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KEEP FIGHTING
Liam si rigirava a scatti nel letto da almeno mezz'ora buona, accaldato
e sudato, non era ancora riuscito a chiudere occhio. Nella sua stanza
buia l'unica fonte di luce erano le cifre lampeggianti dell'orologio
digitale, che in quel momento segnavano le 2.15 del mattino.
Delle gocce di sudore gli imperlavano la fronte scendendo ai lati delle
tempie e bagnando i capelli castani, il fiato corto, le pupille
dilatate, il cuscino bagnato delle lacrime.
Un'altra nottata perseguitato dallo stesso incubo, con la
consapevolezza che la mattina seguente, ovvero tra sei ore, avrebbe
rivissuto lo stesso inferno.
Il bullo della scuola, come da copione, gli avrebbe sbarrato la strada
tra il cancello e l'entrata, e i presenti, come sempre, avrebbero
guardato allarmati la scena per poi distogliere lo sguardo intimoriti.
Paura. Tutti in quella scuola ne avevano. Così codardi da
non
prestare soccorsi a un povero ragazzino, troppo magro per rispondere ai
colpi, troppo debole per ribellarsi.
Chiuse gli occhi e le immagini si fecero spazio nella sua mente.
Charles camminava a
testa alta nel
corridoio. Tutti, nessuno escluso, ragazzi e ragazze dal primo
all'ultimo anno indietreggiavano al suo passaggio, aprendosi in un
varco e lasciandolo passare. In quel momento sembrava tanto
Mosè.
I primini portavano
rispetto e sorridevano intimiditi, gli altri si limitavano ad abbassare
lo sguardo.
Liam stava da solo, come
al solito,
davanti al suo armadietto, semi nascosto dall'anta metallica. Sistemava
i libri all'interno pregando il Dio in cui credeva che non fosse preso
di mira. Evidentemente, quel giorno, come sempre d'altronde, Dio doveva
essere stato preso da qualcosa di sicuro più importante di
un
povero idiota come lui. Uno spintone gli fece sbattere il naso contro
uno scaffaletto metallico. Di quel terribile momento ricordava solo
sangue, il suo, e risate, quelle degli altri studenti, i quali seppur
non divertiti non avrebbero mai avuto il coraggio di contraddire
Charles.
Il ricordo del dolore fece sì che ritornasse cosciente.
Quasi cacciò un urlo dallo spavento, ma lo
soffocò in
tempo nel guanciale. Ci aveva fatto l'abitudine, nella stoffa affogava
lacrime e grida strazianti, singhiozzi e imprecazioni.
Fissò il soffitto sgombro da qualunque pensiero, fino a
quando
il peso delle palpebre e la stanchezza non si fecero sentire.
Era un giorno di
metà
aprile, ma nonostante fosse ormai primavera, su Wolverhampton
incombevano plumbee le nubi cariche di pioggia. Liam percorreva la
strada che lo avrebbe condotto a scuola con passi frettolosi,
voltandosi ogni tanto per controllare che dietro di lui non ci fosse
nessuno.
Girato l'angolo si
scontrò con qualcosa di duro, o meglio, qualcuno di molto
muscoloso.
Alzò lo
sguardo, era solo un
metro e sessantacinque, e trovò dinanzi a sé
l'ultima
persona che avrebbe voluto. Charles lo fissava irato e dietro di lui se
ne stavano Maxxie, Cooper, Freddie e Tony disposti a piramide.
Senza aver nemmeno il
tempo di
realizzare, si trovò piegato in due dal dolore. Cadde
indietro
sbattendo il gomito contro una pietra e procurandosi un taglio.
L'ennesimo.
Un pugno ben assestato lo aveva colpito in pieno addome. Dalla
bocca uscì un verso strozzato mentre dagli occhi rischiavano
di
uscire le lacrime.
Non dovevano, si impose.
Un scarica di calci gli
piombò addosso e non poté far a meno di piangere.
I cinque lo derisero e
picchiarono
per un po', fino a quando troppo stufi si sferrare colpi s un grumolo
di sangue se ne andarono.
