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Remember
“Io ti aspetterò.”
Un sussurro caldo e confortante, sensuale al suo piccolo
orecchio. Questa era la frase che arrivava puntuale la notte, quando il suo
corpo si infilava sotto le coperte di velluto rosso e la luna illuminava con
raggi argentati il cielo tinto di nero. Ogni notte nel dormiveglia, Caterina
sentiva questo mormorio indistinto che sembrava pronunciato vicino a lei ma che
in realtà proveniva dalla sua mente assonnata, riempiendola di dolci brividi
lungo l’esile schiena. Aveva solo undici anni per conoscere davvero la
sensualità, ma quella voce magnetica era la sua ossessione notturna che dopo
averla tormentata la trascinava in un sonno profondo. Domande frequenti le
giungevano spesso sul significato di quella frase, a cui non poteva riusciva a
dare risposta. Cosa significava? E chi era il padrone di quella voce?
Nonostante la tonalità docile, quasi femminea,
Caterina sentiva che quelle parole erano pronunciate da un uomo. Lo
sapeva, ma non riusciva a capire come. Nella sua breve vita aveva solo
conosciuto il tono caldo e dolce della madre Gabriel accompagnato da quello
ironico e sprezzante del padre Astharoth. Quella voce, invece apparteneva a
qualcuno che lei non aveva mai conosciuto, eppure che l’accoglieva come
un’intima amica durante le notti senza stelle. A volte, gli appariva l’immagine
sbiadita e frastagliata di qualcuno, ed allora l’angoscia assaliva il suo
cuore. Riusciva a distinguere un viso delicato e ovale, capelli del colore
della notte su una nivea pelle. E poi, due enormi cascate di luce scura che
inghiottivano la sua esile silhouette, facendolo scomparire e lasciandola in un
oblio di sconforto. La prima volta che era successo, si era svegliata in preda
agli ansiti e aveva urlato come una matta, facendo accorrere i genitori spaventati
quasi quanto lei. Tuttavia, poi, quell’immagine era divenuta la sua agognata
preda, e le rare volte che riusciva a scorgerla durante i sogni, provava a
parlare vinta da un’irrefrenabile curiosità.
“Chi sei? Come ti chiami? Perché mi spii?”. Il silenzio, però, era
sempre la risposta che riusciva ad ottenere. Solo una volta, lui le aveva
risposto elargendole quello che a Caterina era parso un sorriso. “Io ti aspetterò”. Mugugnando, gli occhi
enormi della bambina si spalancarono nel vuoto, osservando rapiti il soffitto
cobalto della sua stanza. Il sudore scendeva a rivoli sulla sua fronte
sporgente, appiccicandole i capelli castani sulle gote rosate. Di nuovo. Non
era riuscita ad ottenere risposte nemmeno questa volta. Con uno scatto delle
gambe, scacciò le lenzuola aggrovigliate facendole scivolare sul parquet di
legno e si tirò su a sedere. Avanzò verso la piccola finestrella dalle persiane
aperte e trovò ad accoglierla un manto scuro stesi sul cielo, illuminato
tuttavia da un’enorme luna tinta di scarlatto. Nonostante avesse solo undici
anni, era alta per la sua età e molti ragazzi la trovavano già piacente. Con i
capelli castani e ondulati della madre lunghi fino alla vita e gli enormi occhi
dorati, veniva spesso trattata come una preziosa bambola di porcellana. Ma
possedeva un carattere deciso ed autoritario, che brillava nel suo sguardo. Sua
madre diceva che possedeva la bellezza di un angelo delicato, suo padre invece
sosteneva che ingannava proprio per il bel faccino fragile, e che dentro avesse
una grinta e tenacia che agli angeli mancava. Caterina sorrideva spesso quando
glielo dicevano, ma qualcosa dentro di lei la spingeva a rimanere zitta. Gli
angeli le erano sempre piaciuti fin da quando era piccola, molti erano i quadri
