Frammenti Di Me
Salve!
Dico due cose prima di iniziare: questa è la stessa
fiction che scrissi due anni fa con l'account di _Ceres_, però è riscritta da
capo. Capite bene che ho cambiato modo di scrivere e anche alcuni piccoli
particolari della storia, ma alla fine si tratta sempre di FdM.
Attenzione!
La storia è una long-fiction che parte da un punto
imprecisato della serie, e sono presenti molti personaggi inventati; inoltre una delle coppie è Ryo/Retasu. Lo dico
perché so che non piace a molti e vorrei evitare commenti del tipo: "Cm
t fa a piacere ql lattuga di lory?????? A me fa skifo!!!!!! 6 idiota
scrittrice!" ... ecco, non ne voglio vedere. Se non vi piace, o sopportate
in silenzio per amore della storia (?) o chiudete la pagina. Grazie ^^
Ovviamente
questo si tratta di un prologo, non tutti i capitoli saranno così corti.
Recensite, eh!
Declaimers:
Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne
possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.
Frammenti
Di Me
1. Aspettando un angelo
Tutto
era avvolto in un buio denso. Il silenzio della notte era rotto solo dal dolce
e, in un qualche modo, inquietante suono delle bollicine che esplodevano con un
piccolo pop sulla superficie della teca. Fuori si udiva il debole ticchettio
delle gocce di pioggia che si andavano ad infrangere sui vetri sporchi di quell’enorme
fortezza fatta di tenebre e nebbia.
Un
improvviso scricchiolio invase la stanza. Aprì piano gli
occhi, quasi con fatica, specchiandosi nel riflesso sbiadito delle iridi color
caramello nel vetro solcato da alcune incrinature. Le labbra si
schiusero, ma al posto dell'aria trovarono solo un liquido gelido. Lo capì
troppo tardi. Quell’acqua scivolò lenta e serpentina nella gola, fino ad
arrivare ai polmoni.
La
paura si impadronì di lei. Per la sensazione di non respirare, per quella di
essere in trappola, per quella non poter più vivere…
Fu un
attimo.
Crash!
In quel
momento, a più di quattrocento chilometri di distanza, un ragazzo si svegliò
di soprassalto. La sua stanza, al secondo piano di quello strano edificio color
confetto, era ugualmente avvolta nelle tenebre, ma nonostante questo l'atmosfera
era decisamente diversa da quella della fortezza.
Comunque
il ragazzo non si curava dell'oscurità. Sì tirò su spingendo via
il piumone del futon* con la mano destra, mentre l'altra si infilava
tra la frangia spettinata. I suoi occhi azzurri fissavano spalancati un punto indefinito della stanza, inquieti. Indossava una
leggera t-shirt di cotone bianco, piuttosto stropicciata, sotto la quale
risuonava il battito impazzito di un cuore.
Non
doveva avere più di diciassette, diciotto anni; si chiamava Ryo Shirogane, era
il proprietario del caffè Mew Mew ed doveva aver appena avuto un incubo.
Aspettò
che il respiro tornasse regolare, poi strizzò gli occhi, infastidito, e
soffocò un'imprecazione tra i denti. Ancora quegli incubi, quegli
stramaledettissimi incubi notturni così frequenti quando era solo un bambino,
che tornavano ogni tanto ad infestargli il sonno. Si passò le mani
sulle tempie e scoprì di essere parecchio sudato. Chissà quanto si era
agitato prima di riuscire a sfuggire ai mostri della notte. Fece
una smorfia di commiserazione. Tsé... odiava quelle sue debolezze, che
dimostravano quanto il suo passato fosse impresso nel profondo della sua anima.
Ma tanto presto sarebbero spariti per sempre. La realizzazione del Progetto era
vicina.
Voltò
piano la testa verso il comodino. L'orologio digitale segnava le quattro e mezza
del mattino. Era decisamente presto per aprire il caffè, e l'idea di mettersi a
computer e continuare con le ricerche gli faceva venire il
voltastomaco. D'altra parte, se si conosceva bene, sapeva che non sarebbe più riuscito a chiudere occhio per tutta la
notte. Sospirò, sfilando le gambe dal letto per appoggiare i piedi al tatami**.
Improvvisamente
aveva voglia di correre.
Fuori
era buio pesto. La luce dei lampioni non era sufficiente ad illuminare le strade
avvolte dalla nebbia di metà Novembre, così aveva scelto una strada
piuttosto isolata dove non passavano macchine.
La
felpa della tuta blu notte non bastava a proteggerlo dal freddo mattutino,
eppure Ryo continuava a correre, il ritmo piuttosto sostenuto e lo sguardo fisso davanti a sé.
Se
qualcuno lo avesse visto di certo avrebbe pensato male di lui. In
fondo non era affatto normale correre in piena notte, di mercoledì mattina, con
l'inverno alle porte. Eppure lui non lo trovava affatto strano. In quel periodo
si ritrovava ad avere quella voglia impulsiva di correre praticamente tutte le
notti, da quando gli incubi erano tornati a tormentarlo.
