Roslin
Capelli viola
Avvertimenti:
ho usato il prompt numero uno, quello con le scarpette da ballo. Quando
l'ho visto ho subito pensato alla diversità, non so
perché ma mi è venuto subito in mente questo
riferimento. E Roslin è diversa.
Lo sa bene Alex, che la incontra sui gradini di casa. Questa è l'immagine che ho usato.
I.
C'è chi dice che non ha senso stare ad ascoltare parole
già dette, o frasi senza senso, o persone vuote prive di
sentimento.
Io dico che non ha senso stare a giudicare chi sono queste o quelle.
Sì, sono saggio. Molto.
Ma c'è una persona che diceva questo molto tempo prima di
me. Roslin. La mia quasi-sorella, come amava definirsi lei. Quando la
conobbi avevo appena finito il liceo, portavo i capelli corti come
tutti gli altri maschi della mia città e la mia tenuta
d'obbligo erano jeans e maglietta bianca.
Ero del tutto uguale al resto dell'umanità diciassettenne
che conoscessi allora. E mi andava bene così.
La conobbi il giorno in cui mia madre mi annunciò il suo
secondo matrimonio con il suo compagno. Era sulle scale di casa,
accovacciata a coccolare un gatto randagio che faceva le fusa a
più non posso e si alzò quando si accorse che mi
ero fermato a fissarla.
Dimostrava si e no dodici o tredici anni. Portava un vestito nero con
il corpetto intrecciato, un rossetto rosso vermiglio e i capelli viola.
Non sto scherzando.
Erano del colore della viola mammola, legati in due code ai lati della
testa. Sembrava appena uscita da un manga venuto male. La sua pelle era
bianca come quella di una bambola, in una mano stringeva un mazzolino
di margherite e mi guardava con due occhi neri come la pece.
Ricordo che il primo impulso fu di voltarmi e scappare. Quella
ragazzina magra mi faceva paura.
Disse solo il suo nome e poi più niente, come se per me
significasse qualcosa. Non avevo mai sentito mia madre parlare di lei,
anche solo accennare che il suo compagno avesse una figlia.
Non sapevo chi fosse, da dove venisse, che cosa volesse. Solo, si
limitò a sedersi sui gradini, il mazzolino di margherite
stretto tra le dita, gli occhi ancora fissi su di me.
"Sono viola" disse a un tratto, quando pensai che probabilmente stesse
aspettando qualcuno per una festa in maschera "lo so che fanno un certo
effetto"
Non mi aspettavo quelle parole, ma lei le disse come se stesse
elencando la lista della spesa, con la facilità di quando
qualcuno beve un bicchiere d'acqua.
"Non li stavo guardando" mentii. Roslin si alzò e mi tese le
margherite. Le presi e lei sorrise. Era un sorriso inquietante con
tutto quel rosso vermiglio a coronarle i denti bianchi.
"Sei più bello che in fotografia" commentò
tornandosene sui gradini. Lei mi conosceva, io no. Strinsi le
margherite così tanto che gli steli mi si ruppero in mano.
"Davvero?"
"Sì, davvero. Tua madre dice che somigli a tuo padre. E mio
padre sposerà tua madre, questo lo sai no? Non è
che non ti hanno detto nemmeno questo?"
Gettai le margherite. Roslin aveva avuto il potere di farmi arrabbiare.
Praticamente la oltrepassai con qualcosa di molto simile a un ringhio.
Entrai in casa lasciandola lì fuori, sui gradini.
"Non è che se mi lasci qui le cose combiano, eh?"
Fu come se mi avesse dato una coltellata. Anzi, quello forse sarebbe un
colpo meno duro. Aveva dodici anni e si comportava come se fosse una
donna matura.
E chi era quello maturo tra di noi? O, almeno, chi doveva essere? Mi
fermai a pensare a quello per lunghi minuti, in cui lei non
parlò mai, e non seppi che cosa stesse facendo. Sapevo
soltanto che lei era lì fuori ad aspettare in silenzio,
quando io, se mi avessero fatto aspettare fuori, avrei cominciato a
strillare.
Le aprii la porta.
Lei mi fissò ancora con quegli neri ed entrò, il
vestito nero che frusciava come se avesse vita propria. Si sedette sul
divano. Non parlò più finché non
arrivarono i nostri genitori. Non parlò praticamente mai
nemmeno in quel momento. E quando lei e suo padre se ne andarono non mi
salutò nemmeno.
II.
Il padre di Roslin era un buon uomo, un lavoratore, un omone grande e
grosso con una folta barba fulva. Era uno di quelli che potevi
scambiare per un boscaiolo vecchio tipo, ma lavorava per una compagnia
di assicurazioni.
Lui assicurava sempre tutto, diceva. O era quello che diceva Roslin.
Già, Roslin.
