8059 bho
Take me
under
Gokudera
si asciugò la fronte con un fazzoletto pescato a caso
da una tasca della tuta, tossì guardandosi poi intorno e
cercando di rischiarare ulteriormente l' ambiente. Era ormai tardi e la
sera era calata da un pezzo, i suoi colleghi avevano smesso gli scavi
già da un po' e anche il professor Di Stefano gli aveva
detto di
posare gli attrezzi e andarsi a fare una bella doccia ma lui aveva
insistito per rimanere sul sito a cui si stavano dedicando. Era un'
antica necropoli del I secolo su un colle isolato non eccessivamente
lontana da Roma.
Respirò a fondo e diede uno sguardo all' orologio, avrebbe
dato ancora un' occhiata in giro
e poi sarebbe andato via, ormai era abbastanza stanco da poter sperare
di avere una
nottata serena.
Un
rumore di cocci smossi alle sue spalle lo face girare col cuore in
gola e il piccone rapidamente in mano. Gokudera si
trovò di fronte al viso sorridente di Yamamoto che
alzò
la mano in segno di saluto.
-Mi
hai fatto prendere un colpo, idiota!
-Gomen,
Gokudera. Non volevo spaventarti. Che fai qui?
-Tch-
Gokudera posò il piccone sul terriccio e fece per
accendersi una sigaretta evidentemente ripensandoci perchè
poi
iniziò a salire la scaletta che lo riportò all'
aria
fresca e umida della sera. Takeshi era dietro di lui, lo sentiva-
questa è una domanda che dovrei farti io. Ancora non ti sei
stancato di starmi in mezzo alle palle? E poi non sei nemmeno un
addetto ai lavori.
Yamamoto
glissò sull' affermazione dell' altro e disse:- Wow,
non ero mai stato in un posto come questo. E' fantastico! E poi avete
un sacco di attrezzi, deve essere un bel lavoro quello dell' archeologo.
Gokudera
iniziò a camminare e questa volta si accese la sua
agognata sigaretta:- Per niente. Mi vedi no? Ho i calli alle dita e
puzzo come un maiale.
Yamamoto
si avvicinò e gli annusò il collo facendo
sobbalzare e arrossire l' amico che si scostò in imbarazzo.
-Hai
un buon odore- sentenziò alla fine.
Ci
fu un lungo silenzio, poi Yamamoto domandò:- Hai mangiato?
Se
non hai mangiato ho scoperto un pizzeria fantastica. E' da un po' che
ti ci volevo portare.
Gokudera
lo interruppe con un gesto stizzito della mano:- Come cazzo
faccio a venire in pizzeria, me lo spieghi? Ti ho detto che puzzo.
-Allora
andiamo da te e ordiniamo, ne Gokudera?
-Ma
che fai, ti autoinviti?!
La
mattina dopo Gokudera sentì la voce di Bianchi provenire dal
corridoio, poi lo scalpiccio dei suoi passi in cucina.
Guardò la
sveglia digitale sul comodino con gli occhi socchiusi, si
stiracchiò prendendo immediatamente piena
lucidità, si
girò di scatto alla sua destra ma Yamamoto non c' era, con
la
bocca semi aperta per lo stupore e un vago senso di confusione si
domandò dove fosse finito. In quel momento sua sorella
aprì la porta della sua stanza da letto.
-Hayato,
che ci fai ancora a letto? Non dovresti essere agli scavi
già da un pezzo?
Gokudera
fissò Bianchi, non era strano che lei fosse lì,
dopo tutto aveva le chiavi di casa sua, però non si
ricordava
perchè gliele avesse date.
La
maggiore si avvicinò al suo letto e gli toccò la
fronte con una mano:- Mi sa che hai la febbre. Dì la
verità, ieri hai fatto di nuovo tardi.
Il
fretello annuì assente, poi la ragazza continuò-
lo
sapevo. E si può sapere perchè diavolo sei tutto
nudo?-
si allontanò verso l' armadio per aprirlo e tirargli addosso
un
pigiama pulito e un paio di boxer visto che le sue cose erano sparse in
modo disordinato sul pavimento- che poi... perchè c'
è
una pizza intera sul tavolo della cucina?
