CBA
«Jar mi serve un
consiglio, più da uomo che da amico. Questo o questo?». Improvvisamente non
vidi più lo schermo della tv davanti a me, ma solo Harper e i due pezzi di
stoffa che teneva tra le mani. Pezzi di stoffa uguali.
«Harp, sto
giocando a PES, levati da davanti» sbottai, premendo il pulsante per mettere in
pausa il gioco. Possibile che dovesse disturbarmi nel bel mezzo del gioco solo
perché non sapeva quale di quei due cosi
era meglio indossare? «E poi sono uguali, quindi perché mi chiedi quale è meglio?».
Presi la birra di fianco a me, bevendone un lungo sorso mentre la vidi
sospirare prima di appoggiare uno dei due vestiti sul divano, di fianco a me.
No, non di nuovo.
«Primo, PES non è
importante come me, sono la tua migliore amica e ho bisogno di un consiglio
visto che stasera festeggio due mesi con il mio ragazzo e sai come la penso sui
due mesi. Secondo, questi due vestiti non sono uguali, uno è grigio perla e con
taglio a impero, l’altro è grigio fumo di Londra e con lo scollo a cuore. Dai,
aiutami per favore!» mugolò, facendo gli occhi da cucciolo e sporgendo il
labbro inferiore per farmi cedere. «Dai Jar, lo sai che ti voglio bene e che
vorrei che tu fossi gay in questi casi, ti prego, ti prego, ti prego. Quale dei
due? È importante per me e Noah questa sera». Riprese i vestiti in mano,
sollevandone prima uno e poi l’altro perché potessi guardarli attentamente e
farmi un’idea. Tanto lo sapeva che entrambi avrebbero fatto la stessa fine, sul
pavimento della camera di Noah l’idiota, visto che erano passati due mesi dal
loro primo appuntamento.
Ed era
esattamente questo che Harper aspettava, perché lei, al contrario di tutte le
altre, attendeva due mesi prima di darla al ragazzo con cui usciva, visto che
secondo lei la regola dei tre appuntamenti era «di pessimo gusto e volgare,
perché in tre appuntamenti non conosci una persona”. Sapevo che molti l’avevano
lasciata perché dopo un mese si erano stancati di aspettare, ma sembrava che
Noah l’idiota fosse riuscito a resistere e quella sera potesse essere premiato.
«Quello».
Indicai, sbadigliando, il vestito di colore più chiaro, guadagnandomi una sua
occhiataccia. «Che c’è?» domandai esasperato, allargando le braccia e
appoggiando il capo allo schienale del divano, aspettando che mi spiegasse
perché la mia scelta non concordava con la sua idea. Perché diamine chiedeva il
mio consiglio se poi doveva iniziare a dire che non capivo niente di moda, solo
perché la mia idea contrastava la sua? Donne.
«Se metto questo
però non posso mettermi il reggiseno in coordinato con gli slip, anzi, dovrei
rimanere senza e se non ce l’ho sembra che abbia già organizzato tutto. Non che
non l’abbia fatto, ma se si capisce diventa una cosa non romantica e sembra che
sia tutto organizzato, capisci? Forse è meglio questo, così posso mettere un
completo carino sotto e non sembra che io ci abbia pensato. Sì, farò così.
Grazie per il consiglio Jar, tu sì che sei un amico» decretò, come se mi avesse
veramente ascoltato. Raccattò i vestiti e mi diede un bacio sulla guancia prima
di correre su per la scala per andare a prepararsi.
«Harp, non finire
tutta l’acqua calda, devo farmi la doccia anche io dopo» urlai perché potesse
sentirmi, mentre chiudeva la porta del bagno con un tonfo sordo. Sentii l’eco
di una sua risata prima che lo scrociare dell’acqua assieme a una canzone dei
Metallica facesse da sfondo alla partita che avevo interrotto con l’arrivo di
Harper.
