While the woman he had
married but to whom he'd given nothing sat her long and jealous vigil
by his side
But Blanchmaine knew
no pleasure from her cold and grieving husband
For
the marble face of memory was his bride
Îsôt
ma drûe, Îsôt m’amîe
En
vûs ma mort, en vûs ma vie!
Isotta
osservava
Ser Tristano attraverso un velo sottile di speranze fragili in cui non
osava credere e desideri inespressi che forse non sarebbe mai riuscita
a realizzare, di domande che non provava nemmeno a porre e risposte che
crescevano piano piano in un angolo del suo cuore, lente ed esitanti
come fiori dopo un lungo inverno. Le guance le scottavano, la sua mente
vagava verso strade che forse era ancora troppo presto per imboccare.
Era lei? Ser Tristano stava cantando per lei?
Isotta era il
suo nome, in fondo. Eppure, gli occhi dolci e lontani di Ser Tristano
non sembravano mai guardarla. Non che non fosse cortese nei suoi
riguardi: lui era la gentilezza fatta persona, e molto più
di questa sola virtù. Tristano era bello, e affascinante, e
colto, e valoroso, e maneggiava con la stessa destrezza arpa e spada, e
aveva salvato la terra di suo fratello.
Ed era anche
per questo che, nel profondo della sua anima, Isotta stentava a credere
che proprio lui potesse amarla. Ser Tristano meritava una dama
più bella, più virtuosa, più saggia
– una che fosse degna del suo sguardo.
Le dita agili
del cavaliere accarezzavano le corde sottili dell’arpa con
attenzione e cura, sfiorandole come se temessero di poter far loro del
male, come avrebbero fatto con un’amante – Isotta
arrossì furiosamente a questo pensiero, ma non
poté scacciarlo dalla sua mente. E fu proprio quello il
momento in cui il lai finì, le note dolcissime eppure
così amare che riecheggiavano per qualche istante nella
stanza, così belle da farle venir voglia di piangere, prima
di evaporare quietamente nell’aria. Per un attimo, Isotta si
sentì vuota, come se anche lei fosse svanita senza lasciare
traccia con loro – si chiese se Ser Tristano lo avrebbe
notato, se qualcosa del genere fosse accaduto realmente.
Ma poi Ser
Tristano la guardò, gli occhi chiari improvvisamente
attenti, brillanti di una luce che Isotta non riuscì a
comprendere. E per Isotta fu un’esperienza bella e
terrificante allo stesso tempo, perché finalmente
l’uomo che amava – a questa conclusione, almeno,
era già arrivata da molto, troppo tempo – sembrava
finalmente vederla davvero, e la scrutava, la studiava, come stesse
tentando di soppesare tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Isotta
trattenne il fiato, e sperò con tutto il cuore che Tristano
trovasse in lei qualcosa di piacevole. Qualcosa che lo colpisse, che lo
affascinasse.
Ser Tristano
sorrise, e nella dolce piega delle sue labbra c’era una sorta
di affetto malinconico, e il cuore di Isotta mancò un
battito.
Aveva
avuto
bisogno di andarsene, anche se il giorno in cui la nave era salpata la
sua anima era rimasta sulle coste della Cornovaglia. Aveva avuto
bisogno di saperla al sicuro, l’onore intatto e i nemici
placati, anche se questo significava immaginarla ogni giorno
– e ogni notte, e ogni ora, e ogni singolo istante
– tra le braccia di suo zio, e nel suo letto.
Aveva avuto
bisogno di una battaglia da combattere in cui avesse la
possibilità di vincere, perché la più
importante era già persa – e, forse, lo era sempre
stata.
Per questo
aveva cercato l’urlo del nemico, il nitrito dei cavalli, il
clangore del ferro, la certezza assordante di dover vincere per una
causa nobile e giusta. In qualche modo, doveva estirpare dalla sua
mente il ricordo della voce melodiosa di Isotta, dei lai cantati
insieme, delle mille promessa fatte in segreto e dei mille sogni
condivisi nel cuore della notte, quando il mondo dormiva e solo loro
esistevano – ma il sussurro gentile della sua memoria lo
colpiva ancora come una lama al petto.
E, infine,
tutto questo
lo aveva solo condotto ad un’altra Isotta.