Gokudera
si riscosse all' improvviso:- C' era T...- ammutolì all'
istante.
C'
era Takeshi Yamamoto con me ieri sera.
E
ricordò, dolorosamente e con un sorriso amaro,
perchè
la pizza era ancora sana, perchè Bianchi avesse le chiavi
del
suo appartamento.
-Hai
preso le medicine?- domandò infatti
-Mangio
e le prendo, no?- rispose stizzito
-Hai
ragione, ti preparo qualcosa.
Gokudera
si avventò contro la porta col lenzuolo in
vita cercando di trattenere la sorella, ma quella si girò
sorridendo:- Non preoccuparti non ho intenzione di avvelenarti e poi ho
un ristorante, anche piuttosto rinomato direi. Non capisco
perchè tu sia tanto terrorizzato dalla mia cucina. Dovresti
parlarne col tuo terapista, Hayato.
Quando
Bianchi se ne fu andata Gokudera prese il cellulare sul
comodino nella sua stanza e si scusò col professore
avvisandolo
che non sarebbe venuto. Di Stefano era molto paziente e gentile, aveva
risposto che lavorava troppo e che non era un bene fare così
tardi, poi aveva riso dicendo che un po' lo invidiava, quando era
più giovane anche lui era pieno di energie e non si fermava
mai.
In realtà Gokudera cercava di tenersi il più
impegnato
possibile e di stancarsi più che poteva per sprofondare in
un
sonno profondo e senza sogni e perchè sperava di non
rivedere
più Yamamoto.
Ritornò
in cucina e afferrò le pillole sul tavolo ingoiandole in un
colpo con un bicchiere d' acqua.
Quando
finì, Takeshi era appollaiato sul davanzale della finestra e
chiedeva:- Perchè prendi quella roba?
-Perchè
sei morto, idiota.
Yamamoto
lo guardava con una faccia afflitta:- Gomen, non volevo.
-Come
se certe cose si potessero decidere- fece una pausa- oh bè,
tu lo hai fatto ora che ci penso.
-Se
vuoi non mi faccio più vedere.
Gokudera
tacque, no che non voleva.
Vedeva
Takeshi Yamamoto ogni giorno, ogni santo giorno. Lo sentiva, lo
toccava, gli parlava ed era certo di tutto ciò come era
altrettanto certo che fosse impossibile. L' unica spiegazione che aveva
trovato, e che i medici avevano trovato per lui, è che fosse
del
tutto impazzito.
Chock,
avevano detto. Un forte trauma. La gente che lo conosceva era
rimasta di sasso, si domandava come fosse stato possibile che il
cervello di una persona razionale come Gokudera, che il cervello di un
genio, potesse andare all' improvviso in corto circuito.
Gokudera
si voltò per guardare Yamamoto accanto alla finestra,
afferrò il pacco di sigarette che teneva in un cassetto
della
cucina accendendosene una e inspirando a fondo, soffiò fuori
il
fumo e con quello parole che sembravo vecchie di secoli, ammuffite nel
suo cuore ma con la potenza di un' antica maledizione:- Ti odio,
Takeshi. Che ci hai guadagnato a fare l' eroe?
Che
ci
abbiamo
guadagnato? pensò.
Si
rintanò nella sua stanza buttandosi addosso il piumone
pesante, tirò fuori il braccio per un attimo, il tempo di
afferrare un potente sonnifero e di riposarlo sul comodino.
Sperava
di addormentarsi per sempre ma in quegli anni non ne aveva mai trovato
il
coraggio, si sentiva un vigliacco. Prima o poi avrebbe preso il
coraggio a due mani, ne era sicuro. Se non fosse stato lui ad afferrare
il coraggio, sarebbe stata di certo l' angoscia a farlo morire.
Sognò
Yamamoto, sognò la sua vita.
