Ogni
volta, ogni singola volta si sentiva sporco.
Dentro e
fuori.
Madido di
sudore, con la polvere fra i capelli, con i segni dei lividi sulle
cosce. Doveva immergersi in acqua bollente per almeno dieci minuti,
prima di iniziare a sentire il suo
odore andare via. Ma lavare via il ricordo non era altrettanto semplice.
Riempiva la
vasca d’acqua e versava dentro mezza bottiglia di
bagnoschiuma, il più speziato che riuscisse a trovare ad
ogni isola che visitavano. Gli aromi più intensi,
affinché riuscissero a coprire il suo dannato odore. Il
respiro sulla sua pelle che lo marchiava ad ogni singolo gemito, e lo
faceva andare in estasi. Allo stesso tempo, Sanji si malediceva per
quella sua incredibile debolezza.
Le mani
ruvide di Zoro sapevano come toccarlo, sapevano scivolare sulla sua
pelle e graffiarla ed accarezzarla con eguale passione, con la stessa
animalesca rabbia. Perché lo spadaccino sapeva di sporcarlo
ogni perversa volta. E pareva trovarci gusto nel farlo.
Quando lo
stringeva fra le braccia, quando gli strattonava i capelli biondi,
quando gli mordeva il collo pallido lasciandogli evidenti segni che
solo la camicia ben abbottonata poteva nascondere. E Sanji, non se lo
perdonava mai.
Si sentiva
macchiare prima l’anima e poi la pelle, con i baci dello
spadaccino. Gli pareva di raggiungere sia l’inferno che il
paradiso ad ogni spinta. Gemeva senza vergogna ansimando di volerne
ancora. Di più. Più di quanto quel sudicio marimo
non gli stesse già dando. Più di quanto il suo
corpo non fosse capace di sopportare.
E poi si
rivestiva alla svelta lasciandolo da solo. Sentendo i suoi occhi che lo
seguivano come quelli di un felino non ancora sazio, ed andava via. Si
spogliava nuovamente gettando i panni nella cesta. Doveva pulirli,
doveva liberarsi dal suo sudore, e si immergeva nella vasca bollente,
provando quasi piacere quando la sua carne pareva ustionarsi con la
cocente acqua.
Affondava
con la testa sotto il pelo della schiuma e vi restava finché
i polmoni non erano sul punto di collassare. Esigevano aria, ma lui
gliela negava. E poi quello spirito di sopravvivenza così
intrinseco nella sua natura, lo obbligava a riemergere. Con un sonoro
respiro, quasi fosse un urlo smorzato. Facendogli sentire la gola
ardere, facendogli desiderare di affondare ancora.
Nella
stanza da bagno udiva i rumori esterni dei suoi nakama, ed ogni volta
che la sua voce roca gli giungeva alle orecchie, si mordeva il labbro
maledicendolo. Maledicendosi. Ed era nuovamente sotto l’acqua.
Ogni
volta, ogni singola volta si sentiva sporco.
Così
si ricopriva di abiti nuovi. Si profumava di spezie e dopobarba. Fumava
più assiduamente, affinché ogni singolo odore
estraneo fosse annebbiato e sparisse dalle sue narici.
L’odore
della sua pelle salata sarebbe stato lontano. Il ricordo dei suoi baci,
non lo avrebbe lasciato mai.
Almeno,
fino alla volta successiva.