Ho
questa storia in cantiere da un pezzo, e credo che sia la prima cosa
seria che
porto a termine.
Devo
dire che è un po’ come una figlia: una mia cara
amica mi ha detto che c’è tanto
di me stessa, qui dentro.
E
forse è vero.
E’
qualcosa di diverso, ma vi prego di dargli una possibilità,
mi farebbe
moltissimo piacere.
Un
ultima cosa: non conosco persone affette da
sordità ed io per prima non lo
sono, tutto ciò che ho scritto è frutto di
ricerche che possono aver portato a
risultati sbagliati, quindi sono bene accette le critiche e le
puntualizzazioni
di chi è più esperto di me. Sono davvero
ignorante in materia. Ho cercato di
trattare l’argomento con la maggior delicatezza e
neutralità possibile, se ho
offeso qualcuno chiedo infinitamente, scusa, non era mia intenzione.
Raindrops
and homes.
Era
un giorno di pioggia la prima volta che Blaine lo vide.
Il
ricciolo era seduto sulla sua poltroncina verde preferita, quella che
la mamma
gli aveva regalato per il suo ultimo compleanno.
Blaine
aveva tanto voluto poter sentire la voce della mamma, come regalo di
compleanno, ma quello, la mamma gli aveva spiegato, non era un regalo
possibile.
Quindi
quel giorno, dall’ altezza dei suoi sette anni, Blaine era
seduto sulla sua
poltroncina verde che aveva ricevuto al posto della voce dolce - lo
sapeva che
era dolce, poco importava che, in realtà, non potesse
saperlo - di sua
madre, con un libro aperto sulle sue piccole gambine e degli occhiali
troppo
grandi che continuavano a scivolargli giù dal naso.
Dopo
un lungo periodo in cui ci aveva pensato, aveva alla fine deciso di
posizionare
la sua poltroncina nella stanza con le finestre grandi.
In
verità il segreto di quella stanza era che non ci fossero
finestre, perché
tutte le pareti erano fatte di vetro, ma Blaine si ostinava a chiamarla
stanza
dalle finestre grandi perché così
nessuno avrebbe capito che invece era un
posto speciale, e nessuno avrebbe quindi rubato il suo nascondiglio
segreto.
In
effetti, ora che ci pensava bene, non era proprio una stanza, era
più un
balconcino nascosto dalle sue tendine dei Power Rangers, ma, se quelle
tendine
erano bene tirate, allora sembrava davvero una stanzina, ed a Blaine
andava
bene così.
Ma
il vero motivo per cui Blaine amava quel posticino era la pioggia.
Blaine
poteva quasi sentire
il delicato
picchiettare delle piccole gocce sulle pareti della sua stanzina.
Vedeva
quei piccoli cerchiolini luminosi che si infrangevano contro il vetro e poteva quasi gustare
il
ticchettio, le vibrazioni, il leggero strisciare dell’ acqua.
La
verità era che non sapeva cosa fosse un ticchettio, non
sapeva neanche cosa che
rumore facesse la pioggia sui vetri.
E,
se vogliamo essere del tutto sinceri, non sapeva neanche cosa volesse
dire la
parola dolce riferita alla voce di una persona.
Sapeva
solo che il cioccolato che la nonna gli dava sempre era dolce, e, se la
voce
della sua mamma era dolce come il cioccolato, allora era più
che contento che
fosse lei la sua mamma.
Comunque,
Blaine era conosciuto come una persona che divagava molto.
Forse
era perché aveva molto tempo da passare da solo, forse
perché nel silenzio
della sua camera, della sua vita, di tempo per
pensare non ne mancava, a
volte era addirittura troppo.
Ed
il suo divagare stava portando quella storia su binari che non aveva
avuto
intenzione di percorrere quando aveva iniziato a raccontarla.
In
effetti era abbastanza sicuro che, quando aveva iniziato a raccontare,
l’aveva
fatto con l’intenzione di non parlare di sé
stesso, ma di Kurt.
Kurt
era il bambino più bello che avesse mai visto.
Non
che ne avesse visto tanti, la sua mamma diceva che per lui era meglio
studiare
a casa, che gli altri bambini non erano speciali come lui.
Blaine
sapeva che non era vero, ma sorrideva sempre e annuiva.
Ma
qualcosa in quel bambino semplicemente gli diceva che era bello.
Forse
erano i capelli color nocciola, pettinati ordinatamente dietro le
orecchie, o
forse quel cappottino azzurro mare che lo faceva sembrare morbido come
una
nuvola- Blaine si chiese cosa avrebbe provato se lo avesse abbracciato
mentre
indossava quel cappottino- o forse erano i suoi occhi.
Sì,
perché dall’ alto della sua stanzina Blaine poteva
comunque vedere quegli
occhiettini azzurri, profondi e scintillanti che brillavano di allegria
mentre
il ragazzino cercava di correre sotto la tettoia tra le braccia di suo
padre,
ridendo.
Blaine
non lo avrebbe mai detto a nessuno, forse neanche a Kurt, ma era quasi
sicuro
che quella risata, non il suo suono, che per Blaine era vuoto, ma il
modo in
cui il nasino di Kurt si arricciò, il modo in cui i suoi
occhi si strizzarono
formando delle piccole rughette attorno ad essi, il modo in cui le
labbra si
distesero e la testa si inclinò di lato, ecco, quella risata
fu ciò che lo fece
innamorare di Kurt.
Piuttosto
precoce, può sembrare.
A
sette anni essere già innamorati? Ci sono persone che
arrivano alla fine della
loro vita e che non sono sicuri di aver mai amato una volta.
Ma
Blaine era un bambino speciale, o almeno questo era quello che la sua
mamma
continuava a dirgli, e, visto che a quanto pare non c’era
modo di convincerla
del contrario, allora tanto valeva essere speciali a modo proprio.
Fu
così Blaine che decise che i bambini speciali si innamorano
a sette anni.