Il
padre di Gokudera era giapponese, la madre, a quanto gli avevano
raccontato, italiana. Non l' aveva conosciuta. All' età di
sei
anni si erano trasferiti
in Giappone dall' Italia, il padre desiderava che i suoi figli
ricevessero il suo stesso tipo di istruzione. Gokudera era un genio, un
genio sprecato secondo la sua famiglia perchè avrebbe potuto
essere qualunque cosa desiderasse, un medico, un fisico, un
ingegnere... invece dopo due anni di medicina si era trasferito a una
facoltà di studi letterari. In quegli anni aveva conosciuto
l'
unica persona che avesse cercato di essergli amico senza fermarsi al
primo ostacolo, poi quella persona era morta e Gokudera aveva passato
un anno in un ospedale psichiatrico. Era tornato in Italia
perchè il Giappone gli era ormai troppo stretto e aveva
iniziato
a studiare archeologia.
All'
ospedale aveva conosciuto un infermiere imbranato che sembrava un
ragazzino, si chiamava Sawada Tsunayoshi. All' inizio le rare volte in
cui i medicinali gli consentivano di essere lucido lo aveva preso in
giro in maniera crudele facendogli prendere non pochi spavanti se ogni
tanto gli tirava qualche tiro mancino eppure nonostante la paura,
perchè Gokudera lo sapeva, quell' infermiere a cui stava
larga
persino l' uniforme aveva una paura fottuta di lui, continuava a
stargli vicino. Aveva un cuore grande Tsuna e una volontà di
ferro, cose che gli avevano fatto guadagnare il suo rispetto e la sua
ammirazione. Voleva rendersi utile e salvare la gente solo che essere
medico per lui sarebbe stato un po' troppo e poi facendo l' infermiere
aveva la possibilità di assistere meglio le persone, di
stargli
più vicino e trasmettere più calore.
Gokudera
era rimasto di sasso, lui non era mai stato così
altruista in tutta la sua vita. Non era mai stato altruista a voler
essere onesti.
Non
avrebbe mai capito perchè Tsuna e Takeshi fossero
così entusiasti di abbracciare il mondo con le mani, da dove
veniva tutta quella positività? Perchè essere
gentile con
gente che non conosci, che magari non si ricorderà di te e
neppure ti ringrazierà?
Avrebbero
dovuto essere più cinici e disillusi, proprio come
lui, invece sembravano volergli insegnare qualche altra cosa.
Ogni
giorno Tsuna quando finiva il turno si veniva a sedere accanto al suo
letto per parlare un po'.
Una
volta gli aveva confidato di essere rimasto terrorizzato quando lo
aveva visto per la prima volta.
Aveva
abbassato gli occhi sulle proprie mani che si muovevano nervose
sulle gambe:- Non offenderti, ti prego, Gokudera-kun...- Tsuna aveva
sospirato guardando le foglie cadere dagli alberi in un punto lontano
del parco dell' ospedale, oltre la finestra dagli infissi opachi e
grigiastri- quando ti hanno portato qui gridavi. Urlavi tanto,
così tanto che ho immaginato le tue corde vocali come fili
che
vibravano, sempre più sottili, sempre di più fino
a che
non si fossero spezzati. Mi immaginavo qualcosa graffiarti la gola, le
tua grida come mani e come unghie che ti squarciavano dentro...- il
ragazzo si interrruppe in imbarazzo, alzò lo sguardo sull'
altro
iniziando a balbettare- scusa Gokudera-kun... non-non dovrei farti
questi discorsi e...
-Continua
-Cos...?-
Tsuna vide gli occhi verdi di Gokudera che lo fissavano
assorti, le mani bianche pazientemente in grembo e le labbra atteggiate
in una sorta di rassegnazione.
-Continua-
ribadì calmo.
-Scusa
se ti dico questo- riprese Tsuna- mi hai fatto tanta pena,
Gokudera. All' improvviso il tuo dolore è diventato il mio.
E'
endemico, afferra chi ti è vicino. Quel giorno ho pianto
come un
bambino e anche Haru e Kyoko-chan, le infermiere che erano insieme a me
in questa stessa stanza. Cercavamo di tenerti in ogni modo ma tu ti
muovevi e ti muovevi... e gridavi.