Dopo l’intero Master of puppets sentii la porta del
bagno aprirsi e mi sembrò quasi di vedere la nuvola di vapore scendere dalle scale,
visto che sapevo quanto Harp adorasse l’acqua calda. «Per fortuna ti avevo
chiesto di non finire tutta l’acqua calda» urlai di nuovo, alzandomi dal divano
svogliatamente e spegnendo X-Box e TV. Entrai in camera sua, distendendomi sul
suo letto quando si chiuse la porta della sua cabina armadio alle spalle per
potersi vestire dentro. «Dovrei lavarmi, visto che puzzo e stasera vengono i
ragazzi per giocare a poker» spiegai, massaggiandomi le tempie e
stiracchiandomi. Sentii il rumore della porta della cabina armadio che si
apriva e con un braccio mi coprii il viso, rilassandomi.
«Tanto puzzate
tutti come dei caproni, non ti sei mai accorto che quando Wilson e Joseph se ne
vanno da qui spalanco tutte le finestre per cambiare l’aria? Io devo ancora
capire se voi maschi sapete che hanno inventato la doccia» si lamentò,
cominciando a camminare su e giù per la stanza, con i tacchi. Sentivo il
ticchettio delle scarpe sul legno e mi infastidii, soprattutto per la sua
frecciatina.
«Primo io non
puzzo, almeno, puzzo solo dopo aver fatto sport. Sono un uomo è normale puzzare
d’accordo? E secondo… nemmeno i miei amici puzzano. D’accordo, un po’» ammisi,
ripensando ai post partita di calcetto con i ragazzi. E comunque non avevamo
mai invaso gli spazi di Harper; non eravamo nemmeno mai entrati in camera sua.
Oddio, quasi mai, tranne quella volta che, da ubriachi, avevamo curiosato
dentro al cassetto della sua biancheria per capire se facessero dei reggiseni
anche per le sue nontette. In verità era stata un’idea di Wilson, solo perché
non credeva che reggiseni per tette così piccole fossero venduti. Io non avevo
guardato; solo una sbirciatina, piccola piccola. Giusto il tempo di notare quei
due perizomi di pizzo e forse un bustino niente male. Ma ero ubriaco, quindi
non faceva testo.
«Appunto, puzzi
anche tu, quindi alzati dal mio letto e vai a farti la doccia. Conoscendo gli
altri due scemi arriveranno con una cena messicana o cinese tra mezz’ora, visto
che la vostra serata poker inizia dalla cena». Con gesti meccanici iniziò a
truccarsi, sedendosi sullo sgabello davanti allo specchio in camera sua. Con uno
di quegli aggeggi tra le dita, si fermò con la mano a mezz’aria, intimandomi
con i suoi grandi occhi verdi di andarmene dalla sua stanza per farmi quella
dannata doccia prima che arrivassero Wilson e Joseph.
«D’accordo,
d’accordo, esco e ti lascio da sola con tutte quelle cose da metterti sul viso.
Ma sappi che sono sicuro che Noah apprezzerà di più poco trucco. Anche perché
dubito che domani mattina voglia vederti in versione panda quando vi
sveglierete dopo una notte di fuoco. Io ti ho vista una mattina, quando non ti
sei struccata, non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico!» scherzai –non poi
così tanto –chiudendomi la porta alle spalle prima che potesse lanciarmi addosso
uno di quegli arnesi che usava per spalmarsi colori sul viso. Entrai in bagno
sbuffando per la mancanza d’aria dovuta a tutta la nuvola di vapore che Harp
aveva creato e iniziai a spogliarmi, aprendo il rubinetto dell’acqua e
immergendomi sotto al getto, distendendo i muscoli delle spalle. L’acqua
tiepida che scivolava lungo il mio collo e la mia schiena, i Metallica che
cantavano in sottofondo e il vetro del box doccia completamente annebbiato dal
vapore. Presi la boccetta di shampoo iniziando poi a insaponarmi i capelli
quando l’acqua da tiepida diventò improvvisamente gelata. «Harper! L’acqua cazzo! Non c’è più acqua
calda». Chiusi il rubinetto di colpo, togliendomi lo shampoo che era entrato
nei miei occhi, facendoli bruciare e sentii la sua risata che superò perfino
l’assolo di chitarra.