Dopo
quel giorno Blaine prese sempre più spesso
l’abitudine di sedersi sul suo
balconcino- stanzina- per osservare Kurt tornare a
casa da scuola.
Lo
vide cambiare diversi cappotti, accorciarsi i capelli ed alzarsi piano
piano.
Ma
non ebbe mai il coraggio di avvicinarsi e sventolare la sua manina a
mo’ di
saluto, e poi magari stringerla con quella di Kurt, pronunciando
lentamente le
parole “Mi chiamo Blaine” e sorridendo alla fine
con orgoglio.
Per
lui era abbastanza sedersi lì ogni giorno a guardare quel
bambino dagli
splendidi occhi blu, ascoltandone la risata, con gli occhi.
Non
si era accorto di quanto fosse dipendente dal suo sorriso fino a che,
in uno
dei suoi giorni da fiero bambino di otto anni, non lo vide
più, rimpiazzato da
pesanti lacrime che rigavano le guance di Kurt e da un abitino elegante
nero,
di quelli che si indossano per i matrimoni o per i funerali.
E
Blaine non era stupido, Blaine era un bambino speciale, ed aveva notato
che la
mamma di Kurt non scendeva più dalla macchina con lui quando
tornava a casa da
scuola.
Quindi
Blaine continuò a sedersi nel suo rifugio, giorno dopo
giorno, con la sola
speranza di rivedere quel bellissimo sorriso dipinto nuovamente sul
volto di
Kurt, e con il desiderio fisico di uscire da quella casa ed avvolgere
le sue corte
braccine attorno a quel corpicino delicato.
L’ultima
volta, o almeno così credeva, che Blaine lo vide fu a dieci
anni.
Era
sempre rintanato dietro la tendina dei Power Rangers e stava aspettando
di
vedere Kurt di nuovo.
Ora
il ragazzino era tornato a sorridere.
Non
era un sorriso pieno, le rughette erano meno marcate, e gli occhi
brillavano di
meno, ma era sempre
meglio di niente,
pensava Blaine.
Vide
le sue amate tendine muoversi, ed il viso di sua mamma fare capolino
tra i due
lembi precedentemente accostati, allora le fece un cenno
d’invito, e poi indicò
uno sgabellino libero.
Con
la sua mamma poteva anche condividerlo, quel suo piccolo posticino
segreto.
La
donna si sedette quindi accanto a lui e seguì il suo sguardo
fuori dalla
finestra, e, quando vide dove puntava, le sopracciglia si contrassero
in un’
espressione confusa.
Non
mi hai mai detto di conoscere Kurt. Segnò
velocemente al
figlio.
“Non
lo conosco “ rispose Blaine, senza distogliere lo sguardo
dalla finestra.
Non
seppe bene riconoscere il sentimento che balenò negli occhi
della sua mamma, ma
gli sembrò molto simile a sollievo.
Aveva
sperato di poterle confessare il suo piccolo segreto, il suo essere
innamorato
di quel bellissimo bambino, ma qualcosa nell’ espressione che
la sua mamma
aveva in quel momento lo trattenne dal farlo.
Bene
continuò
quindi Girano strane voci su di lui. Ma so che tu sei un
bimbo speciale, Blaine,
e sei bravo abbastanza per saper scegliere gli amici giusti.
Blaine
avrebbe volentieri risposto che, di amici, non ne aveva, visto che
doveva
sempre stare rinchiuso in quella casa, ma venne interrotto dalla sua
mamma
prima di riuscire a parlare.
Tanto
tra poco si trasferiscono. Scrollò
le spalle Mi chiedo chi
sarà il nostro prossimo vicino! Magari è una
bella bambina, Blaine!
In
condizioni normali Blaine sarebbe rabbrividito di disgusto a pensare ad
un'altra bambina nel modo in cui la sua mamma voleva che lui pensasse,
ma in
quel momento Blaine non aveva quasi sentito quell’ ultima
parte, la sua mente
ferma alle parole tra poco si
trasferiscono.
Il
pensiero di non rivedere più Kurt per il resto della sua
vita, in quel momento,
gli sembrò quasi più doloroso del non saper
distinguere il dolce del
cioccolato, ed il dolce della voce della sua mamma.
Quando
Blaine rivide Kurt nuovamente, erano passati altri sette anni.
Il
Blaine diciassettenne era molto diverso dal Blaine di otto anni che si
era
innamorato di lui.
Forse,
come si divertiva a puntualizzare suo padre, l’altezza era
rimasta uguale, ma
Blaine era cambiato dentro, ed aveva iniziato a vedere.
A
vedere oltre il sorriso gentile di sua madre e come fosse facile da
distruggere
quando, a quattordici anni, decise di fare coming out ai suoi genitori
ed
annunciare che fosse gay.
A
vedere suo padre smettere lentamente di mantenere anche il
più sottile filo di
comunicazioni con lui e rientrare sempre più tardi dal
lavoro.
A
vedere come il cuoricino di un ragazzino di quattordici anni fosse
ancora
troppo debole per sostenere il peso dell’ essere odiato dai
genitori.
Era
stato in quel momento che
aveva deciso che
sarebbe andato a scuola.
Da
una parte sperava di poter passare a casa il minor tempo possibile,
dall’ altra
sperava di farsi nuovi amici e trovare un posto in cui fosse pienamente
accettato.
Quindi
passò un numero infinito di sere seduto alla sua scrivania
con il pigiama
addosso e la lucina da tavolo accesa, a
cercare tutte le informazioni possibili ed immaginabili su come un
ragazzino
che non potesse sentire potesse andare ad una scuola normale, ed
impegnandosi
nel perfezionare la comprensione del linguaggio delle labbra.
Quando
presentò il malloppo sulla Dalton Academy ai suoi genitori
non seppe dire se fu
felice o ferito nel non ricevere nessuna opposizione.
Optò
per l’essere felice, visto che di tristezza nella sua vita ne
aveva già
abbastanza.
Il
primo giorno di scuola fu mortificante.