Avevi
le pupille piccole piccole sugli occhi spalancati e arrossati,
eri spaventosamente pallido. Dovevi aver pianto molto... e poi hai
ricominciato- Tsuna fissava il vuoto assorto, Gokudera faceva
altrettanto, come se vivessero ancora quel giorno, come se tutto il
resto non esistesse e ci fossero solo loro con le emozioni di allora,
come se stesse ancora urlando il nome di Takeshi dandogli del fottuto
idiota-
non avevo mai visto tanta disperazione uscire fuori da una persona sola
e ho avuto paura, paura, paura. Non riuscivamo a non sentirci male
anche noi senza nemmeno sapere perchè. Non lo sapevamo
perchè tu stessi così male, non ci avevano detto
niente.
Poi... poi abbiamo saputo.
Gokudera
abbassò il cuscino accasciandosi stanco sul letto, come
se avesse rivissuto ancora una volta quei giorni che lo avevano privato
di ogni energia. Era pallido e smagrito, pieno di puntini violacei
sulle braccia per le iniezioni che gli facevano e non potè
non
ripensare a Takeshi e alle sue di braccia piene di segni rossi e viola
sulla pelle scura.
Guardò
il soffitto e si mise a piangere incurante che Tsuna fosse
lì con lui.
-E'
stato una settimana in ospedale- disse a un certo punto
asciugandosi gli occhi- non mi facevano stare con lui all' inizio ma
sai... mio padre è un uomo piuttosto importante quindi...
quindi
ho potuto vederlo morire lentamente- sussurrò senza quasi
emettere alcun suono, non gli interessava di essere sentito o meno,
tirò su col naso cercando di ricacciare le lacrime che
volevano
uscire- sono stato seduto al suo fianco giorno e notte sperando che le
sue condizioni migliorassero. Ho persino pregato- si mise a ridere come
se la cosa fosse assurda, poi si voltò all' improvviso verso
Tsuna, con rabbia e disgusto- un medico mi ha detto che aspettavano
solo che morisse. Gli ho spaccato il naso, avrei voluto ammazzarlo.
All' inizio gli parlavo, poi mi hanno detto di smetterla
perchè
si agitava. Era vero, voleva camminare, era uno sportivo in fondo, poi
ha iniziato a perdere conoscenza, sempre di più. Dopo un
paio di
giorni gli hanno messo la maschera dell' ossigeno perchè non
ce
la faceva più a respirare da solo. Però mi
sentiva ancora
perchè gli dicevo "stringimi la mano, stringimi la mano" e
lui
lo faceva, o per lo meno ci provava.- Gokudera si girò dall'
altro lato guardando la parete- poi... poi basta. Erano le tre del
mattino. O di notte. Vedila come vuoi.
Gokudera
respirò a fondo:- Vorrei una sigaretta
-Non
è possibile, lo sai.
-Credi
che provi ad ammazzarmi?
-Diciamo
che ne sono abbastanza sicuro- borbottò il ragazzo
ricordando che l' italiano aveva cercato di tagliarsi i polsi con le
pagine di un libro che gli era stato portato.
-E'
questo il momento giusto. Ora che ho il coraggio di farlo, di
morire intendo. Poi potrebbe mancarmi e non voglio vivere
così.
-Potresti
avere una vita serena se solo lo volessi.
-No.
Non voglio per niente, non ho voglia di andare avanti, non me ne frega
un cazzo.
In
ospedale non aveva visto mai Yamamoto ma la sua mente era ugualmente
caduta in una sorta di baratro, a un certo punto aveva capito che se
voleva essere dimesso doveva far finta di essersi ripreso, che tutto
era assolutamente a posto. Ci era riuscito ma appena aveva messo piede
fuori dall' ospedale si era visto Yamamoto che lo aspettava sorridente
fuori dalla porta e che lo salutava chiedendogli come stava.
-Ce
ne hai messo di tempo per uscire- aveva concluso senza perdere l' aria
allegra che lo caratterizzava.
Gokudera
si era bloccato:- Santo Dio- aveva bisbigliato facendo voltare Bianchi
che sembrava pronta a riportarlo indietro.
