Pray
Nick sbatte la testa contro al vetro, esausto, chiudendo gli
occhi stanchi e non sapendo chi pregare, perché
lassù non c’è nessuno che possa
interessarsi di noi quaggiù, si ripete, e allora che fare? A
chi chiedere
aiuto?
Era stato così, come quando si soffia sopra un soffione e
i piumini si disperdono nell’aria primaverile. Tutte le sue
certezze e le sue
gioie si erano distaccate piano da lui e se ne erano svolazzate via,
lasciandolo nudo e solo, proprio come lo stelo di quel soffione.
Così immediato
e inaspettato, tanto incredibile quanto impossibile. Nessuno lo aveva
avvertito
che la cornetta del telefono potesse celare in realtà un
alito di vento,
nessuno, altrimenti li avrebbe tenuti stretti per sé i suoi
petali, stretti
stretti.
Fatto stava che nessuna nuvola, da lassù, gli aveva
impedito di afferrare quella cornetta blu e di dire quel monotono
“pronto?” ,
azzardando un sorrisetto e prendendo l’apparecchio fra le
mani per portarselo
in giro per casa per quanto il cavo della corrente
potesse permetterlo.
Nessuna, lo giuro, nessuna nuvola, o stella della sera, aveva
tappato il suo orecchio in modo da non fargli sentire quella voce
mormorare un
“Nick, sono Yasmin”.
E i passi, oh i passi di quell’uomo si erano fermati,
lasciando che egli si coprisse di quel male velenoso che chiamano
presentimento, che sale su per la colonna vertebrale come la
temperatura in un
termometro quando si è accaldati. Ma
cos’è, in fin dei conti, un presentimento?
Una spina incastrata sul palmo della mano dei paranoici, e lo sapeva,
lui, che
la sua pelle pungeva praticamente
da
sempre.
“Yas… ciao! Non mi aspettavo una tua chiamata,
devo
essere sincero!” aveva replicato accarezzandola con quella
sua voce di velluto,
ma dall’altra parte era arrivato un silenzio, di giusto un
paio di secondi. E
Nick forse si aspettava che quella nuvola arrestasse ciò che
ne era seguito, ma
sta di fatto che quel singhiozzo lo aveva raggiunto attraversando il
telefono,
e la spina era
ritornata a pungere
e a premere sulla
carne più forte di
prima.
“Yas? Yas è successo qualcosa?”
Il suo timbro si era fatto più serio, più
preoccupato,
più spaventato, perché era come se già
sapesse che non c’era spazio per un no
fra le labbra di quella donna.
“Nick…” lo aveva chiamato tremando, e
gli sembrava quasi
di vederla, con la mano che le copriva la bocca e gli occhi che si
stringevano per
raccogliere tutta la forza possibile. La percepiva deglutire e prendere
un respiro
profondo.
“Devi venire all’ospedale Nick”.
“Cosa è successo?” aveva ripetuto in
preda al terrore,
sentendo le piastrelle del pavimento sotto di lui sgretolarsi pezzetto
dopo
pezzetto per lasciarlo sprofondare e cadere.
“S-Simon ha avuto un incidente con la moto”
E sotto di lui, più niente. Le
labbra si erano dischiuse ma non per
parlare, gli occhi si erano spalancati ma non per guardare. Era
lì, piantato in
mezzo al salotto, in silenzio, lasciando che la spina lo tagliasse e lo
perforasse facendolo sanguinare.
Erano passati due, tre, quattro secondi. Il tempo che
bastava perché si spezzasse qualche collegamento dentro di
lui e non riuscisse
così più a respirare, o pensare, o risponderle.
Simon, incidente, moto. Non riusciva a collegarle fra
loro quelle tre parole, no, non potevano avere un senso insieme, no,
non era
proprio possibile. Non era proprio possibile perché Simon
era Simon, quel
Simon, che si butta in acqua anche se c’è il
temporale e se ne esce ridendo,
che rovescia i tavolini degli hotel per divertimento e non gli capita
mai
niente.
Non era proprio possibile.
E glielo avrebbe voluto sbattere in faccia, quasi con
arroganza, che non era proprio possibile quello che stava dicendo.
Ma Yasmin continuava a mettere insieme frasi, troppe in
quel momento per la mente di Nick, e a piangere dall’altra
parte
dell’apparecchio senza che nessun’anima da
lassù potesse fermare le sue lacrime
e la sua ansia.
“E-era uscito per fare un giro Nick, e-era uscito e
subito dopo mi è squillato il cellulare per dirmi che lo
stavano ricoverando
d’urgenza…”
Un altro singhiozzo, un altro silenzio da parte del
tastierista.
“Yas, Yas calmati ora. Arrivo subito” aveva
esclamato
tutto d’un fiato, consapevole che era l’unica cosa
che le sue corde vocali
potessero produrre in quell’istante. Aveva raggiunto quindi
la scrivania per
riappoggiare il telefono, quando il suo cervello a poco a poco non era
ritornato ad ingranare, e si era reso conto di non saper dove andare.
“Siamo al St Peter Hospital” lo aveva avvertito con
la
voce rotta dalla paura, e lui non aveva potuto
far altro che ripetere quell’ “arrivo
subito”, perché era veramente
l’unica cosa che le sue corde vocali potevano produrre.