Si
ritrovò a rispiegare daccapo, come con ogni persona nuova
che incontrava che,
sì, era sordo e che non poteva sentire ma che poteva parlare
e che, per
ascoltare le lezioni, poteva leggere abbastanza bene le labbra del
professore che
spiegava oppure si serviva dei libri, ma che comunque la Dalton gli
avrebbe
fornito almeno un insegnante in grado di parlare il linguaggio dei
segni per le
situazioni più difficili.
Ma
i ragazzi in quella scuola sembravano davvero gentili, e Blaine si
ritrovò ben
presto dal non avere un amico, ad essere circondato da Wes, David,
Nick, Jeff
ed altri ragazzi che dicevano di far parte degli Warblers, il Glee
Club- Blaine
scoprì in seguito che si trattava di un gruppo di persone
che si riunivano per
cantare- della Dalton.
Blaine
scoprì che un sorriso a volte vale più di mille
parole, e che esistono delle
persone speciali che ti staranno sempre vicine perché quella
è la vera
amicizia.
Si
divertì tante volte a guardare i numerosi tentativi dei suoi
amici di imparare
il linguaggio dei segni, ed allo stesso tempo gli occhi gli si
riempivano di
lacrime, perché sotto la goffaggine di quei segni stentati,
Blaine poteva, per
la prima volta, sentire un affetto sincero.
E
si ricorderà per sempre quella volta, il suo secondo anno,
quando, riunito
nella sala comune dei dormitori con i suoi amici, qualcuno che cantava
una
melodia della quale Blaine poteva solo percepire le vibrazioni e
qualcuno che
rideva per uno scherzo che David aveva fatto a Wes, si sentì
veramente a casa.
Sentì
veramente di appartenere al cuore di qualcuno, nel profondo, e di
potersi
fidare.
Quindi,
prendendo un bel respiro, aveva alzato la voce e detto di essere gay.
Il
tempo si era fermato per un momento, e tutti avevano smesso di parlare
o
cantare.
Blaine
aveva iniziato ad aver paura di aver sbagliato, di averlo detto troppo
presto,
troppo velocemente, ma, improvvisamente, tutti erano scoppiati in una risata divertita e
David gli aveva
segnato che non aveva mai visto un’ espressione
così spaventata in tutta la sua
vita.
Wes
annuendo si era avvicinato a lui. Seriamente,
amico, se fossi stato etero avresti fatto tutta questa scenata per
dircelo?
Blaine
aveva scosso la testa confuso.
Allora
non vedo perché tu debba
farlo perché sei gay. Non cambi tu se cambia chi ami,
Blaine, ricordatelo.
Anche
questo Blaine non lo ha mai detto a nessuno,
ma quel giorno giurò di aver sentito la propria risata
risuonare alta e satura
di sollievo nell’ aria.
Ovviamente
non fu tutto rose e fiori.
C’erano
giorni in cui la frustrazione di non poter
sentire i suoi amici cantare si faceva sentire, e Blaine fuggiva nel
suo
dormitorio e restava chiuso in camera per il resto della giornata,
raggomitolato su di sé.
Altri
giorni in cui tutti ridevano per qualcosa che
aveva detto il professore che Blaine non aveva capito perché
per un momento
aveva distolto lo sguardo dal suo viso.
E
poi c’era stato Sebastian.
Sebastian
con quel suo sorriso malizioso.
Con
quei suoi modi di fare che avevano fatto
sentire Blaine desiderabile, voluto.
Sebastian
gli aveva rubato il cuore, lo aveva
tenuto per sei lunghi mesi, e poi glielo aveva restituito a pezzi.
Ma
Blaine aveva al suo fianco i suoi amici, e,
quando il ragazzo lo aveva lasciato e si era trasferito in
un’ altra scuola per
stare vicino all’ amore
della sua vita, che,
a quanto
pare, non era Blaine, erano restati al suo fianco e lo avevano sorretto
e riportato sorridere.
Ma,
d’altronde l’aveva già detto in
precedenza, Blaine tendeva a divagare.
E
si era quasi scordato di voler parlare di Kurt, quasi.
Il
giorno che lo rivide, dopo sette lunghi anni, non stava piovendo, anzi,
c’era
un bellissimo sole che splendeva alto nel cielo e nessuna nuvola in
vista.
Era
un giorno speciale, era il giorno delle Regionali e gli Warblers
stavano per
esibirsi davanti ai giudici più importanti di tutto
l’Ohio, e Blaine non poteva
che essere fiero dei suoi amici.
Quando
arrivarono all’ auditorium del McKinley, dove si sarebbe
tenuta la competizione
quell’ anno, Blaine
poteva percepire
chiaramente il nervosismo e l’eccitazione dei suoi compagni.
Lo
capiva dal modo in cui Wes giocava con il suo orologio da polso, David
picchiettava il sedile di fronte a lui e tutti gli altri strizzavano
gli occhi
più volte del normale.
Entrarono
nell’ auditorium di corsa e si posizionarono nei sedili
riservati per loro.
In
poco meno di un’ ora i suoi amici sarebbero saliti sul palco
davanti a lui per
cantare, e lui sarebbe rimasto tra il pubblico a guardarli.
Delle
volte faceva male il non poter comprendere la musica.
In
qualche modo, dentro di sé, sapeva che, in un'altra vita, in
un altro corpo, in
un altro Blaine, avrebbe potuto vivere solo per quella.
Non
la conosceva, ma qualcosa vibrava nel profondo della sua anima quando
poggiava
le mani sui tasti del pianoforte nella sala degli Warblers, nessuno nei
paraggi, qualcosa si muoveva quando accarezzava di nascosto le corde
della
chitarra di Flint, suo compagno di stanza, e le vibrazioni si
propagavano nelle
sue dita, nella sua mano, nella sua carne, nelle sue ossa.
Non
la sentiva, ma la sentiva.
La
mano di David sulla sua spalla lo riscosse dai suoi pensieri, e lo vide
segnargli che sarebbero andati nel backstage a fare le prove della
performance,
visto che erano i primi a doversi esibire.