«Scusa Jar, ma è
più importante che sia io quella pulita e profumata, visto che sono io quella che
ha l’appuntamento» urlò senza smettere di sghignazzare, mentre aprivo l’acqua
di nuovo per sciacquarmi. Iniziai a saltellare, lavandomi il più in fretta
possibile per poi arrotolarmi l’asciugamano attorno alla vita e camminare a
passo spedito verso la sua camera. Avevo i brividi e i capelli gocciolanti, ma
ero già pronto con il piede di guerra per dirle che no, non andava bene così. «Jar!
Va a vestirti! Stai gocciolando ovunque!» strillò, puntandomi contro qualcosa
di appuntito e nero. Sembrava una matita, ma non ne ero sicuro, non sapevo bene
che cosa usasse per truccarsi.
«Prova a finire
l’acqua di nuovo e lo scherzo del dentifricio sotto al naso sarà il meno
stronzo che potrai aspettarti» sibilai, tornando in bagno per asciugarmi e
prepararmi. Dovevo cercare in Google qualche scherzo idiota da poter fare ad
Harp se avesse di nuovo consumato tutta l’acqua calda; o magari potevo
semplicemente chiedere a Wilson e Joe, visto che potevano tranquillamente fare
concorrenza a Bart Simpson, quando si trattava di scherzi da idioti.
Uscii dal bagno
scendendo le scale di corsa quando suonarono al campanello: ero quasi certo che
fossero Joe e Wilson e non Noah l’idiota, visto che era puntuale come un
orologio svizzero e mai in anticipo. Quando i ragazzi entrarono, salutandomi
con un «Ciao idiota» che fece sbuffare Harp dietro di noi, risposi al saluto,
dirigendomi subito dopo verso il divano, certo che nessuno di loro volesse
consumare la cena del ristorante cinese seduto a tavola.
«Primitivi, ecco
cosa siete. Chi cavolo mangia seduto sul divano? Se sporcate qualcosa Jar, vedi
di pulire. Non voglio tornare a casa domani e trovare pezzi di involtini
primavera spalmati sul divano o sul tappeto, visto che ne sareste capaci». Indossò le scarpe con il tacco
che aveva tolto per truccarsi e si appoggiò al divano, per evitare di cadere.
Wilson e Joe si scambiarono una strana occhiata prima di tornare a guardare
Harper e successivamente me.
«Dove deve
andare?» domandarono in coro,
sedendosi sul divano con un sonoro sbuffo. Vidi Harper alzare gli occhi al
soffitto mentre si sistemava i capelli, dopo aver indossato il cappotto. Le
ciocche rosse che ricadevano sulla schiena mentre si sistemava una sbavatura
del rossetto, controllando il risultato davanti allo specchio dell’entrata.
«A trombare. Sono
due mesi che è con quell’altro, quindi scatta la chiusura automatica del veto e
l’apertura delle gambe»
bofonchiai, trangugiando un involtino primavera e perdendo pezzi ovunque sulla
mia maglia; istintivamente guardai Harper che arricciò il naso in un gesto di
disgusto. Mi schiarii la voce, raccogliendo le briciole e ammucchiandole tutte
alla stessa altezza della maglia, continuando poi a mangiare.
«Buona trombata
allora. Poi facci sapere che voto gli dai. Secondo me non supera il sette. Joe,
Jar, l’avete visto? Andiamo, sembra una fighetta; ancora mi meraviglio che non
sia gay, porta il borsellino, vi rendete conto? In quale universo parallelo uno
a cui piace la fi… cioè, uno a cui piacciono le donne indossa un borsellino?» domandò Wilson, allargando le
braccia in attesa di una risposta. Io e Joe rimanemmo in silenzio, concentrati
al massimo per non ridere mentre Harper si avvicinava a lui, colpendolo con un
sonoro schiaffo alla nuca.