Non parlava praticamente mai, se non per uscirsene con frasi a effetto
che facevano rabbrividire tutti tranne suo padre. Non trascorrevamo
molto tempo insieme, io avevo la mia vita e lei, seppure non riuscissi
a comprendere quale potesse essere, aveva la sua.
I nostri genitori si sposarono in settembre, davanti al sindaco e a una
manciata di parenti e amici, fra cui io e Roslin.
E Roslin catturò più attenzione degli sposi.
Per quel giorno i suoi capelli viola erano stati intrecciati da mia
madre così che una grossa treccia le ornava il capo come una
corona e riccioli violetti le cadevano qua e là dandole
un'aria sofisticata. Se non fosse stato per il vestito. Roslin portava
un abito verde e arancione fatto a strati, con lo scollo a cuore e
maniche di organza, come lei si era premunita di dirmi prima della
cerimonia, e un grosso fiocco sulla schiena che le cadeva fin sotto la
gonna ampia. Sembrava una grossa caramella all'arancia.
Di nuovo, non sto scherzando.
Mi sentii in imbarazzo per lei giusto il tempo che mi servì
per notare che a lei non importava un fico secco di quelli che
pensavano gli altri. Fece le foto con il resto della famiglia,
lanciò il riso. Ma ancora non parlò quasi mai.
Avevo ormai imparato che Roslin non amava parlare e che se lo faceva
era strettamente necessario.
Per quanto faticassi ad ammetterlo Roslin mi incuriosiva. Era una di
quelle persone che più cerchi di ignorare più non
ci riesci. E io cercavo di farlo disperatamente.
Scoprii che di anni ne aveva quasi quindici, che avrebbe frequentato il
mio stesso liceo e che voleva frequentare il mio stesso college, a meno
di un'ora di auto da casa nostra.
La sua camera, di fianco alla mia nella nostra nuova casa comprata
grazie al burbero assicuratore, fu ben presto tappezzata di disegni.
Quadri, acquerelli, tempere, olii. Di tutto.
Roslin amava disegnare. Ed era maledettamente brava.
Scoprii che i suoi soggetti preferiti erano le persone. Persone di
tutti i tipi, bambini, uomini, anziani, mamme. Tutti i professori del
liceo erano diventati disegni su carta o cartoncino.
Poi un giorno, circa due mesi dopo il matrimonio, scoprii che il suo
soggetto preferito ero io.
Ero entrato nella sua stanza convinto che avesse preso lei la mia
spillatrice e avevo trovato una cartellina sulla scrivania. L'avevo
aperta perché ero maledettamente curioso e all'interno in
ordine di data, c'erano una cinquantina di disegni e il soggetto
principale ero io.
Io in piedi in giardino, io che suonavo il pianoforte, io che studiavo
chino sui libri, io che lavavo la macchina, io in mutande in bagno che
mi facevo la barba.
"Lo sai che non si spia in camera di una signora"
Roslin mi coglieva sempre di sorpresa. Era una di quelle persone di cui
non potevi mai sperare di fidarti. L'unica ragazza che conoscevo ad
irritarmi continuamente.
"Fortuna che tu non sei una signora"
"Ma potrei diventarlo"
Roslin chiuse la cartellina con un elastico quando mi si fu avvicinata.
Portava un vestito aderente, quel giorno, di un giallo canarino con una
lunga collana di lana cotta e anfibi neri in cui sparivano le calze a
righe rosa e nere. I capelli erano come lei li portava di solito. Viola
e in una lunga treccia sulla spalla destra.
"Perché quei disegni?"
Roslin non parlava quasi mai dei soggetti dei suoi disegni. Con me
qualche progresso lo avevamo fatto.
"Perché mi piace disegnare"
Mi mandava in bestia. Sempre.
"No, perché i miei"
E lei mi fissava con quei suoi occhi neri come la notte, di quel colore
cupo tra cui non puoi distinguire l'iride dalla pupilla.
"Perché ti posso avere quando non ci sei"
III.
Ero arrivato alla conclusione che non avrei mai potuto capire Roslin,
per quanti tentativi facessi.
Un giorno di fine di giugno, quasi un anno di convivenza, poche parole
spicce, il mio primo anno di college praticamente passato e qualche
dimostrazione d'affetto dopo, tornò a casa con un grosso
tatuaggio sulla nuca che fece andare in bestia suo padre.
Strilli, urla, uno schiaffo in pieno viso la mandò lunga
distesa sul pavimento mentre io accorrevo in suo aiuto.
Non mi respinse. Non mi mandò via quando chiusi la porta
della sua camera con noi dentro.
Suo padre le aveva spaccato il labbro con quello schiaffo.
La rabbia per quell'uomo che sembrava tanto buono, anche se un po'
burbero, mi lacerò dentro, lasciandomi un senso di
frustrazione, perché non potevo fare nulla. Roslin era sua
figlia e non era nemmeno mia sorella, nemmeno legalmente
perché io portavo il cognome di mio padre e lei quello del
suo.