Blaine
annuì e urlò un buona fortuna
che fece sorridere tutti i suoi compagni.
La
mezz’ora restante passò velocemente, e Blaine si
ritrovò all’ improvviso
circondato da persone, un mare di persone, che immaginava stessero
parlando,
emozionate o nervose.
Ad
un certo punto le luci si spensero, e Blaine si ritrovò ad
osservare i tre
giudici che salivano sul palco e spiegavano le regole della
competizione.
Poi
il sipario si chiuse e Blaine strinse forte le sue mani.
Perché
quello era il momento.
Con
un movimento fluido il sipario si aprì nuovamente e le luci
conversero al
centro del palco, dove un gruppo di una ventina di ragazzi vestiti in
giacca e
cravatta blu e rosse si muovevano sincronizzati.
Quello
che Blaine non si aspettava era che, nel momento in cui iniziarono a
cantare,
le loro mani si alzassero all’ altezza dei loro stomaci ed
iniziassero a fare
movimenti strani.
Movimenti
strani e probabilmente senza senso per la maggior parte delle persone
presenti,
ma con un preciso significato per Blaine.
Significavano
amicizia, felicità, casa.
Ed
in pochi secondi si ritrovò le guance bagnate e gli occhi
schiariti dalle
lacrime, un sorriso dipinto sul viso.
Dopo
che gli Warblers si furono esibiti, fu il turno di un gruppo canoro
formato da
signori probabilmente dell’ età di sua nonna a cui
Blaine non fece troppo caso.
Infine,
gli ultimi ad esibirsi sarebbero stati i ragazzi del McKinley.
Blaine
alzò gli occhi con curiosità quando la luce, al
posto di illuminare il centro
del palco, puntò il retro dell’ auditorium dove
una ragazza dai capelli castani
ed un naso un po’ troppo grande sembrò intonare
una canzone.
Blaine
osservò rapito la sicurezza che sembrava emanare da quel
corpo minuto, ed alla
fine del numero applaudì forte, non vedendo l’ora
di assistere al numero
successivo delle New Directions.
Ora,
Blaine non si scordò mai di quel sorriso che lo aveva fatto
innamorare. Lo
avrebbe riconosciuto ovunque, anche dopo sette lunghi anni.
Fu
per quello che, quando la luce del palcoscenico si riaccese per il
secondo
numero, a Blaine si immobilizzò
dalla sorpresa
nel vedere che fu proprio quel sorriso ad essere illuminato.
Quello,
ed un ragazzo bellissimo con dei famigliari capelli color bronzo e due
inconfondibili
occhi color del cielo.
Ed
il respiro di Blaine gli si fermò in gola, quando i ricordi
di un bambino
bellissimo avvolto in un cappotto azzurro mare gli inondarono la mente.
Ma
niente, neanche i suoi ricordi più felici, era comparabile
alla bellezza di
quel ragazzo, Kurt, che cantava, gli occhi chiusi, i muscoli del viso
rilassati
ed il lungo collo esposto, che impercettibilmente vibrava.
Quando
arrivò alla fine della canzone Blaine era pallido, senza
parole e spaventato a
morte.
Se
c’era una cosa di cui Blaine andava fiero, era la sicurezza
che aveva
acquistato con il tempo.
La
gente arrivava addirittura a definirlo carismatico e coinvolgente.
La
verità era che Blaine amava stare al centro dell’
attenzione, amava quando le
persone lo guardavano pendendo dalle sue labbra ma, più di
tutto, Blaine amava
essere gentile.
Non
sempre era una cosa positiva, lo aveva sperimentato con Sebastian che
la sua
gentilezza, a volte un po’ ingenua e troppo disinteressata,
lo rendeva più
vulnerabile, ma Blaine ne aveva il bisogno, di aprirsi alle persone, di
fidarsi
di loro.
E
così, con il tempo, la gente aveva iniziato ad amare il suo
carattere, e, di
pari passo, anche Blaine aveva iniziato ad accettarsi.
Quindi,
quando alla fine delle esibizioni gli Warblers furono dichiarati
vincitori e
tutti si stavano preparando per andarsene, si chiese come mai quella
sua tanto
amata sicurezza che aveva lottato per raggiungere fosse scomparsa
all’improvviso alla sola idea di avvicinarsi a Kurt, e lo
aveva lasciato solo
con delle ginocchia tremanti e la voce insicura.
Si
alzò dalle poltroncine e poi in punta di piedi per scrutare
la folla, e notò la
ragazza di colore che aveva cantato il terzo numero delle New
Directions uscire
dall’ auditorium, circondata dalla maggior parte dei ragazzi.
Fu
così che senza pensarci tanto si scusò dai suoi
amici e, prima di ripensarci,
cercò di raggiungere il gruppo.
Li
vide dirigersi verso un pullmino ridotto piuttosto male e, finalmente,
riconobbe
Kurt, avvolto in un cappotto nero che rideva con la brunetta dal naso
strano
riguardo a qualche battuta che Blaine non poteva comprendere.
Affrettò
il passo e, molto probabilmente, doveva aver calcolato male qualcosa
perché
arrivò vicino al pullman in meno tempo del previsto e si
ritrovò in mezzo a
facce quasi sconosciute che lo fissavano e cercavano di parlagli, senza
uno
straccio di piano.
Intelligente,
Blaine, davvero intelligente.
Tentò
di concentrarsi per cercare di capire che cosa stessero dicendo, ma le
labbra
si muovevano troppo veloci e la sua attenzione venne catturata dal
ragazzo in
piedi di fronte a lui.
Kurt
era
in piedi di fronte a lui.
Kurt
gli stava parlando.
Kurt
gli
stava toccando la spalla.
Ed
all’ improvviso fu tutto troppo tanto da sopportare, e Blaine
si ritrovò a
girarsi di schiena ed a correre nell’ auditorium, sperando di
trovare un
angolino abbastanza buio dove potesse raggomitolarsi e piangere tutte
le sue
lacrime.