La prima
Isotta che aveva incontrato aveva il chiarore dell’aurora nel
viso e una saggezza antica di secoli negli occhi. La seconda, invece,
era semplicemente abbagliante:
fulgida, con la luce del sole tra i capelli, lo sguardo fiero e
penetrante di un falco, il portamento aggraziato, il passo svelto e
deciso – e il suo cuore stretto gelosamente tra le mani
delicate.
La terza
Isotta aveva capelli biondi ma di paglia, lo sguardo timido ma talvolta
impudente e speranzoso, l’incedere aggraziato ma privo di
fierezza. Aveva le mani vuote e bianche come la neve. Eppure, ad un
occhio distratto, sarebbe potuta sembrare somigliante a lei.
Tristano non
era un uomo distratto. Però, poteva illudersi di esserlo.
E la sua
Isotta era così lontana, e non gli aveva mai inviato alcun
messaggero, non l’aveva mai cercato. Forse si era
già dimenticata di lui, e dell’amore che un tempo
li aveva uniti – ma, per lui, dimenticare Isotta la Bionda
era impossibile .
La prima
notte, nonostante il rancore e il dolore e l’ira che
crescevano ogni giorno di più nel suo cuore, non ebbe il
coraggio di giacere con Isotta Bianchemani, con quello specchio
imperfetto, quella pallida
imitazione di un ricordo ancora troppo vivido. Non la baciò,
non la
toccò: la ingannò, come aveva sempre fatto.
Lei si stese
al suo fianco, tra le coltri del letto, con gli occhi pieni di
preoccupazione e nemmeno un’ombra di dubbio sul volto dai
lineamenti graziosi.
Non
l’aveva mai dimenticato. Non avrebbe potuto, come non avrebbe
mai potuto dimenticare uno dei suoi arti, o il suo stesso cuore
– eppure ora era sola, e in preda al dolore, come se
l’avessero mutilata. Nemmeno le notizie più
sconvolgenti portate da Ser Cariado sarebbero riuscite a cambiare tutto
questo.
Ser Cariado
era un uomo bello e affascinante quanto codardo. Sembrava cercare
più spesso una nuova amante tra le dame della corte di Marco
– con le quali era sempre estremamente galante e cortese e
spiritoso – che gloria e onore sul campo di battaglia. E,
quando decideva di riferire qualcosa a qualcuno, quel qualcuno non
aveva mai molto di cui essere allegro. Isotta era certa che il
cavaliere provasse una qualche perversa sorta di piacere
nell’infliggere qualche nuova sciagura a chi fosse abbastanza
incauto da ascoltarlo.
Isotta non era
mai stata particolarmente cauta, non da quando aveva conosciuto
Tristano, aveva tentato di ucciderlo e subito dopo lo aveva preso come
suo amante. Era una donna troppo decisa e passionale, sua madre
gliel’aveva sempre detto. Lei le aveva sempre risposto che
per la razionalità ed i sotterfugi l’aiuto di
Brangania era tutto ciò che potesse desiderare. Non sorrise
a quel ricordo, come avrebbe fatto un tempo: l’Irlanda era
così lontana, quasi quanto Tristano.
Tristano. Le
notizie riguardavano lui, l’aveva capito subito. Ser Cariado
era sempre stato uno dei suoi più accaniti detrattori
– e, con sommo fastidio di Isotta, uno dei suoi rivali.
Le rivolse uno
di quei suoi sorrisi che, almeno nelle intenzioni dell’uomo,
sarebbero dovuti essere così pregni di fascino e carisma da
farla cadere ai suoi piedi in un istante,e poi cominciò il
suo discorso con qualche motto di spirito a cui Isotta fu subito pronta
a ribattere. Poi, qualcosa nell’espressione di Cariado
cambiò: c’era una luce nuova nei suoi occhi, un
barlume divertito e compiaciuto che le fece odiare quell’uomo
che già disprezzava dal profondo del suo cuore ancora di
più, e il suo fastidioso sorriso si fece ancora
più ampio e luminoso.
- Ho tristi
notizie da recarvi, mia signora, e non sapete quanto il mio compito mi
sia gravoso. Dovrete trovare un altro amico con cui condividere il
vostro affetto, pare, poiché Ser Tristano ha preso moglie
con grande onore in terra straniera – disse Cariado, affabile
e casuale come stesse discutendo di qualche frivola sciocchezza con una
delle sue belle dame: - Un’altra dolce Isotta, la bella
figlia del duca di Bretagna, o così mi è stato
detto -.