«E poi mi chiedo
perché non avete la ragazza; ma chi vorrebbe rimanere con voi, poi? Primitivi,
volgari e anche stupidi».
Scosse la testa fingendosi dispiaciuta, quando sapevo che Harper era la prima a
ridere per le battute che facevamo durante le nostre serate a poker. Harper era
l’unica donna ammessa; l’unica che poteva assistere ai nostri sproloqui da
uomini, quando ci lasciavamo un po’ andare con le parole dopo un paio di birre.
Non era solo perché viveva con me e quindi spesso era anche lei a casa, era
perché –quando non si fingeva troppo signora –diventava un’ottima osservatrice
e sapeva anche dispensare consigli alcune volte utili. Che poi noi non li
seguissimo mai perché convinti che ci prendesse in giro era un discorso a
parte.
«Offendi,
offendi. Vediamo stasera quando ti dirà che è gay come tornerai tra le mie
braccia per farti consolare».
Wilson ammiccò verso di lei, che non riuscì a trattenersi, iniziando a ridere.
Faceva sempre lo scemo, fingendo di provarci con lei. In realtà sapevamo che
Wilson non era interessato ad Harper, visto che era semplicemente il suo modo
di fare. Wilson si comportava così con tutto il genere femminile.
«Oddio, è qui. A
domani Jar. Ciao ragazzi»
saltellò fino a me per tirarmi un pugno sulla spalla prima di prendere la borsa
che aveva appoggiato sul divano e uscire, chiudendosi la porta dietro di lei.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, continuando a mangiare. L’unico
rumore era il masticare a bocca aperta di Joe, tanto che Wilson gli tirò una
pedata, intimandogli di smetterla.
«Mah»
sbottai sovrappensiero, grattandomi la barba che mi pungeva. L’idea che Harper
trascorresse la notte con Noah l’idiota non mi piaceva per niente, più che
altro perché non mi fidavo di lui dalla prima volta che l’avevo visto. Noah
sembrava il tipico belloccio che voleva solamente portarsi a letto la ragazza
di turno per poi scaricarla alla prima occasione utile. Bisognava però
ammettere che se era riuscito a resistere con Harper per due mesi senza
forzarla a trombare con lui, un po’ ci teneva davvero a lei. Annegai quei
pensieri idioti con un paio di sorsi di birra che i ragazzi avevano comprato al
take away cinese e tornai a discutere con loro della nuova ragazza che Joe
aveva conosciuto un paio di settimane prima.
«Poker d’assi,
stronzi» ghignai, appoggiando
le mie carte sul tavolo della cucina e aspirando una nuova boccata di fumo, dal
sapore di vittoria. Vidi gli sguardi increduli dei miei amici prima che
iniziassero a imprecare, contro la mia sfacciata fortuna durante le nostre
partite di poker. Stavo quasi per ribattere che non era fortuna ma bravura,
quando il rumore della porta d’entrata che sbatteva ci fece ammutolire tutti e
tre. «Harper?» domandai
stupidamente, sapendo che solamente io e lei avevamo le chiavi di casa e nessun
altro sarebbe entrato sbattendo così forte la porta.
«Chi cazzo vuoi
che sia, mago Merlino?»
sibilò, entrando in cucina dopo aver lanciato le scarpe con il tacco verso le
scale. Spensi subito la sigaretta dentro al posacenere, sapendo che Harper si
lamentava sempre perché non voleva che fumassimo dentro casa. Sembrò però non
farci caso, visto che aprì il frigo, prendendo una bottiglia di birra e
togliendo il tappo con rabbia.
Oh- ho.
«Che è successo?» chiesi guardingo, appoggiando le
carte sul tavolo e drizzando la schiena sulla sedia. Doveva per forza essere
successo qualcosa perché Harper beveva birra a canna dalla bottiglia solamente
quando qualcosa non andava. «Cazzo»
sbottai, quando prese una sigaretta dal pacchetto sopra al tavolo,
accendendola. No, la situazione era per forza grave, lei non fumava mai. «Che
ti ha fatto? Dov’è? Che è successo?».
