Posto felicità
Adelante
{un posto chiamato felicità}
In
teoria stava dormendo, ma per qualche assurdo motivo si era svegliato
– forse perché la trecentotredici non era proprio comoda come si
aspettava o forse, e sa che questa è la vera spiegazione, perché
loro erano fuori dall'auto, così lontani da lui - e aveva aperto un
occhio.
Ci
aveva messo un po' per focalizzare bene le due figure che in quei
giorni gli erano diventate così familiari - le stelle erano poche e
lui aveva esagerato con quella cosa portata da José - ma poi
finalmente li aveva visti, così tanto, troppo vicini tra di
loro.
Panchito
li aveva visti guardarsi e aveva tremato, non perché la sua ridicola
giacchetta rossa fosse troppo leggera per una notte sotto le stelle,
ma perché c'erano così tante cose nei loro occhi – desiderio,
sorpresa, paura, domande, incertezze, comprensione – che era
davvero impossibile rimanerne distaccati e tornare semplicemente a
dormire.
Panchito
li aveva visti guardarsi e li aveva odiati profondamente, perché in
quegli sguardi non c'era neanche un angolo di spazio per lui, e per
la prima volta in tutta la sua rocambolesca e colorata vita si era
sentito terribilmente solo. Si
era girato su un fianco, e aveva cercato solo di dormire e non
pensare a niente.
Durante
tutta la notte, tra il sogno e la realtà, fa l'amore con gli occhi
di Donald pieni di José, e con quelli di José pieni di Donald: poi
spara due colpi ai loro cuori, mentre l'alba tinge piano l'orizzonte.
Si
è svegliato di soprassalto, preoccupato per quei pensieri così
strani e un po' inquietanti.
Non
appena ha aperto gli occhi il suo campo visivo è stato invaso
dal profilo di José, che sta appoggiato con i gomiti sulla
trecentotredici, quasi appollaiato sulla portiera destra dell'auto.
«Non
canti stamattina?»
«Non
ne ho voglia» risponde Panchito, ed è strano che non abbia davvero
voglia di cantare, ma è ancora più strano il fatto che sia stato
José a chiederglielo – durante il viaggio ha continuamente cercato
di farlo smettere, minacciando anche di tagliarlo a fettine con
un'ascia o di bruciarlo vivo.
«Peccato»
continua, e aspira profondamente dal suo sigaro «Mi piaceva molto
quella che cantavi ieri. Come è che faceva? Felices
amigos siempre vamos juntos.
Donde
va
el primero van
siempre los otros.
»
Panchito
trattiene il fiato per un secondo e José lo guarda di rimando: sarà
stato il troppo buio, l'alcool o una stupida e inutile gelosia a non
farglielo vedere, e invece era proprio lì lo spazio per lui, sempre
stato lì il suo posto nel mondo, ampio e luminoso negli occhi di
José – un posto per trovarsi, un posto dove essere se stessi, un
posto per cui valga la pena viaggiare e poi tornare, un posto chiamato
felicità.
E ora ha voglia di cantare di nuovo, perché José ha un modo tutto suo
per dire le cose, parla con i silenzi e gli sguardi - ed è così
diverso da lui - ma va bene, va davvero bene, va davvero tutto
bene.
Il
suo acuto pieno di gioia sveglia Donald ancora mezzo sbronzo e
sonnecchiante, e José scoppia a ridere anche con gli occhi. Panchito
fruga nella trecentotredici, ondeggiando al vento la zazzera rosso
fuoco, e tira fuori due sombreros; li studia per mezzo secondo, non
un millesimo di più, così impulsivo in tutto, e poi li lancia ai
due amici, iniziando a cantare.
Sono
pronti a ripartire, il futuro li attende e non c'è tempo per essere
tristi - non c'è mai stato, non con loro, non si può star male
quando si ha un posto per trovarsi, un posto dove essere se stessi,
un posto per cui valga la pena viaggiare e poi tornare, un posto
chiamato felicità.
Adelante.
Note
autrice:
Fermatemi
ora o non riuscirò ad uscirne mai più; i Tre Caballeros è
diventata un'ossessione, non faccio altro che pensare a questi
adorabili pennuti. Mi sono resa conto di essermi focalizzata sempre
sul Donald/José, tralasciando un po' Panchito – personaggio che in
realtà adoro moltissimo. Ulteriore spin-off della notte del terzo
giorno – capitemi, ho zero originalità – della storia che è
colpevole di tutto questo fangirlamento. Forse c'è un pizzico di
José/Panchito in più rispetto al Donald/Panchito, ma la colpa in
questo caso è tutta di quel pappagallo che è José. E boh, spero
piaccia a quella bellezza che è mia Moglia, dato che lei sforna
meraviglie dal nulla e io non riuscirò mai a ricompensarla a dovere.
<3
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