebbe diventata una specie di poema epico) ed ognuno di questi riguarda un
pezzettino del discorso di John Blake. Chi ha visto il film forse li
riconoscerà!
Soliti bla bla
bla: "The Dark Knight Rises" e personaggi non mi appartengono, bla bla bla, non è
a scopo di lucro e bla bla bla.
AVVENTUROSI ATTENZIONE!
Non cominciate se non intendete
finire
(cit. “Jumanji”), se non volete spoilerarvi
il film (come è successo a me…TT__TT) non la leggete. Se siete masochisti fate
pure. Se siete bravi mi lascerete un commento . Il migliore riceverà in premio
John Blake. (no scherzo. Me lo tengo io, gli voglio troppo bene. )
Hasta la vista, baby!, (stasera ce l’ho con le
citazioni).
Anger.
Il cortile era
sovraffollato e rumoroso. Le grida dei bambini che giocavano riuscivano a
sovrastare il rumore delle macchine che circolavano svariati piani sotto di
loro.
Era il primo pomeriggio
soleggiato, dopo una lunga serie di giornate piene di neve e di pioggia,
giornate fredde, di un inverno che durava troppo a lungo e gli insegnanti del
St.Switin’s avevano pensato bene di far prendere una boccata d’aria ai bambini,
smaniosi com’erano di correre e giocare sulla terrazza dell’orfanotrofio, per
quanto lo spazio glielo consentisse
Alcuni bambini parlavano tra di loro in modo concitato, seduti sulle
panche poste contro la recinzione che delimitava la terrazza/cortile, battendo
ogni tanto i piedi per riscaldarsi, le guance arrossate dal freddo, altri
giocavano alla “campana” tracciando disegni con gessetti rossi e bianchi, altri ancora leggevano, i più
scalmanati si lanciavano la neve rimasta sul cemento e scivolando sul ghiaccio
formatosi in più punti. I pochi adolescenti che erano rimasti ( di solito, al
compimento dei 16 anni, i ragazzi potevano scegliere se rimanere e continuare la
scuola, oppure lasciare il nido che li aveva protetti fino a quel momento e
cercare di farsi una vita a Gotham) sedevano in disparte fumando di nascosto
sigarette rimediate con dei piccoli espedienti o conversando fra di
loro.
Nell’atmosfera di euforia
generale, nessuno pareva fare caso a un bambino seduto in disparte, lontano da
tutti gli altri, con le braccia piegate sulle ginocchia e lo sguardo fisso a
terra, e a lui stava benissimo così. Gli piaceva questa specie di invisibilità,
non aveva alcun interesse nell’unirsi ai giochi degli altri.
Aveva circa 10 anni, ma
ne dimostrava meno, a causa della sua piccola statura. Strusciò le mani, coperte
da guanti rossi a mezzo dito, sulle ginocchia, girando la testa verso quello che
gli sembrava un universo a parte.
“Come fanno ad essere
così felici?” si chiese, osservando due bambini che avevano tutta l’aria di
stare divertendosi un mondo, neanche fossero in un parco giochi e non in una
squallida terrazza con erbacce fra le crepe del cemento, due altalene e uno
scivolo arrugginiti e le barriere del parapetto piene di buchi, anche quelli
dovuti alla ruggine.
Il bambino sospirò, e una nuvoletta di condensa gli si formò davanti alla
bocca.
Era lì dentro ormai
da due settimane, ma sapeva che non ci si sarebbe mai abituato. Odiava
q
uel
posto.
In realtà, nessun posto
gli sarebbe piaciuto: sia che fosse un cupo orfanotrofio nel centro di Gotham,
con le sbarre alle finestre come all’Arkham Asylum, sia che si trovasse in un
accogliente appartamento.
Uno degli insegnanti dei
bambini, Padre Shannon, un uomo di 35 anni, dai capelli neri che stavano
cominciando a diradarsi e ingrigirsi, notò quel bambino isolato da tutti, che
sembrava perso nei suoi pensieri e gli si avvicinò piano, carezzando sulla testa
i bambini che si trovavano vicino. Il bambino non batté ciglio, ma continuò a
fissare gli altri con sguardo vuoto.
“Tutto bene?” esordì
Padre Shannon in tono gentile.
Il bambino alzò un attimo gli occhi per
guardarlo, annuì in fretta e si girò nuovamente verso i
bambini.