L’istinto protettivo che in tutti quegli anni avevo sviluppato per lei si manifestò
all’improvviso, mentre mi alzavo dalla sedia per camminare nervosamente lungo
la cucina. Che punizioni corporali erano ancora considerate legali in
California? Ero quasi sicuro che fosse possibile, per legittima difesa –che
avrebbero naturalmente confermato Joe e Wilson –utilizzare la mazza da
baseball.
«Non è successo
niente, ecco perché sono qui. Mi ha lasciata. Forse sarebbe meglio dire
scaricata, anche un po’ umiliata a dire la verità, ma l’ho istigato io». Aspirò una boccata di fumo,
bevendo un sorso di birra subito dopo. Che cosa aveva fatto quell’idiota alla mia
Harper? Perché l’aveva scaricata? Ma soprattutto, come si era permesso di ferirla?
L’avrei preso a pugni, se solo Harp mi avesse dettato l’indirizzo di casa sua.
«Non avete
trombato?» domandò Joe,
sorpreso. Si sistemò più comodo sulla sedia, appoggiando le carte da poker
sullo stomaco e alzando i piedi sopra al tavolo. Incrociò le mani dietro alla
nuca, in attesa di capire perché Harper fosse già tornata a casa, ma
soprattutto perché fosse così arrabbiata.
«Ovvio che no, o
non sarei qui adesso. Abbiamo cenato e tutto è andato bene, ho flirtato, gli ho
fatto capire le mie intenzioni forte e chiaro; siamo saliti in macchina e il
fatto che mi sia ritrovata spalmata sul sedile mi sembrava un chiaro segno che
aveva colto il mio messaggio. Poi dopo qualche bacetto gli ho detto di
fermarsi. Stavo per aggiungere che era per continuare a casa sua ma ha preso un
respiro, iniziando a parlare: ha detto che doveva dirmi una cosa dall’inizio
della serata, che in verità mi aveva invitato a cena perché voleva parlarmi del
fatto che in questi due mesi si è trovato bene con me ma che non è scoccata la
scintilla. Volevo spiegargli che mi sembrava che la scintilla fosse scoccata
dentro ai suoi pantaloni da quello che potevo vedere, ma ero ammutolita: un
secondo prima stavo limonando con lui e quello dopo mi scaricava. Gli ho
chiesto perché e la sua scusa è semplicemente stata: non sei quella giusta, sei
bella ma non mi attiri mentalmente. Gli ho tirato un ceffone e gli ho detto che
non avrei mai trombato con lui, visto che aveva quei schifosi peli sul petto
che uscivano dalla camicia aperta e lui mi ha detto che non sarebbe mai venuto,
visto che non avevo tette. Sono scesa dalla macchina con molto stile, urlando un
‘fanculo che probabilmente hanno sentito nel giro di due isolati. E il cretino
che ha fatto? È ripartito sgommando lasciandomi a piedi davanti al ristorante». Concluse il suo racconto bevendo
un paio di sorsi di birra e tutti e tre rimanemmo in silenzio, guardandola. «Smettetela
di guardarmi così, so che state pensando che vi faccio pena» continuò poi, gesticolando con la
mano destra e spargendo un po’ di cenere che cadeva dalla sigaretta sopra al
suo vestito grigio.
«Che stronzo, non
aveva il diritto di dirti quelle cose. Giusto per rassicurarti, io ti avrei
trombato lo stesso, poche tette o meno»
spiegò Wilson, allungando il braccio verso Harper per darle una pacca di
consolazione sulla spalla. Sentii un moto improvviso di rabbia verso Noah che
aveva insultato Harper così solo perché non aveva pazientato un paio di secondi
per ascoltarla e mi alzai di scatto, pronto per andare a prendere il cappotto e
correre a casa dell’idiota per rivendicare Haper, ma il discorso che lei iniziò
mi fece deviare la traiettoria e per non far capire il mio vero intento andai
verso il frigo, aprendolo e bevendo un po’ di succo d’arancia direttamente dal
cartone.
