Meno male che non sono vissuti insieme

di La Mutaforma
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“Carissimi colleghi, non credo che esistano nell’infinito parole per descrivere quanto mi senta infinitamente felice di trovarmi in riunione con tali persone dall’infinito intelletto!” esclamò Anassimandro, pieno di infinito rispetto.

Anassimandro. Lui e il suo infinito amore per l’infinito. Probabilmente qualcuno penserà che si tratti di un qualche antenato di Leopardi, ma non è così.

“Anassimandro, ci risiamo con questo infinto? La tua teoria non regge! Devo chiamare Socrate?” gli fece Anassagora, stizzito.

La riunione stava diventando caotica e chiassosa e solo gli dei -o in alterativa il Daimon, per i socratici- potevano immaginare quanto uno studioso di filosofia potesse odiare il caos. O amarlo. Sono così strani e contradditori i filosofi.

“Vieni qui, Anassimandro, che ti faccio un paio di domande” fece Socrate con un sorrisino agitando la mano con fare quasi minaccioso. Avanzò a piccoli passi verso un terrorizzato Anassimandro e quasi inciampò in Platone, che stava pericolosamente inginocchiato ai suoi piedi.

“Insomma Platone, mi lasci stare?”

“Maestro, Atene è stata ingiusta!”

“Non incominciare adesso!” replicò Socrate, annoiato “Ne riparleremo solo quando riuscirai a pensare a qualcosa che non sia un’imitazione delle idee”

Le teorie di Platone spesso si rivelano fortuitamente confutabili per chi sa quali domande porre.

Improvvisamente, un frastuono incredibile li fece voltare tutti.

“Per il Daimon, che sta succedendo qui?” fece Socrate, stizzito.

“Sono Eraclito e Parmenide. Stanno facendo a botte. Di nuovo” disse Empedocle, alzando le spalle.

“Ma perché non riescono a trovare un accordo?” 

“I loro scritti sono completamente contradditori, come possono andare d’accordo?”

In effetti, non era cosa semplice.

“L’essere è immutabile!” gridò Parmenide.

“L’essere è mutevole in continuazione!” rincarò Eraclito, agguerrito.

Protagora comparve tra loro, come a voler mettere pace tra i due litiganti.

“La verità è che la verità non esiste”

“E’ vero?” fece Socrate, con un sorrisino.

“Sì…cioè no!” replicò, improvvisamente colto da un senso di smarrimento e da una forte crisi di identità. Socrate ridacchiò immerso nel biancore della sua barba, divertito di gusto da quanto potesse essere divertente distruggere le teorie altrui.

“Cosa avevi detto sulla verità?” fecero Eraclito e Parmenide, massaggiandosi le nocche per prepararsi al pestaggio.

Ovviamente il risultato fece pensare a Socrate che in fondo il detto “tra i due litiganti il terzo gode” non fosse così esatto. Almeno non in tutte le situazioni.

Quindi non era una verità assoluta.

Quindi era sbagliato.

Oh, fanculo.

Ispirato dalla meravigliosa infinitudine (oh Anassimandro!) delle loro botte, Platone lasciò le caviglie di Socrate -era ora!- e si avvicinò ad Aristotele, bussando nervosamente alla sua spalla.

“Scusami tanto, Aristotele, cosa avevi detto delle idee?”

Quello gli rivolse un placido sorriso.

“Che sono inutili e confusionarie, e qualunque tuo allievo l’avrà pensato almeno una volta!”

“Cosa?!”

“Sordo per giunta. Vai a mangiare pane e olive, Platone”

Per tutta risposta, caricò un pugno all’indietro che si abbatté sullo zigomo di Aristotele.

“Mangiati questo!” esclamò “E il pane con le olive è ottimo”

“Confermo” convenne Socrate, accarezzandosi la barba.

“Infinitamente buono” aggiunse Anassimandro.

“Molto davvero” disse Talete, prima di tornare a studiare un calice colmo d’acqua. 

“Ogni parola è falsità, ma potrei dire non mentendo almeno non volontariamente che il pane con le olive è un dono degli dei” farfugliò Protagora, confuso probabilmente per il pestaggio (o forse no?)

“Del Daimon” lo corresse Socrate.

“Occhio a questo Daimon, potrebbero accusarti di empietà” fece Aristotele, saggiamente.

“Maestro, Atene è stata ingiusta!!” cominciò a lagnarsi Platone, gettandosi ai suoi piedi.

“Ecco, ci risiamo” sbuffò il maestro “Perché non ti metti a contare i cerchi nel cielo invece che fare guai?”

È doverosa una spiegazione. Nell’antica Grecia non c’erano i cerchi nel grano -forse perché il grano non era una delle colture preferite dagli abitanti locali?- ma per passare il tempo, specialmente gli aristotelici, contavano i cerchi in cielo.

Qualcuno di loro era arrivato a cinquantasei, altri a novantanove, altri non avevano mai smesso di contare.

“Allora erano o non erano infiniti i cerchi del cielo?”

“Anassimandro, io non credo nell’infinito, ma se ci credessi, probabilmente direi che la sola cosa infinita nell’intero cosmo è la tua stupidità! Se i cerchi fossero infiniti…”

Blablablablabla, come se qualcuno avesse ascoltato. Tanto poi ognuno resta del proprio parere.

È incredibile pensare che per un attimo siano andati d’accordo sull’unica cosa che metteva la pace a qualunque questione in Grecia. I soldi Il pane con le olive.

Così intelligenti.

Così immaturi.

Meno male che non sono vissuti insieme.





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