Dopo
quell’ episodio a Blaine ci volle qualche tempo per ritornare
ad essere il
ragazzo confidente di prima.
Ma,
sempre aiutato dai suoi amici, riuscì ad andare oltre la sua
delusione in sé
stesso e continuare la sua vita.
Ovviamente
gli equilibri sono fatti per essere distrutti, perché, non
appena era passato
un mese e Blaine sembrava essersi dimenticato dell’ accaduto,
un forte vento
costrinse Blaine, che, tornato a casa dai suoi genitori per il week end
– non
che ne fosse tanto contento- stava camminando per le strade di Lima, a
ripararsi nell’ edificio più vicino.
Che
capitò essere il Lima Bean.
Che
era anche la caffetteria preferita di Kurt.
Cosa
che Blaine, ovviamente, neanche immaginava.
Fu
quindi in un giorno ventoso che Blaine rivide Kurt dopo le Regionali.
Aveva
appena ordinato il suo caffè, ed era sollevato che fosse
andato tutto liscio e
che la cassiera non avesse fatto domande che Blaine non avrebbe potuto
sentire,
quando, girandosi per cercare un posto a sedere, notò che
tutti i tavoli erano
occupati.
Stava
già progettando di uscire per vedere se il tempo fosse
migliorato, ma la
visione di un cartellone pubblicitario che volava in giro per la strada
gli
fece capire che forse non era un buona idea.
Decise
quindi di farsi coraggio e trovare un posto a sedere vicino a qualche
altro
cliente.
Avvistò
un tavolino per due occupato solo da un ragazzo che gli dava di schiena
e che
indossava uno strano cappello grigio e, notando che era anche vicino
alla
finestra e che in quel modo avrebbe potuto controllare il tempo, si
incamminò
in quella direzione.
“E’
libero?” chiese, sperando che il ragazzo rispondesse con un
cenno del capo ed
evitasse situazioni imbarazzanti.
Per
sua sfortuna il ragazzo non sembrò neanche notarlo,
mantenendo la sua testa
inclinata sul libro che stava leggendo.
Per
un attimo fu preso dal panico che qualcosa non andasse bene con la sua
voce, ma
poi notò che il ragazzo aveva le cuffie nelle orecchie, e
optò per un leggero
tocco sulla sua spalla, che lo fece sussultare.
Alzò
quindi la testa e, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Blaine,
un lampo
di ricognizione balenò in entrambi.
Kurt.
“E’-è
l-libero?” tentò di nuovo Blaine cercando di
suonare sicuro ed obbligandosi a
non correre via di nuovo, ignorando le scariche di nervosismo che gli
correvano
sottopelle.
Il
ragazzo annuì.
Lo
vide dire qualcosa ed allungare la mano, e Blaine si
affrettò a stringerla
pronunciando il suo nome ad alta voce.
Probabilmente
un po’ troppo ad alta voce perché vide il ragazzo
ridere e dire qualcosa
indicando le sue orecchie.
Blaine
si chiedeva perché non riuscisse a capire cosa stesse
dicendo, aveva anni
d’esperienza a leggere le labbra dei professori, ma con Kurt
qualcosa lo
bloccava, lo distraeva.
E
Blaine sapeva bene che erano le sue labbra, rosee e piene, che si
stiravano
ogni volta che pronunciava qualcosa.
Non
si era accorto di essere rimasto incantato a guardarle fino a che non
vide la
mano del ragazzo sventolare davanti al suo viso, e si riscosse dal suo
stato di
trance.
“Non
posso sentirti” disse quindi, cercando di sembrare non tanto
inutile quanto in
verità si sentiva.
Vide
Kurt inclinare leggermente la testa di lato, evidentemente non capendo
a cosa
si riferisse, poi, all’ improvviso, iniziò a
boccheggiare e gli occhi gli si
illuminarono di consapevolezza.
Ora,
Blaine se lo sentiva, ora arrivava quello sguardo.
Quello
sguardo che non sopportava ma che, puntualmente, quando le persone
realizzavano
che fosse sordo, compariva sui loro volti.
Lo
sguardo mi dispiace davvero tanto, dev’essere dura.
Lo
sguardo di chi prova pena per te.
Era
successo con tutti, anche con i suoi amici.
Quindi
Blaine aspettò, sperando di non sentirsi
tanto fenomeno da baraccone come succedeva sempre.
Ma,
stranamente, tutto quello che Kurt fece fu sorridergli
e fargli segno con le mani di aspettare, per poi rovistare nella
tracolla
poggiata a lato della seggiola e mostrare a Blaine un taccuino marrone
ed una
matita.
Così
va meglio? Si
affrettò a scrivere su un foglio che poi mostrò
a Blaine.
Il
ricciolo rimase a fissare la calligrafia minuta
e leggermente inclinata verso destra per forse un po’ troppo
tempo.
“M-molto,
grazie” rispose Blaine stupito, e, per un
istante, venne travolto dalla frustrazione di non poter sentire la voce
di quel
ragazzo.
Mi
chiamo Kurt
scrisse nuovamente.
“Blaine”
sorrise il ricciolo, trattenendosi all’
ultimo dal dire lo
so, e
sentendosi lentamente rilassare.
Dove
abiti, Blaine?
Blaine
alzò il viso dal foglio e vide il sorriso
del ragazzo invitarlo a parlare.
“Come
mai?”
Sei
tu, vero? Vide
scribacchiato sul foglio.
Ma,
prima che potesse rispondere vide Kurt fargli
cenno di aspettare e riprendere in mano la matita.
Avevo
un vicino prima di
trasferirmi che aveva il tuo stesso nome. Non l’ho mai visto
uscire e ma tutti
sapevano che i genitori lo facevano rimanere a casa a studiare. Eri tu,
non è
vero? Aveva il tuo nome, ed i tuoi stessi occhi.
Blaine
fissò il foglietto di carta e qualcosa sentì
qualcosa di caldo all’ altezza dello stomaco.