«Sapete che cosa
mi dà fastidio? Il fatto che stamattina sono andata dall’estetista e ho tolto
anche il più piccolo pelo! Voi non avete idea di quanto faccia male quella
cavolo di ceretta totale laggiù»
sbuffò, facendomi inorridire. No, queste cose non le volevo sentire, non da
Harper. Harper non aveva appena parlato di ceretta, perché non era così.
«Basta così» decretai, riponendo il
contenitore nel frigo e voltandomi verso i miei amici che mi guardarono
allibiti, come se avessi appena detto qualcosa di sconveniente o fuori luogo. Dovevano
smetterla con tutti quei discorsi stupidi su Harper, le sue cerette, il trombare
Noah o altro. Dovevano proprio andarsene, visto che ero sicuro Harp volesse
rimanere da sola, come sarebbe stato normale.
«Non mi sono
offesa Jar, tranquillo. So che scherzano e comunque ripeto, quando mi ha detto
che non ho tette ci sono rimasta molto più male delle battute idiote dei tuoi
amici» mormorò, abbassando lo
sguardo e spegnendo con rabbia la sigaretta nel posacenere in mezzo al tavolo.
I ragazzi mi guardarono, preoccupati. Con uno sguardo capirono che era il
momento di andarsene, visto che Harper iniziava a sbuffare sempre più
frequentemente, sbattendo il piede per terra; e tutti, tutti, sapevano che
quando Harper cominciava a tamburellare con la gamba, significava che era
arrivata al punto di saturazione ed era pronta a esplodere.
In pochi istanti
Joe e Wilson se ne andarono, iniziando a dire che avevano delle faccende da
sbrigare; salutarono Harper che come un automa rispose, rimanendo con lo
sguardo fisso davanti a lei, sempre con il piede che picchiettava per terra.
Una volta rimasti
soli, dopo aver chiuso la porta di casa alle mie spalle, mi feci coraggio,
pronto per affrontarla. «Harp, come stai?» domandai, avvicinandomi a lei e appoggiando le mie mani sulle
sue spalle. La sentii sospirare e senza nemmeno rendermene conto iniziai a
massaggiarle i muscoli contratti delle spalle, sorridendo quando mugolò per il
mio massaggio.
«Bene, sto bene.
Non mi interessava poi molto di lui»
mentì, schioccando le dita delle mani. Conoscevo ogni minimo tic di Harper,
potevo sapere con esattezza quando mentiva, quando si sentiva in imbarazzo e
quando era felice. Feci un po’ più forza con le mani sulle sue spalle per farle
capire che sapevo stava mentendo e lei sussultò sulla sedia, consapevole di
essere stata scoperta. «Che vuoi che ti dica Jar? Mi dispiace ma tanto sapevo
che sarebbe finita così. Lo sai, no? Cupido e le sue frecce che si rompono per
la mia corazza invisibile. Non troverò mai il ragazzo giusto per me. Forse ho
qualche serio problema e non me ne sono mai accorta» bofonchiò, facendomi arrabbiare perché aveva –di
nuovo –parlato di quella strana teoria delle frecce di Cupido. Possibile che
non capisse che era solo perché nessuno sapeva apprezzarla veramente, proprio
perché lei era troppo rispetto agli altri?
«Harp, giuro che
se fai così mi arrabbio. Non c’è niente che non vada in te, quindi smettila. Se
i ragazzi sono così stupidi da inventarsi scuse solo perché tu non gliel’hai
mollata entro due mesi non devi pensare di essere tu quella sbagliata. Il
ragazzo per te sarà speciale e lo capirà che tu sei quella giusta. E se
qualcuno prova a offenderti di nuovo, parlando delle tue nontette… chiamami
subito, non si offendono!»
scherzai, strappandole un sorriso.