Non ci legava nulla.
E capii solo in quel momento quanto le volessi bene. Quanto tenessi
alla bambola punk, o alla caramella arancione, o alla famme fatale in
rosso porpora.
Mi sedetti con lei sul suo letto. Non versò una lacrima, non
disse nulla. Appoggiò il capo sulla mia spalla e mi strinse
la mano sulla coscia. Sembrava quasi che dovesse consolare me e non se
stessa.
Le sue mani erano coperte dai guanti di cotone ornati di trine e pizzi,
come il suo vestito di un rosa pallido, tutto pizzi e merletti, di
cotone ritorto, la stessa stoffa di cui sono fatti i jeans. Portava un
grosso nastro rosa evidenziatore tra i capelli intrecciati in una
crocchia che le pendeva un po' sulla spalla. Le sue labbra erano di
quel colore rosso vermiglio che tanto mi aveva impaurito il primo
giorno in cui l'avevo conosciuta.
Roslin aveva compiuto sedici anni in maggio, e io le avevo regalato un
cavalletto per i suoi quadri.
Era andata letteralmente fuori di testa. Per settimane mi aveva portato
la colazione a letto, riordinato la stanza e avevo dovuto prometterle
che non le avrei mai più fatto un regalo così
costoso per convincerla a piantarla.
Lì sul letto vidi per la prima volta il tatuaggio che Roslin
aveva scelto. Una grossa farfalla viola, come se qualcuno avesse potuto
dubitare sul colore, ad ali spiegate. Lei mi aveva spiegato che suo
padre aveva avuto quella stessa reazione quando aveva tinto i capelli.
"Che cosa vuol dire?"
Roslin mi guardò con quegli occhi neri tanto profondi da far
male. "La libertà, Alex"
Mi porse un tubetto di crema e mi disse di metterlo sul tatuaggio.
Mentre le spalmavo la crema pensavo che sarebbe piaciuto anche a me un
bel tatuaggio. Dove non avrei saputo dirlo ancora.
"La libertà di essere ciò che si è"
continuò "la libertà di volare con le proprie
ali, di fare quello che si vuole senza essere giudicati. Questo
significa"
Le resi il tubetto. Non aveva mai parlato tanto prima d'ora, mai detto
una frase così lunga tutta insieme.
"Nessuno ha il potere di giudicarti"
Roslin rise delle mie parole. Rise e mi guardò di nuovo,
prendendomi una mano.
"Lo fanno tutti. Tutti giudicano. Nessuno si prende il tempo di capire"
"Io potrei farlo se tu mi lasciassi tentare!"
Roslin arcuò le labbra rosse, si avvicinò e mi
schioccò un bacio sulla guancia lasciandomi il segno del suo
rossetto.
"Non ho bisogno di lasciartelo fare. Tu hai già capito tutto
quello che c'è da capire Alex"
Me ne andai da quella camera solo qualche ora dopo, non prima che
Roslin finisse un mio ritratto seduto alla finestra. Non prima che mi
mostrasse un disegno che non avrei mai dimenticato per tutta la vita:
raffigurava le gambe di tre ballerine, una delle quali, invece delle
solite scarpette da ballo, indossava un paio di converse nere.
Quel disegno è stato incorniciato e appeso a un muro.
Ho un sacco di fotografie con Roslin. Ho un sacco di disegni. Ho un
sacco di ricordi e altri se ne aggiungeranno.
Lei è la mia quasi-sorella, la mia quasi-moglie, la mia
quasi-amica. Lei è tutto e parte di tutto, tutto quello che
mi fa andare avanti, tutto quello che sogno la notte quando mi
addormento, la prima cosa che vedo quando mi sveglio.
Lei non ha mai abbandonato quei suoi capelli viola, e io non gliel'ho
mai chiesto.
Roslin è sempre stata diversa dal mondo, e molti mi hanno
chiesto come ho fatto a sposarla. Una che al matrimonio si è
sposata con un corto abito di pizzo rosso porpora e verde acceso con le
maniche a sbuffo, e quei capelli viola finalmente sciolti, ondeggianti
sulla sua schiena completamente nuda.
Aveva ventuno anni e io ventitré.
Molti ancora si chiedono come ho fatto a mettere lo smoking azzurro
cielo che Roslin mi aveva comprato.
Rimane il mio vestito preferito.
E naturalmente sotto quel vestito rosso la mia Roslin portava un paio
di converse. Rigorosamente nere.
FINE
Poche righe per l'autrice
Di solito non scrivo originali ma fanfictions. Questa è venuta fuori dopo una lunga giornata passata in università e un paio d'ore di autobus fra una città e l'altra, quindi siate clementi^^. Questo è il disegno della farfalla. Mentre questo è il link alla pagina dell'iniziativa.
Spero che abbiate amato Roslin quanto la amo io, anche se fa una così breve apparizione! |