Kurt
lo conosceva.
Kurt
sapeva di lui.
“Sì”
sussurrò quasi più a sé stesso che al
soprano.
“Sì, sono io”
Vide
l’espressione di Kurt aprirsi in un sorriso
sincero.
Beh,
allora è un piacere conoscerla
Signor Anderson, oserei dire che ce n’è voluto di
tempo!
Blaine
sorrise ed annuì.
Non
immagini quanto, pensò.
Ma
non lo disse.
Parlare
con Kurt era facile.
Era
una di quelle persone che sorridono sempre,
anche senza motivo, che ti fanno sentire a tuo agio anche se a te
sembra di
essere solo un peso sulle spalle.
Parlare
con Kurt era anche meglio di osservarlo
sorridere dalla sua stanzina fatta di vetro, tendine di Power Rangers,
e
pioggia.
Il
pomeriggio passò troppo velocemente, e, quando
Blaine guardò fuori dalla finestra e notò che era
ormai buio e che il vento era
cessato, sentì il cuore farsi pesante al pensiero fosse il
tempo di tornare a
casa.
Alleviò
la malinconia il fatto che, quando lo disse
a Kurt, la sua espressione fece sembrare che anche lui ne fosse
dispiaciuto.
Decisero
di scambiarsi in numeri di telefono e,
dopo un silenzio che Blaine sentì più pesante del
solito, Kurt avvolse le
spalle di Blaine in un veloce abbraccio.
Quella
sera Blaine non cambiò la maglietta prima di
andare a dormire, convinto di sentire ancora le braccia di Kurt
attraverso la
stoffa fredda.
La
loro amicizia crebbe velocemente tra incontri al
Lima Bean, confessioni di essere gay sussurrate per paura della
reazione dell’
altro, risate di sollievo nel capire che erano uguali, che potevano
capirsi, serate
passate sul divano di Blaine, quando era a casa dalla Dalton ed i suoi
genitori
erano troppo impegnati nel mantenere la loro vita sociale uscendo la
sera e
lasciandolo da solo, a guardare vecchi musical che, Kurt diceva,
avevano le
canzoni più belle, e discorsi seduti a gambe incrociate sul
suo letto armati di
foglio e matite su quale fosse la copertina migliore di Vogue.
Discorsi
su come Kurt fosse tormentato dai bulli.
Discorsi
su come Blaine odiasse tonare a casa dalla
Dalton.
Discorsi
su come, da quando c’era Kurt, i suoi
giorni fuori da scuola non erano più spaventosi.
Discorsi
su cosa volessero fare da grandi.
Kurt
voleva entrare alla NYADA, e Blaine voleva
laurearsi in letteratura inglese e diventare insegnante.
Quando
lo disse entrambi rimasero in silenzio, Kurt
sapendo quanto poco probabile fosse che Blaine ottenesse il lavoro, e
Blaine
semplicemente volendo cullarsi ancora un poco in quel suo piccolo sogno.
C’erano
delle volte, nel profondo della notte, in
cui Blaine si svegliava, nella mente lo spettro di una voce bellissima
che lo
cullava nel sonno.
Blaine
avrà sempre un posto nel suo cuore per Burt
Hummel.
La
prima volta che Kurt portò Blaine a casa sua,
che scoprì non essere tanto più lontana, Burt era
seduto sotto il portico.
Lo
vide muovere le labbra con espressione seria e
carpì le parole ragazzo,
amici, e
le
porte stanno aperte, e
vide Kurt arrossire e si affrettarsi a e dire
qualcosa al padre prima di entrare in casa e trascinare Blaine con
sé, senza
dagli la possibilità di presentarsi per bene.
Allora
Blaine si era lamentato, ed aveva chiesto a
Kurt di tornare indietro.
Kurt
lo aveva guardato con espressione stranita ma,
vedendo l’espressione supplichevole del ricciolo, aveva
annuito e lo aveva
riportato da suo padre.
Quindi
Blaine si era posizionato davanti a lui, gli
aveva teso la mano e, prima che potesse parlare gli aveva detto:
“Buongiorno
signore, mi chiamo Blaine, sono un amico di Kurt. Mi piace guardare
vecchi
film, ho una passione malsana per i papillon e per Vogue, sono gay e
probabilmente non potrò sentire niente di quello che mi
dirà in risposta.
Piacere di conoscerla”
Al
che Burt aveva sorriso, gli aveva stretto la
mano e, parlando piano, in modo che Blaine potesse leggergli le labbra,
aveva
detto: “Benvenuto in famiglia, figliolo. E chiamami
Burt.”
Il
conoscere Burt lo portò a scoprire un nuovo
significato della parola casa.
Il
giorno in cui se ne accorse Blaine aveva appena
litigato con i suoi genitori.
Erano
rientrati da una delle loro solite uscite ed
avevano trovato Kurt e Blaine seduti vicini sul divano che
condividevano una
coperta, le teste accostate ed i visi rilassati dal sonno.
Quindi
avevano spento la televisione che ancora
stava funzionando, avevano tolto la coperta e li avevano svegliati
bruscamente.
Avevano
detto a Kurt che avevano degli impegni e
che doveva andarsene subito.
Blaine
si era opposto e aveva detto a Kurt di
restare, allora suo padre si era arrabbiato talmente tanto che aveva
colpito la
sua guancia a palmo aperto, lasciando l’impronta delle cinque
dita sulla pelle,
il rumore dello schiaffo nell’ aria e quello del cuore di
Blaine che si
spezzava racchiuso dentro se stesso.
A
quel punto era stato Kurt che lo aveva preso per
mano, lo aveva condotto nella sua macchina, ignorando le urla isteriche
della
madre e l’espressione distante del padre, e lo aveva portato
a casa sua.
Qualche
ora dopo, seduto sul divano di casa Hummel
con una tazza di camomilla in mano ed una coperta di lana a coprirlo,
Blaine si
era ritrovato ad osservare Kurt gesticolare al padre indicando a volte
lui, a
volte la sua guancia ed a volte semplicemente il cielo.