-Hayato,
che hai? Va tutto bene?
Gokudera
aveva tossito un paio di volte cercando di apparire sicuro:- Certo che
sì, andiamo.
Ogni
tanto si voltava indietro per vedere se Yamamoto lo seguisse. E lo
seguiva.
Lo
aveva seguito anche in Italia.
Per
un periodo aveva fatto entra ed esci dalle cliniche, era stato
così ingenuo da confidare al proprio terapista che vedeva un
fantasma, o una specie. Era dannatamente reale.
Sognò
di quando aveva conosciuto Takeshi. Lo aveva riempito di
insulti. Quell' idiota per poco non gli tirava una pallina da baseball
sulla testa.
-Uno
non può nemmeno passeggiare nel parco che rischia di essere
ammazzato da una fottuta pallina!
-Scusa-
Yamamoto lo aveva guardato bene e poi aveva sorriso- se vuoi giochiamo
a calcio. Ti piace il calcio?
-Ma
chi ti dice che io voglia giocare con te?! E poi chi ti conosce. Io
stavo solo camminando per i fatti miei ed è quello che
intendo
continuare a fare.
-Scusa
ancora, stavo facendo due tiri. Però in compagnia
è più divertente, no?
-Cosa?
Cosa è più divertente?!- sbottò
esasperato.
-Tutto.
Correre, giocare a calcio o a baseball... soprattutto studiare. Io mi
annoio sempre sui libri.
-Si
vede. Hai una faccia da idiota.
-Perchè
dovresti camminare da solo?- aveva taciuto per un
momento, come per spiarne la reazione, poi- E allora questi due tiri? -
Yamamoto aveva sorriso malizioso- forse non sai giocare...
E
Gokudera gli aveva strappato il pallone da calcio che teneva tra le
mani assieme alla pallina.
Gokudera
si era svegliato all' improvviso riemergendo da sotto il
piumone, si era appoggiato alla spalliera del letto guardando l' ora
segnata sulla sveglia. Erano le nove passate di sera.
Si
vestì e uscì fuori casa prendendo la macchina e
guidando fino agli scavi. Man mano che saliva sulla montagna la foschia
serale diventava nebbia fitta che non gli permetteva di vedere a un
palmo dal naso. Parcheggiò in una piazzola di sosta e
salì le poche gradinate di pietra che portavano agli scavi,
poco
lontano una terrazza permettava di godere di un panorama meraviglioso
nelle belle giornate.
Ora
che non si vedeva niente e c' era solo la nebbia si chiedeva che
effetto faceva buttarsi da lì, con quel tempo. Gli sembrava
di
stare su un piccolo monte abitato dagli dei, che avrebbe potuto
camminare sulle nuvole, su quel manto fisso e arrossato dalle luci.
Salì sul muretto di pietra e respirò l' aria
umida,
aprì le braccia pronto a buttarsi nel cielo.
Takeshi
diceva che la nebbia assomigliava allo zucchero filato.
HARU
DICE:
Ciao
a tutti, in teoria la storia finisce così e ammetto che
questo finale mi piace anche, in pratica tra qualche giorno
metterò il secondo capitolo che doveva essere il finale che
avevo progettato all' inizio. Lo segnalerò però
come what
if...? rispetto
a questa one shot, poi capirete -spero- e spiegherò il
perchè nelle note al capitolo alternativo.
Mi
sarebbe piaciuto scrivere una storia più lunga ma al momento
non mi spingo oltre le autoconclusive che forse mi riescono anche
meglio, non ho la testa per una long e poi ne ho un sacco in corso e se
prima non le finisco non ho intenzione di impegnarmi in altro.
Come
sempre la colpa delle mie 8059 non è mia ma delle canzoni
che ascolto, per questa storia sono i Three Days Grace - il che non
è una novità- con Get
out alive, Take
me under e The
chain.
Chissà perchè poi.
DISCLAIMER:
Katekyo Hitman Reborn e i suoi personaggi non mi
appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è
scritta a scopo di lucro.
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