“Non ti va di andare a
giocare con gli altri?” lo incoraggiò l’uomo.
“No.” Fu la secca
risposta.
“Va bene..” Padre Shannon
annuì con fare conciliante “allora, magari vuoi un bel libro da leggere! Ne è
appena arrivato uno nuovo, molto divertente..” si bloccò un attimo e pensò che
forse quel bambino non aveva ancora l’età per capire bene un libro “o magari
vuoi un bell’albo da colorare!”
“No. E non voglio
colorare, non ho 5 anni..” sbottò il bambino, lanciando a Padre Shannon
un’occhiataccia.
“Scusami, è che non ti
conosco. Sei nuovo qui, vero?” Padre Shannon si sedette sulla panchina,
sorridendo.
“Sì.”
“Da
quanto?”
“Due settimane. Prima
stavo con dei tizi, con una famiglia, ma mi hanno mollato qui” rispose il
bambino in tono amaro.
Padre Shannon lo vide
stringere i pugni, mentre lo diceva.
“Capisco. Beh, allora
forse è il caso di conoscerci meglio, non credi? Io sono Padre Mattatias Shannon
e tu sei…?”
Ci fu un attimo di pausa,
poi il bambino rispose “John Blake.”
“John Blake, eh?” ripeté Shannon, estraendo dalla borsa il
regist
ro con i nomi di tutti i piccoli ospiti
dell’istituto.
John Blake trattenne il
respiro, guardando nervosamente l’indice dell’uomo che scorreva sulla lista,
cercando il suo nome. Quando Padre Shannon lo guardò, con aria interrogativa,
lui si morse il labbro.
“John Blake hai detto?
Ma, è il tuo cognome o quello della tua famiglia adottiva?”
“E’ il mio..”rispose
Blake a voce bassa.
“Beh, è strano! Qui c’è
un John Cain e un John Maislee, ma nessun John Blake.”
Blake si morse di nuovo
il labbro e, senza volerlo, assunse un’aria colpevole che non passò ignorata da
Shannon.
“Allora…non vuoi dirmi
chi sei?” gli chiese in tono gentile. Quante volte aveva avuto a che fare con
bambini del genere, che si rifiutavano di usare il loro cognome, usando quello
della famiglia adottiva, quasi a voler rinnegare le loro
origini?
“Robin. Mi chiamo Robin Blake..” cedette alle fine il
bambino, abbassando gli occhi.
Padre Shannon fece un
verso compiaciuto, quando vide il nome del bambino nero su bianco. “Robin
Blake..” ripeté, come se gli piacesse il suono “Robin. Bel nome!” esclamò,
allungando la mano per scarruffare i capelli del ragazzino.
Robin si irrigidì, per
tutta risposta, e scosse impercettibilmente la testa, come per indicare a
Shannon che il suo gesto non era gradito. Lo guardò dritto negli occhi e disse a
voce bassa “Non voglio che mi chiami così. John Blake va
benissimo.”
“Non credo
che…”
“Blake.” Scandì il
ragazzino, a denti stretti.
A quel punto, Shannon si
alzò in piedi e si allontanò, senza spiegarsi il perché di questo suo gesto,
chiamando i ragazzi e dicendo che era l’ora di rientrare.
John Blake si unì alla
coda di ragazzini, senza schiamazzare, senza agitarsi. Calmo, una calma
innaturale in un bambino così piccolo.
Più tardi, quella sera,
il piccolo Blake si rigirava nel letto, senza riuscire a prendere sonno. Lui ci
stava provando veramente a seppellire tutto, ma proprio non ce la faceva. E quel
nome non faceva che ricordargli cose che non voleva più
ricordare.
Da qualche parte,
nell’istituto,Padre Shannon capì perché si era allontanato così in fretta da
quel ragazzino taciturno. Non era stato un “dargliela vinta”, no.. Padre Shannon
era rimasto sconcertato dallo sguardo che quel ragazzino gli aveva lanciato. Uno
sguardo adulto, una sguardo che tradiva una rabbia silenziosa, una rabbia che
ribolliva sotto una superficie di calma apparente, una rabbia che non aveva
visto negli occhi di nessun bambino, prima di allora.
Fuori, nel frattempo, aveva
ricominciato a piovere.
E così eccoci con il primo capitolo! In realtà è ancora molto
“introduttivo”, ma spero di aver fatto un lavoro accettabile! Aspetto con ansia
i vostri pareri! A presto!