Aveva
visto l’espressione di Burt cambiare,
e lo sguardo farsi più protettivo.
Nel
giro di pochi secondi due braccia forti lo
circondarono ed il profumo di olio di macchina e hot dog gli
riempì e narici.
Da
quel giorno in poi quelle braccia e quel profumo
furono la cura per i suoi momenti più bui.
Blaine
non disse a Kurt quello che pensava della
sua risata.
Non
gli disse della stanzina segreta dalla quale lo
aveva guardato sempre.
Non
gli disse di essere innamorato di lui.
Kurt
imparò lentamente il linguaggio dei segni, non
era bravissimo, d’altronde doveva destreggiarsi tra i compiti
la scuola ed il
glee club e non aveva tanto tempo, ma Blaine era importante, e Kurt
voleva
farlo, per lui.
Un
giorno Blaine visitò Kurt di sorpresa, senza
nessun preavviso, e lo trovò nella sua stanza a cantare.
Kurt
non cantava mai di fronte a Blaine, sapeva che
al ragazzo non importava, ma non gli sembrava giusto farlo.
E,
quando Blaine vide Kurt, nella sua stanza, in
piedi nel centro con gli occhi pieni di quella che doveva essere
l’espressione
di dolore che esprimeva la canzone, Blaine non potè fare
altro che avvicinarsi
senza curarsi di essere visto ed implorarlo di continuare.
Poi
aveva allungato tentativamente una mano, quasi
a chiedere il permesso a Kurt, ed il soprano aveva annuito, e
l’aveva afferrata
ed avvicinata delicatamente alla sua gola.
Quando
Blaine aveva sentito le vibrazioni della
voce di Kurt propagarsi dalla sua mano dentro di sé, il suo
cuore si era fatto
più grande, le gambe avevano iniziato a tremare, gli occhi
gli si erano
riempiti di lacrime e Blaine si era aggrappato a Kurt come se fosse
ciò da cui
dipendesse la sua vita, le spalle scosse dai singhiozzi accarezzate
dalle mani
morbide le soprano.
Kurt
non lo saprà mai, ma Blaine, goffamente, dietro
le spalle gli segnò le parole ti
amo.
Da
quel giorno Kurt cantò più spesso.
I
mesi passarono, e, senza neanche rendersene
conto, entrambi i ragazzi si erano diplomati ed erano in procinto di
andare a
studiare a New York, Kurt alla NYADA e Blaine alla NYU, con come
indirizzo
letteratura inglese.
Blaine
ancora non gli aveva detto che lo amava.
Alla
fine decisero di affittare un appartamento
insieme.
Non
era nella parte più esclusiva di New York, ed
era costituito da due camere, la cucina-salotto ed il bagno, ma per
loro era
perfetto.
Altri
mesi passarono, le loro vite si divisero, ma
loro no.
Avevano
amici diversi, certo, avevano diverse
compagnie, ma quando la sera tornavano a casa l’uno era
sempre lì per l’altro.
Kurt
era sempre presente quando, alle volte, Blaine
scoppiava in lacrime per rilasciare la tensione di non capire il mondo
fino in
fondo.
Blaine
era sempre presente quando Kurt gli
confessava che delle volte, la notte, sognava ancora di armadietti di
metallo
duri contro la sua schiena e di forti spinte che lo facevano cadere a
terra.
Kurt
ebbe dei fidanzati.
Blaine
neanche uno.
Delle
volte Kurt aveva provato a parlagliene, ma
Blaine rispondeva sempre con una scrollata di spalle dicendo che forse
non
aveva trovato quello giusto.
Era
un giorno di pioggia l’ultimo
giorno di cui Blaine parlerà in questa storia.
Il
ragazzo era seduto
vicino alla finestra, un libro aperto in grembo e gli occhi fissi sulle
goccioline di pioggia che colpivano forti il vetro.
Ricordava
tanto sé stesso
quando aveva sette anni, sulla sua poltroncina verde ad osservare il
bellissimo
bambino nel cappotto azzurro mare.
Solo
che non c’erano più
bambini, né cappotti azzurro mare.
Solo
grattacieli.
Non
era un giorno speciale, Blaine non vestiva uno
dei suoi maglioni preferiti e quei pantaloni che Kurt diceva lo
facessero
sembrare fantastico.
No,
Blaine indossava un paio di pantaloni della
tuta ed una felpa dell’ università, rovinata.
I
suoi capelli non erano fissati dal gel, ed aveva,
appoggiati sul naso, i suoi occhiali da vista.
Probabilmente
aveva anche un principio di barba sul
mento visto che non se la faceva da qualche giorno.
Kurt
era fuori con un ragazzo di cui Blaine non
sapeva il nome, e neanche voleva saperlo, e non sarebbe rientrato prima
di
mezzanotte.
O,
almeno, quello era ciò che aveva detto.
Quindi
Blaine fu piuttosto spaventato quando, alle
dieci di sera, vide Kurt aprire la porta d’ingresso
bruscamente e mandarla a
sbattere contro il muro prima di richiuderla con la stessa forza.
Blaine
saltò in piedi, preso alla sprovvista, e
fece per avvicinarsi a Kurt, quando vide le sue guance rigate da
lacrime e gli
occhi gonfi per il pianto.
“Kurt?”
chiese posandogli un braccio sulla spalla
per confortarlo.
In
tutta risposta il ragazzo se lo scrollò di dosso
e si diresse verso la cucina per versarsi dell’ acqua,
rinunciandoci quando si
accorse che i singhiozzi gli impedivano di centrare il bicchiere.
“Kurt?”
riprovò Blaine mantenendosi distante “L-lo
sai che con me p-p-uoi parlare di tutto, vero?”
Perfetto,
aveva iniziato a balbettare.
Fantastico
Blaine, come puoi
confortare una persona se neanche riesci a formulare una frase dal
nervosismo?