Lo
cacciò via dalle sue stanze, scagliandogli contro parole
come lame affilate, riversandogli addosso tutto il suo disprezzo. Ser
Cariado non smise per un attimo di sorridere, sereno e divertito e con
l’aria di chi è certo di non aver detto
nient’altro che la verità. Isotta sentì
qualcosa di pesante e freddo all’altezza del petto, come se
il suo cuore si fosse all’improvviso tramutato in pietra.
Solo quando
rimase finalmente sola si permise di piangere e di urlare.
Stava
arrivando. Sapeva del loro matrimonio, eppure stava tornando da lui.
Isotta
scrutò ancora una volta l’orizzonte: quella
tempesta che sembrava destinata a durare fino al Giorno del Giudizio si
era infine placata, il cielo si stava lentamente schiarendo e tingendo
d’azzurro e la luce dorata del sole filtrava tra le ultime
nuvole. Anche il mare ora era calmo e blu, mansueto come un agnello
adesso che la sua ira era stata sfogata.
E la nave, un
puntino scuro nell’immensità delle acque, stava
arrivando.
Isotta volse
lo sguardo alle sue spalle, verso il letto dove suo marito giaceva da
giorni. Isotta la Bionda stava
tornando, sì, ma Isotta Bianchemani non se n’era
mai andata. Lei sola aveva sopportato in quegli anni il suo sguardo
lontano, la sua gelida cortesia, lo spazio incolmabile tra i loro corpi
nel letto. Lei sola aveva continuato a sorridergli, e a piangere quando
lui non poteva vederla, lei aveva chiuso gli occhi di fronte alla vaga
compassione nello sguardo di Caerdin e aveva provato a non ascoltare i
motteggi e le insinuazioni crudeli del popolo.
Ma le canzoni
e i lai venivano scritti su Isotta la Bionda, Isotta la Bella, il cui
bel viso valeva cento tradimenti, mille sotterfugi e un Giudizio di
Dio. E Tristano era sempre stato così bravo, con
l’arpa.
- Isotta ...
–gemeva e sussurrava anche in quel momento, annegando nel
sogno e nel delirio. Isotta non aveva mai lasciato il suo capezzale,
anche quando gli occhi avevano preso a lacrimarle per il puzzo della
ferita avvelenata e per l’espressione sofferente sul viso
terreo di suo marito – ma non era lei, quella che lui
continuava a chiamare. Non era mai stata lei.
Isotta non
sapeva esattamente quando il velo davanti ai suoi occhi fosse caduto,
ma così era
stato.
Forse, era
tutto cominciato il giorno in cui, cavalcando, l’acqua di
quella pozza le era finita sulle gambe in tante piccole gocce
illuminate dal sole, e lei aveva riso e riso fin quasi a piangere di
disperazione perché suo marito non aveva mai osato toccarla
in quel modo. Forse, con i mormorii e le ipotesi sulla grotta in cui
Tristano e suo fratello si recavano quasi ogni notte. O, forse, quando
aveva finalmente capito che nemmeno quel giorno in cui era tutto
iniziato lui l’aveva davvero guardata.
- La nave ...
la nave sta arrivando? – chiese all’improvviso
Tristano, la voce rauca come se stesse compiendo uno sforzo enorme solo
per parlare,
riscuotendola da quelle riflessioni. E Isotta guardò il suo
viso smunto e pallido, gli occhi stanchi e lucidi che nemmeno ora
sembravano vederla davvero, la forma smagrita e scossa da violenti
tremori del corpo che riusciva ad intravedere tra le lenzuola pesanti
– e, solo per attimo, per la prima volta odiò
Tristano. Suo marito, che si riduceva così per difendere
l’amore di un altro uomo e che non sapeva far altro che
ripetere il nome di un’altra donna.
Si
voltò di nuovo, odiando anche se stessa e
l’invidia che pian piano le aveva divorato l’anima.
– Sì – disse soltanto. Ma la nave era
ancora
così lontana, e Tristano era così debole.