Keiichiiro
non ne sapeva nulla. A dirla tutta non ne era a conoscenza nessuno, ed a lui
andava più che bene così, perché sapeva che sarebbero arrivate le domande
strane, gli sguardi preoccupati, le frasi ridicole del "Se hai voglia di
parlarne, io sono qui" o quelle ipocrite come "Ti capisco
perfettamente, anche io ho delle preoccupazioni che non mi fanno dormire".
La verità era che nessuno poteva capirlo. Nessuno poteva sapere come ci si
sentiva a veder morire coi propri occhi la propria famiglia, la propria casa, il
proprio mondo, e sognarlo ogni dannatissima notte. Nessuno poteva sapere cosa
significava sentirsi
soli.
Svoltò
l'angolo, trovandosi di fronte all'entrata di un parco giochi. Poco lontano da
lui stava una fontanella, da cui zampillava un sottile getto d'acqua. Rallentò
il passo, avvicinandosi, e ne approfittò per rinfrescarsi e riposarsi qualche
minuto.
A volte
si sentiva un po' come Satsuki*** di "Moonlight Shadow".
Forse
era stupido pensarlo, perché in fondo quello era solo di un romanzo, ma non
poteva fare a meno di fare questo confronto. E si
chiedeva se anche per lui, un giorno, sarebbe qualcuno a mostrargli il
“fenomeno Tanabata” e dargli quella pace che sognava da anni.
Ma
no...
sbuffò infastidito, e gettò indietro la testa per far scorrere l'acqua gelida
lungo il volto accaldato. Meglio abbandonare certi sentimentalismi, non era
davvero il caso di lasciarsi andare in pensieri così idioti. Era solo un
romanzo, quello. Solo fantasia. La sua, purtroppo, era una vita reale, il che
implicava che i miracoli non accadevano così facilmente. Nemmeno ci credeva, ai
miracoli.
Stava
per riprendere a correre quando uno schiocco improvviso ruppe il silenzio
circostante. I muscoli di Ryo si irrigidirono, il suo sguardo si fece
guardingo ed attento. I sensi erano all'erta, alla ricerca della fonte di
quell'impercettibile suono.
Pochi
attimi dopo ne giunse un altro. Crack. Questa volta fu facile
individuarlo: uno dei cespugli che facevano da confine ad un'aiuola spoglia si
era mosso quel tanto abbastanza da saltare all'occhio. Evidentemente qualcuno,
nascosto dietro di esso, s'era impigliato in un rametto e l'aveva spezzato.
Il
ragazzo sbuffò, rilassandosi appena. Per un attimo aveva creduto che ci fosse
un malvivente o, ancora peggio, gli alieni. Ma evidentemente quel qualcuno
doveva essere un gatto, un cane, o al massimo una coppietta che si doveva
nascondere agli occhi dei genitori per scambiarsi effusioni. Scosse la testa,
poi si sistemò meglio la felpa, per riprendere a correre. In fondo, qualunque
cosa fosse, non era affare suo.
Aveva
già percorso alcuni metri, quando una voce lo obbligò a fermarsi.
- Aiuto... -
Era una
voce flebile, debole, soffocata, ma Ryo la udì perfettamente. Fissò quel
cespuglio con sguardo estremamente serio, chiedendosi se fosse uno scherzo o
dietro di esso ci fosse davvero qualcuno in difficoltà. Ma esitò solo per
poco, poiché tornò indietro subito, percorrendo con passi veloci la distanza
che lo separava dall'aiuola. No, non era uno scherzo. Chi poteva essere
quell'imbecille che faceva scherzi alle cinque del mattino?
Ed
infatti, ciò che vi trovò dietro fu una ragazzina riversa a terra. I capelli
biondicci ed il leggero vestito bianco si erano appiccicati alla pelle
graffiata, completamente bagnati di acqua e di sangue. La gamba destra era
piegata in una posa strana, innaturale, probabilmente fratturata. I suoi occhi
color caramello incontrarono per qualche secondo quelli azzurri di
Ryo, ed un leggerissimo sorriso si formò sulle sue labbra mortalmente pallide,
che provocarono un brivido freddo lungo la schiena del ragazzo.
- Finalmente... qualcuno... mi ha sentito. -
Poi
chiuse gli occhi e lasciò dondolare la testa da un lato, perdendo coscienza.
*
*
futon: il letto dei giapponesi, composto da una specie di materasso, un cuscino
rotondo ed un piumone. Cosa non si sono inventati per risparmiare spazio...
**
tatami: il pavimento dei giapponesi, che da noi si usa anche nelle palestre dove
si insegnano le arti marziali. E' composto da una specie di "tappeti"
fatti di piccole canne di bambu (almeno credo... non ne ho mai visto uno ^^''')
***
"Moonlight Shadow" è il romanzo di Banana Yoshimoto, in cui la
protagonista -Satsuki, per l'appunto- si ritrova a correre tutte le notti,
perché turbata dai sogni in cui rivive gli attimi vissuti con il suo fidanzato,
morto in un incidente. Ryo sembrava fatto apposta per questa parte *.*
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