che sua madre aveva collocato vicino alle scale, ritratti di annunci azioni dove la Madonna splendeva
come una dea a causa della lieta notizia. Eppure, qualcosa la aveva sempre
spinta a fissare l’umile angelo inginocchiato davanti a lei, con le mani sul
cuore e le lunghe e brillanti ali simboleggianti la purezza. Un’ondata di vento le scrollò i capelli
indietro e lei lo accolse come un regalo, inspirando deliziata l’odore
frizzante della primavera. In un attimo, la sua mente volò verso l’immagine dei
suoi sogni e il cuore cominciò a dolerle nel piccolo petto. Anche se il motivo
le era sconosciuto voleva vedere l’immagine completa di quel misterioso
visitatore dei sogni, e l’idea di non poterlo fare la riempiva di un’inconsueta
desolazione. Forse, quello che vedeva era il suo angelo custode, sua madre
sosteneva che ogni essere umano ne possedeva uno e che erano lì per proteggerla
e amarla. Un sorriso le illuminò il volto e appoggiò stanca il volto tra le
braccia, mentre davanti a lei, le sagome del paesaggio cominciavano a distinguersi
per l’alba quasi vicina. Avrebbe volentieri fantasticato su di lui tutta la
notte ma era ora di tornare a dormire, o il giorno dopo non si sarebbe
svegliata e avrebbe saltato la scuola. Mentre si ritirava, una lacrima scese
inaspettatamente dai suoi occhi, scivolandole dentro le labbra socchiuse. Inspirò
profondamente mentre la desolazione si impadroniva nuovamente della sua anima.
Prima di coricarsi, il suo sguardo dorato vagò per tutta la stanza alla ricerca
di qualcosa che nemmeno lei sapeva descrivere con esattezza. Tuttavia, dentro
di lei seppe con certezza che non era sola e che l’uomo misterioso dei suoi
sogni sarebbe presto comparso. “Buonanotte, angelo mio.”. Appena chiuse gli
occhi, il sonno si impadronì di nuovo di lei, ma prima di addormentarsi
definitivamente, Caterina sentì qualcosa di etereo simile a una brezza leggera
sfiorarle la guancia in una docile carezza.
Un ragazzo osservava con tenerezza la bambina addormentata
sul letto con un braccio ripiegato sotto la testa e un sorriso beato sul volto
latteo. Seduto sulla sponda del letto, gli sfiorò la guancia con un dito per
poi ritirarlo immediatamente, timoroso di svegliarla. Si tirò su a sedere,
osservando critico la piccola stanza piena di libri e statuine sugli angeli.
Tipico di Cat, si disse. Sarebbe rimasto volentieri per tutta la notte accanto
a lei, tuttavia l’alba stava per giungere e lui doveva andare. Scostò con
eleganza i capelli neri dalla fronte e si diresse veloce verso la finestrella
aperta come ogni notte, che la bambina lasciava aperta apposta per lui. Prima
di andare, Angel si voltò osservando nuovamente con gli occhi grigi la sua
piccola figura addormentata e un sorriso si dipinse sul volto femmineo. Sussurrò
in preda ad un ansito irrefrenabile, quella frase che ormai le diceva tutte le
notti come un prezioso rituale.“Io ti aspetterò”. Un mormorio sottile, poi,
lunghe ali simili a cascate di luce nera spuntarono dalla sua schiena e si
librò in volo a braccia aperte, lasciandosi alle spalle la piccola casa dove
ormai la sua Cat viveva da undici anni senza ricordare niente del passato,
senza ricordare niente del suo vecchio padre, senza ricordarsi di lui. Ma le
aveva fatto una promessa, non importava il tempo che sarebbe passato, lui la
avrebbe aspettata.
Nel suo letto, svegliata dal solito sussurro ipnotico,
Caterina scattò improvvisamente a sedere e gli occhi gli si colmarono di
lacrime. Portò le mani alle labbra e senza comprendere il motivo, formulò
un'unica parola. Un nome che la avrebbe condizionata per sempre: “Angel.”
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