Questa
è la primissima volta che scrivo qualcosa fuori dal mio fandom di nascita, cioè
Buffy, e mi sento un pelo spaesata. Tra l’altro, Kingdom Hearts è qualcosa che
conosco per vie traverse e per ragioni puramente casuali. Sono allergica ai
videogiochi. Non mi piacciono, mi annoiano da morire, quindi non ci ho mai
giocato.
E
perché una che non gioca deve mettersi a scrivere una fanfic su un videogioco?
Facile.
Mi
sono innamorata dei nobody. No, non di Axel o Demyx o di un particolare nobody perché lo trovo bellissimo, sexy da paura, eccitante, o quel che volete (anche
se Xemnas e Saïx… ehhh! Basta, discorso chiuso).
Per
la verità, non ho neppure una grande considerazione di come l’Organizzazione
conduce la sua guerra. Insomma, che senso ha affrontare il nemico uno per volta
quando ne basterebbero due o tre a lavorare di concerto per disossare Sora come
un pollo?
Immaginate
solo che razza di iradiddio sarebbero insieme Xigbar, Luxord e Zexion. Controllo
di spazio, tempo e percezioni. In contemporanea.
Oppure Xaldin, Larxene e Axel. O Marluxia, Lexaeus e Larxene. Personalmente, trovo che
anche Axel e Demyx potrebbero fare cose creative e pittoresche, insieme.
Le
combinazioni sono innumerevoli e molto carine ^__^
E
invece no. Devono fare i puri, duri e solitari a tutti i costi, devono fare :(
D’altra
parte, Sora ha un vantaggio non trascurabile. Bara. Lo possono uccidere quante
volte vogliono. Lui risorge sempre, pronto a un'altra partita, fino a che
l’avversario non muore stremato. Traduzione: il giocatore capisce il trucco.
Tristezza
:(
Dovrebbero
fare un videogioco con opzione finale. Se perdi, ci resti secco sul serio.
Comunque,
mi sono innamorata dell’idea concettuale di nobody e di tutto il potenziale di
seghe mentali che ne consegue. Quindi mi concentro su di loro. In questa
particolare storia, anche su Riku, che è troppo improponibile come eroe per non
essermi simpatico.
Insomma,
prima o poi riuscirò a scrivere qualcosa dalla parte dei buoni. Anche se non ci
credo neppure io.
Ho
cercato di restare in carattere, solo che nel gioco non viene
dato moltissimo spazio alle personalità dei vari membri dell’Organizzazione e
a me dell’idea che se ne fa il fandom non ne può importare di meno. Quindi
non è detto che i miei personaggi siano esattamente come appaiono in genere
nelle fanfic.
Prendiamo il mio prediletto, Zexion, che viene spesso descritto come un
adolescente dolente, depresso e in cerca di affetto, indifeso come un gattino
malato. Ma dieci anni prima degli eventi del gioco era uno scienziato affermato.
Come fa a essere un adolescente? Era professore a sei anni? Poi dubito molto
che in un gruppo di distruttori di mondi e masse si sia guadagnato un titolo
come Cloaked Schemer per il suo animo sensibile.
Casomai,
invento con i poteri dei personaggi. Se so che Pinco
controlla l’acqua e Pallino la vegetazione, parto da quello e ci ricamo sopra.
Acqua è acqua e non è mica detto che si deve andare in giro a tirare
margherite in faccia ai nemici. Di forme di vita vegetali ce ne sono tante. Oh, quante ce
ne sono.
Non
so se il gioco è stato tradotto in italiano e, in quel caso, come. Mi prendo
quindi parecchie libertà con le traduzioni. Non me ne vogliate. Spero si
capisca in ogni caso.
Ero
in dubbio se tradurre nobody ed heartless e alla fine ho deciso per il no. In
genere non uso termini stranieri. Qui l’ho fatto per evitare eventuali
ripetizioni e indesiderati giochi di parole, che, comunque, sono presenti nei loro
stessi nomi.
Temo
che la storia finirà molto per virare sul lato 'dark' della faccenda. Ma com'è
possibile non farlo, con protagonisti come Riku e i 13?
Disclaimer:
Tutti i diritti su Kingdom Hearts appartengono alla Disney e alla Square Enix.
Questa fanfiction è stata scritta senza scopo di lucro e non si intende violare
nessun copyright.
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Prima
parte
Le
cose delle quali l'una può essere sostituita dall'altra mantenendone intatta la
verità, sono le stesse.