Infine aveva
riagganciato, accorgendosi di tremare come una foglia.
Ed ora è lì, con la fronte ben premuta contro al
vetro
della porta sulla quale campeggia un “critical care”, e non le capisce
quelle due parole scritte in rosso e in stampatello, non le capisce
proprio.
E tiene gli occhi chiusi pensando a qualsiasi cosa che non
sia quella cosa, quel pensiero nero che spera non possa diventare una
spina.
La gente, in certe situazioni, prega. Sa che Yas lo sta
facendo, seduta accanto alla finestra del St Peter.
“Ma io chi posso pregare?” pensa sconfitto
stringendo i
denti, perché lui non ci crede, non crede in nessuna nuvola,
o stella della
sera. Ma da solo forse non può farcela, non questa volta.
Ripensa a Simon mentre delle lacrime si raccolgono ai
lati dei suoi occhi chiusi, mentre respira a scatti e si tiene in piedi
grazie
a quella porta bianca e pesante. Ripensa al suo sorriso, al modo buffo
in cui
balla, alle sue palpebre costantemente abbassate, alla sua risatina
così
infantile e genuina, alla sua voce. A come scuote i polsi ogni volta
che è
concentrato ad ascoltare le basi suonate alla tastiera per cantarci un
nuovo
pezzo sopra, a quell’occhiolino che gli è scappato
durante il video di All she
wants is. Pensa, pensa e ripensa, concedendo a mille fotografie di
danzare
dentro di lui. Pensa a Elvis Presley, a quei bizzarri pantaloni rosa
leopardati,
al taccuino pieno di poesie, al Rum Runner.
Lui non può pregare, non può e basta. Eppure
Simon è lì,
davanti a lui, che tira un sorriso dei suoi e che lo rimprovera
dicendogli che
non ci dev’essere alcuna vergogna a pregare. Ma a chi
può chiedere aiuto, lui,
che la religione l’ha sempre oltrepassata? Lui, che non ha
santi in cielo da
chiamare?
E Simon sorride ancora, svelandogli il segreto.
E si ritrova a dover raccogliere tutte le forze che ha in
corpo per intrecciare le sue dita sottili, per premere l’uno
contro l’altro i
palmi delle mani fredde. Per portare queste ultime fin sotto la punta
del
mento.
Apre la bocca per bisbigliare, ma ne escono solo suoni
strozzati, così ci riprova, facendosi più
coraggio e concedendo ai tremori di
passare dalla carne alla voce.
“Prego il mare di
poterlo salvare. Prego Rio che non me lo porti via così
presto”
Quei sussurri gli escono a fatica, ma deve continuare,
per se stesso e per quel valore che si chiama vita.
“Prego la
luna nuova di fargli riaprire gli occhi,
prego che lo lasci qui con noi. Perché sennò non
sarebbe giusto, non sarebbe
giusto. Perché i-io sono solo qualcuno che non ha chi
pregare, e forse non
merito di essere salvato, ma lui, lui sì. Perché
lui è il mare, Rio e la luna
nuova messi insieme, e deve vivere, d-deve vivere… deve,
deve…”
E stringe le mani facendo diventare i polpastrelli e le
nocche bianche, sgridandosi mentalmente ogni qual volta gli scappa da
piangere.
“t-ti prego… Rio ti
prego…”
Sebbene le sue preghiere siano così sottovoce,
così
nascoste, in un attimo non sente più i passi di Roger fare
avanti e indietro
per il corridoio intonso, non sente più John, accucciato per
terra, sbuffare e
imprecare contro qualcuno che nemmeno lui sa, non sente Warren cercare
di
consolare Yas. Non si accorge nemmeno di Andy, precipitatosi nel
reparto con il
fiato corto, che senza parole fa scorrere i suoi occhi dolci su di loro
che non
vedeva più da tanto, e gentilmente stringe la mano al nuovo
chitarrista dei
Duran Duran.
Nick smette di pregare solo quando sente afferrare il
maniglione dall’altra parte, ed è costretto a
scansarsi di tutta fretta. Nick
smette di pensare quando il medico, dal camice bianco quanto le pareti
e le
guance del musicista, non va a parlare con Yas. Nick smette di farsi
forte
quando Yas esplode in un sorriso e abbraccia il dottore portatore di
buone
notizie.
E così si lascia scivolare contro il muro richiudendo gli
occhi e scoppiando in un pianto a singhiozzi che è un riso
allo stesso tempo, a
costo di sembrare un pazzo.
Bonjour tristesse.
No dai, alla fine è finita bene!!!
Ancora un’altra storia su Nick e Simon *sbatte la testa
contro al mobile
Che volete, mi ispirano troppo! Awsdfrthjhfgtdrs.
Un beso a chi leggerà, a chi recensirà, a chi
piacerà
questa storia e a chi no.
Di incidenti motociclistici ne sono capitati davvero a
Simon, credo due, ma non penso così gravi come
l’ho descritto io! (e il nome dell'ospedale, il St Peter, me lo sono inventato aUa)
Per quanto riguarda Nick, mi sembrava proprio di aver
letto da qualche parte che è ateo, poi non so se sia vero o
meno.
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