Nuovamente Liam sobbalzò e aprì di scatto gli
occhi. Le
mani corsero sulla ferita del gomito e con i polpastrelli ne
tracciò i contorni delicatamente. Quei segni gli ricordavano
chi
era e cosa sarebbe stato se non avesse deciso di cambiare. Le palpebre
si chiusero nuovamente, incapaci di resistere al senso di spossatezza
che si impossessava di lui pian piano.
Liam osservava dal suo
angolino la
mensa. Il suo tavolo, frequentato da egli, lui e sé stesso,
era
anche il più nascosto e isolato. Il cibo giaceva intatto nel
piatto, in attesa che il ragazzo scartasse il panino e lo mangiasse.
Uno spostarsi di sedie lo interruppe.
Charles e la sua cricca
avanzavano verso di lui.
Deglutì
rumorosamente.
''Hey, sfigato.'' lo
apostrofò spregiativamente il capo banda.
Il panico s'impossesso
di lui mentre la sala taceva.
''Non rispondi,
verginello? Non ti conviene.'' minacciò Cooper.
Il gruppo prese posto
accanto a Liam
che ormai tremava. Maxxie allungò le mani e prese quello che
sarebbe diventato il pranzo del poveretto. Lo aprì con
lentezza
snervante, scrutandone il ripieno.
''Domani devo presentare
la relazione
di letteratura sull'intero Ottocento e tutte le sue correnti. Devo
uscire con Stacey, quindi, sai cosa devi fare.''
''Ma domani ho il test
di chimic-.'' provò a obbiettare.
''La voglio per domani
mattina, o sai cosa dovrai passare.'' lo avvertì.
In una frazione di
secondo la sua faccia fu piena di senape e insalata, mentre una
fragorosa risata si alzava nella mensa.
Ridevano di lui.
La vergogna e il dolore di quel flash back lo svegliarono
completamente. Le lancette segnavano le 5.47 e sicuramente la sua
famiglia dormiva.
Liam si alzò velocemente ed entrò nel bagno che
aveva in camera.
In nemmeno trenta secondi la sua mente elaborò tutti i
possibili modi in cui avrebbe potuto provocare la sua morte.
La prima, quella da cui era più tentato, era il rasoio. Mai
come in quel momento si sentì attratto dalla lama.
In quei sedici anni, diciassette il 29, non si era mai spinto oltre a
tagliuzzi superficiali.
Poi ricordò.
Non poteva mandare a puttane tutto.
Quello non sarebbe stato un giorno come gli altri. Non sarebbe andato a
scuola, non avrebbe rivissuto l'inferno, no. Quello sarebbe stato il
giorno delle audizioni per X Factor.
Pregò Dio, perlomeno che l'ascoltasse, e con la lametta si
fece solo la barbetta che cominciava a crescere sul mento.
Due anni dopo.
''Allora Liam, sei stato vittima di bullismo, in passato?'' chiede il
presentatore dello show, con il suo sorrisetto allegro stampato in
volto.
Liam esita un attimo, in fondo il ricordo fa ancora male.
''Sì, ero alla scuola secondaria e venivo perseguitato da un
gruppo di ragazzi. Fu un trauma. Era bullismo psicologico e allo stesso
tempo fisico.Il povero sfigato a cui davate il tormento oggi
è
in televisione e ha realizzato il suo sogno. Voglio solo dire a quei
ragazzi bullizzati di non arrendersi mai, di rimanere forti e credere
in sé stessi, perché possono farcela. Ce l'ho
fatta io in
un periodo della mia vita in cui mi convincevo che gli insulti fossero
veritieri. Possiamo farcela tutti.''
LOOOK AT ME
Ho scritto questa OS senza pretese e di getto, perché oggi
è il KeepFighting e volevo dedicarla a tutte le ragazze che
soffrono :))
Ho poco da aggiungere, fatemi sapere che ne pensate (se vi va).
-Frances
#Keepfighting
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