Principio
di identità degli indiscernibili, Gottfried
Wilhelm Leibniz
*
* * * * * * * * * *
io?
Sogna
mondi.
Mondi
di notte perenne e mondi sempre in bilico sull’istante del tramonto.
Sogna
città.
Strane
città immerse nel buio e il ronzio di luci al neon che lampeggiano parole
aliene nella pioggia.
Sogna
mari neri e oleosi e lune a forma di cuore.
Sogna
tempeste elettriche e fiori e fuoco e ombre.
io
Sogna
persone. Soprattutto, sogna persone.
Sogna
i colori che portano nei loro occhi e quando si sveglia, quando cammina per le
strade della città e lavora e parla con amici e conoscenti, quando vive la vita
sonnacchiosa dell’isola, continua a cercare quei colori e non li ritrova mai e
la sua esistenza è diventata monocromatica.
io
sono
*
* * * * * *
“Chi
sono, io?”
La
voce è una lama di rasoio coperta di seta.
E’
stata la prima cosa di cui l’uomo ha avuto consapevolezza non appena ripresi i
sensi, a parte il dolore.
La
prima cosa che invece ha visto è stato il keyblade conficcato nella sabbia.
C’è
sangue sull’arma. Schizzi di sangue ovunque, soprattutto sulla lama laterale.
Sangue e grumi di materia scura, troppo densa per essere sangue.
“Chi
sono?”
Per
l’uomo ferito, respirare è diventato un impegno consapevole. Vorrebbe
ingozzarsi d’ossigeno, ma non può. Se lascia che il respiro segua il
suo corso automatico, è come se qualcosa gli frughi nel torace con un
attizzatoio arroventato. Così, deve coscientemente controllare il ritmo
respiratorio e regolare l’afflusso d’aria nei polmoni.
E’
atroce, ma è la migliore delle sue alternative.
“Chi
sono?”
Inspira,
espira.
Non
troppo veloce, non troppo lento.
Non
troppo avido, non troppo moderato.
Un’azione
volontaria, anche se non tanto da poterla interrompere.
“Dimmi
chi sono.”
Colui
che lo ha colpito è ancora lì, inginocchiato sulla spiaggia, a un paio di
metri da lui. Tiene una mano in grembo e l’altra appoggiata all’arma
piantata a terra.
Lo
osserva. E ripete sempre la stessa domanda.
“Chi
sono, io?”
All’inizio,
quella voce è stata solo un suono che ha interrotto il silenzio e il rumore
delle onde e il bizzarro gorgoglio che l’uomo sente nel suo torace.
Però,
il suono ha acquisito un frammento di significato ogni volta che si è ripetuto,
fino a quando non si è composto in una domanda.
“Chi
sono?”
Espira.
Inspira.
“Chi
sono?”
“Sora.”
risponde, alla fine.
“Come
mi chiamo?”
“Sora.”
Inspira.
Espira.
“Il
mio nome.”
“Sora.”
“Dillo.”
Stavolta,
l’uomo si rifiuta di rispondere.
E’
stanco e parlare è uno sforzo immane e c’è altro che ha attirato la sua
attenzione.
“Chi
sono?”
Il
keyblade. Uno dei grumi di materia nerastra di cui è imbrattato scivola lungo
una delle punte della lama laterale. Si lascia dietro una traccia sanguinosa,
sul metallo chiaro. Si lascia dietro anche qualche minuscolo frammento di sé
stesso.
Ricorda
lo strisciare di una lumaca con la sua scia di bava.
Espira.
Inspira.
“Chi
sono?”
“Sora.”
Ecco.
Adesso il grumo ha raggiunto l’estremità inferiore della lama.
Si
ferma.
Tremola
un poco e si gonfia. Continua ad avere quell’aspetto di mollusco grasso e
strisciante. Un mollusco che esita prima del salto.
Quando
diventa troppo pesante perché l’adesività riesca a contrastare la gravità,
il grumo cade e va ad aggiungersi a quelli che l’hanno preceduto.
Tutta
la sabbia sotto il keyblade è impregnata di chiazze di un limo nerastro simile
a bitume.
Sta
guardando qualcosa che fino a pochi minuti prima era dentro al suo torace
diventare parte della spiaggia.
Inspira…
“Chi
sono, io?”
Espira…
“Roxas…”
“Ciao,
Riku.”
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