«Guardi un film
con me? Non ho voglia di dormire»
propose, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi. Il vestito salì di qualche
centimetro lungo la sua coscia, abbassandosi poi quando Harper tornò con le
braccia lungo i fianchi. Occhi spalancati, labbro inferiore sporto verso il
fuori… era nella posizione di supplica, perché sapeva che non riuscivo a
negarle niente quando faceva così. Annuii e lei batté le mani, felice. «Vado a
mettermi qualcosa di comodo e arrivo. Scegli un horror, non voglio commedie
romantiche» urlò, salendo le
scale di corsa.
Horror, certo.
Perché Harper e la sua strana passione per gli horror, o meglio, per i film
splatter, erano normale routine. Mi distesi sul divano, inserendo il DVD di Saw e aspettando che scendesse. Quando,
cinque minuti dopo si distese sull’altro divano, ridacchiai, vedendo la vecchia
maglia che stava indossando. Gliel’avevo regalata io dopo che aveva preso A+ al
primo esame del college, una maglia dei Metallica che aveva indossato e lavato
così tante volte da averla scolorita.
A metà film, quando
non sentii un suo commento sul perché ci fosse tutto quel sangue per un misero
taglietto, provai a chiamarla, ma non mi rispose. Naturale, si era
addormentata. Mi alzai senza fare rumore, spegnendo la TV e avvicinandomi al
suo divano. Le labbra socchiuse, la mano stretta alla maglia e i capelli
attorno al viso che le incorniciavano quel volto e quel naso ricoperto da
qualche lentiggine sparsa qua e là. «Andiamo, Harp» sussurrai, prendendola in braccio con attenzione,
perché non si svegliasse. Mugolò qualcosa, appoggiando il capo contro il mio
petto e inspirando a fondo contro il mio collo, tanto da farmi venire la pelle
d’oca. Salii le scale in silenzio, appoggiandola delicatamente sul suo letto e
coprendola con le lenzuola senza che si svegliasse; le scostai un ciuffo di
capelli rossi dal viso e pensai che no, nessuno aveva il diritto di trattare
male Harper, perché era una persona speciale. «Notte, Pri». Un bacio sul suo capo e una
carezza, prima di socchiudere la porta della sua camera e andare a dormire.
Salve!
Mi
complimento per il coraggio con chi è ritornato a leggere qualcosa di mio e per
chi è la prima volta che si imbatte… fuggite, sciocchi!
Scherzi
a parte… eccomi con una storia assolutamente senza pretese, qualcosa di trito e
ritrito di cui hanno parlato milioni di libri, film e telefilm. Insomma, avevo bisogno
di capire se riesco a strappare un sorriso dopo You saved me.
Volevo ritornare alle origini e scrivere qualcosa di divertente (se in vita mia
sono mai riuscita a farlo). Prometto solennemente che mi impegnerò al massimo
per non farvi piangere ma ridere e… niente.
Dunque,
l’idea di questa storia mi tormenta da un bel po’ di mesi, ma ho iniziato a
scriverla solo finito YSM perché mi piace scrivere una cosa alla volta per
potermi concentrare al massimo. In ogni caso… solo un paio di informazioni.
Siamo in California, vicino a Los Angeles e come si sarà capito Harper e Jared convivono ma sono amici. Si conoscono
da sempre. Per quanto riguarda PES… credo che tutte le uomomunite (presenti e
passati) sappiano che cos’è. Brevemente, per chi ha avuto la fortuna di non
imbattersi in questo gioco… si tratta di calcio ragazze. PES significa Pro
Evolution Soccer ed è un gioco che è stato sviluppato in diverse piattaforme,
tra queste anche l’X-Box.
Uhm…
mi pare di non avere altro, credo di essermi anche dilungata troppo. Come sempre
ricordo il gruppo NERDS’
CORNER, per chi volesse iscriversi… è libero, non chiedo nick di EFP o
altro.
Grazie
a chiunque abbia avuto il coraggio di arrivare fino in fondo! :D
Rob.
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