Non
si aspettava però, la reazione che ebbe il
soprano alle sue parole.
Infatti
la sua espressione si trasformò da
distrutta ad arrabbiata, e vide i suoi lineamenti contrarsi e le sue
labbra
aprirsi come per urlare.
Ma
Blaine era perso, Blaine non capiva.
Blaine
era in panico.
Non
aveva mai visto un Kurt così fuori di
controllo, non aveva mai visto un Kurt così arrabbiato,
così spaventato.
E
non riusciva neanche a capire cosa stesse
dicendo, perché Kurt non stava traducendo con i segni, e le
sue labbra si
muovevano troppo veloci perché Blaine potesse comprendere.
O
forse era Blaine che era troppo spaventato.
E
si ritrovò a guardare Kurt con occhi
supplichevoli, con espressione persa, perché non capiva, non
capiva ma voleva
disperatamente farlo.
Perché
Blaine Anderson voleva sempre essere utile.
Cercò
di chiamare Kurt, ma il suo nome non riuscì
neanche ad uscire dalla sua bocca, morendogli in gola.
Poi,
improvvisamente Kurt si fermò e sembrò
rendersi conto del fatto che Blaine non avesse capito niente.
Blaine
si aspettava che a quel punto prendesse un
bel respiro e gli spiegasse cosa stesse succedendo, gli traducesse
quello che
aveva detto.
Ma
quello non successe mai, perché tutto quello che
Kurt fece fu pronunciare quello che sembrò tanto un oh,
vaffanculo, prima
di avvicinarsi
a Blaine e coprirne le labbra con le proprie.
E
Blaine continuava a non capire, non sapeva che
cosa stesse succedendo ed il motivo per cui Kurt lo stesse baciando.
Ma
se quello era il prezzo da pagare per poter
baciare le labbra di Kurt, allora sarebbe rimasto ignorante per sempre.
Sentì
il soprano spostare le mani dietro il suo
collo, e giocherellare con i riccioli corti che cadevano liberi sulla
sua
pelle, e sospirò nel bacio quando posizionò le
sue sui fianchi del ragazzo.
Le
sue labbra non erano morbide come aveva sempre
immaginato, erano di più.
E
Blaine si perse in quel bacio, non era più Blaine
il ragazzo che non sente e
che mai capirà il mondo fino in fondo, era
KurteBlaine,
BlaineeKurt.
“Kurt”
sospirò “Kurt, ho aspettato così tanto.”
Kurt
si allontanò di poco, appoggiando la sua
fronte contro quella dell’ altro.
“Anch’io
Blaine, anch’io” Blaine riuscì a leggere
sulle labbra dell’ altro,
prima di
coprirle con le sue per un bacio più lento, più
disperato.
Quando
si divisero di nuovo, Kurt aveva il fiato
corto e le guance arrossare, e Blaine poteva giurare che non esistesse
al mondo
niente di più bello.
Poi
Kurt lo guardò negli occhi e sorrise, ed in
poco tempo il suo sorriso divenne una risata piena.
E
fu a quel punto che Blaine si perse.
Perché
la prima volta che si era innamorato di Kurt
Hummel era stato per la sua risata, ed ora lui era lì, tra
le sue braccia, con
quel suo nasino che si arricciava, le sue guance arrossate, le sue
bellissime
rughette intorno agli occhi e le sue labbra distese.
E
Blaine non ce la fece più, aveva aspetta tredici
anni eppure in quel momento sentiva di non poter aspettare neanche un
secondo
di più.
“Ti
amo”
gli sussurrò, e, Dio,
quanto erano dolci quelle parole sulla sua lingua
“Tiamotiamotiamo” ripeté come un mantra.
“Ti amo”
Vide
gli occhi di Kurt farsi più grandi e riempirsi
di lacrime, e per un attimo fu preso dal panico di aver fatto qualcosa
di
sbagliato, di esser stato troppo veloce.
Ma
poi Kurt incatenò gli occhi ai suoi, e con le
sue mani e tracciò sul suo petto delle linee che presto
diventarono parole,
mimandone i suoni con le labbra.
Ti
amo anch’io.
Ed
in quel momento a Blaine non importava che
ancora non sapesse che cosa fosse successo a Kurt quella sera, a Blaine
non
importava che il suo primo ti
amo
non lo avesse potuto sentire, perché Blaine aveva
di meglio.
Aveva
un ti
amo scritto
sulla sua pelle, impresso nella sua carne
ed aveva Kurt.
Quel
giorno Blaine imparò il terzo significato
della parola casa.
Il
primo era l’amicizia.
Il
secondo la famiglia.
Il
terzo era Kurt.
La
storia di Kurt e Blaine iniziò così in un giorno
di pioggia, ed iniziò di nuovo in un giorno di pioggia, la
prima volta in una
stanzina speciale fatta da tendine di Power Rangers, vetro, e pioggia,
la
seconda volta a casa.
-fine-
BlueCinnamon15
Umore
attuale: spaventatissina.
Allora,
non ho davvero tanto da dire, la maggior parte delle cose le ho dette
all’
inizio.
Ne
approfitto per parlare a chi segue “Old McDonald had a
farm” e altre mie FF:
non ho abbandonato niente, ma sono rimasta senza PC per tre settimane
ed avevo
tutti i capitolo iniziati lì sopra.
Tra
poco dovrei aggiornare “Old McDonald”!
Nel
frattempo vi chiedo solo di fermarvi qualche minuto e farmi sapere cosa
ne
pensate di questa storia, ci tengo tanto e mi farebbe infinitamente
piacere.
Per
quanto riguarda aggiornamenti e tutto, è con piacere che vi
annuncio di aver
creato la mia pagina Facebook, e vi
terrò aggiornate su quello che mi
passa per la testa.
L’indirizzo
è : http://www.facebook.com/#!/pages/BlueCinnamon-EFP/371105222959959?fref=ts
Un
abbraccione a tutti, grazie per il vostro instancabile supporto
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