- La bandiera
... la ... – rantolò Tristano, ma la frase venne
subito troncata da un fiotto di tosse. E Isotta, nonostante se stessa,
tornò ad amarlo e a sperare che la nave arrivasse presto,
con l’Isotta che le aveva rubato la vita e l’amore
e che avrebbe portato con sé la cura per suo marito. Ma era ancora così
lontana.
Alle sue
spalle, dalla gola di Tristano uscì un suono strozzato,
inumano,come il gemito di una belva colpita a morte. E poi, la
consapevolezza colpì Isotta come un calcio allo stomaco.
La nave stava
arrivando – ma era ancora così lontana, e non
sarebbe mai arrivata in tempo.
- La ...
bandiera – sussurrò Tristano, pregandola. Poi ci
fu solo il silenzio, e il respiro affannato di suo marito, sempre
più flebile. La bandiera
ondeggiava calma nel vento, candida come le ali di un angelo e
perfettamente inutile.
Isotta si
voltò un’ultima volta.
Sarebbe stato più compassionevole dirgli che la sua Isotta
lo aveva dimenticato, o dargli un’ultima falsa speranza che
non si sarebbe avverata e forse l’avrebbe ucciso prima del
veleno?
Isotta
– Bianchemani, l’Insignificante – aveva
vissuto di sogni infranti e desideri vani. Sentendosi morire con lui,
disse a Tristano: - È nera. Nera come la notte -.
Dopo il
funerale di Tristano, ritornò da sola nel luogo in cui
l’uomo che aveva amato era stato sepolto. Caerdin si era
offerto di accompagnarla, e dentro di sé Isotta sapeva che
avrebbe dovuto essergli grata, e lasciarlo venire con lei. Lei era sua
sorella, lui era stato suo alleato, suo compagno, suo amico. In quel
momento, però, non riusciva a sentire riconoscenza
né affetto: non riusciva a sentire nulla, e davanti ai
suoi
occhi c’era solo l’immagine di Tristano
imprigionato per sempre in una prigione di terra.
Trovò
la donna accasciata contro la fredda pietra della tomba. Aveva capelli che
parevano d’oro filato, un corpo dalle forme esili e
armoniose, un viso bello come quello di un angelo.
Isotta si
chinò su di lei e le accarezzò i capelli. Sapeva
benissimo chi era, e non le somigliava affatto. - Anche tu sei
rimasta con lui – disse, parlando al cadavere come ad una
vecchia amica. In fondo, la sua eterna presenza tra lei e Tristano non
era forse stata l’unico motivo del loro matrimonio?
Rimase in silenzio per qualche istante, la mano ancora immobile tra
quei fili d'oro. Chissà cosa avrebbe detto Tristano,
vedendole così: le sue fedeli Isotte, una accanto all'altra,
entrambe morte per lui.
Non odiava
l'altra Isotta,
si rese conto all’improvviso, anche se lei era più
bella e aveva avuto l'amore di suo marito: provava solo pena per lei, e
la
sensazione che fossero più simili di quanto sembrassero.
Quella rivelazione assurda la lasciò con un bizzarro senso
di pace nel cuore.
L’avrebbe
fatta seppellire accanto a Tristano, decise, mentre le lacrime che non
era riuscita a piangere alla morte di Tristano finalmente scorrevano
libere sulle sue guance.
And
together at the last, they lay entwined
http://i46.tinypic.com/2znwoe1.png
Note
finali:
Questa
fanfiction – come potrete ben capire dal banner sopra, se
sono davvero riuscita ad inserirlo –partecipa alla challenge Amor, ch’a nullo amato
amar perdona – threesome - II Edizione. Che, a
dirla tutta, è anche la prima vera e propria challenge a cui
partecipo. YAY!
Comunque, la
fanfic prende ispirazione sia dal Tristano
di Goffredo di Strasburgo che da quello di Thomas. La canzone citata
nel titolo e all'inizio e alla fine della storia, invece, è Tristan and Isolt
di Heather Dale. E la fanfic è così focalizzata
su
Blanchmaine perché, davvero, quella povera ragazza merita
tanto tanto amore – e un uomo migliore di Tristano. Ah, a
proposito, ho cercato di trattenermi
dall’inserire bashing su Tristano, ma non sono certa
di esserci riuscita.
Spero che la
vostra lettura sia stata piacevole!
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