La neve e la sabbia

di Alex e Finger
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Istanbul,

Rabî Al-Awwal 884
(estate 1479)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








 

 

vrà avuto sì e no dodici anni. Seduto in fondo a una banchina, le gambe penzoloni, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento fra le mani, osservava il riflesso dei suoi piedi scalzi sull’acqua torbida e immobile del porto. I capelli neri, trattenuti da una fascia azzurra, gli si arricciavano intorno al viso dai tratti ancora infantili, ma gli occhi limpidi e vigili, quasi dell’identico colore della fascia, avevano un’espressione da piccolo adulto, sotto le sopracciglia aggrottate. Non aveva un aspetto florido, ma neanche patito e la casacca impolverata e strappata sulla schiena lasciava intravedere dei graffi freschi.

— Yusuf. — 

      Sobbalzò e portò d’istinto la mano al fianco, trovando solo il vuoto. Sul suo viso comparve un’espressione di profondo disappunto (aveva perso il suo pugnale quello stesso pomeriggio), sostituita un secondo dopo dal sollievo nel riconoscere la voce alle sue spalle. Si voltò con un sorriso insolente.

— So che sei molto coraggioso Dönek, direi troppo a venirmi così di soppiatto alle spalle. — 

— Ho corso un bel rischio, lo so. — disse l’altro ragazzo, che aveva un paio d’anni in più, alzando le mani nell’atto di chi si arrende e sedendosi accanto a lui.

— Che hai fatto? — domandò indicando lo strappo sulla casacca.

— Niente. — 

— Niente. — 

— Già, niente. Sono scivolato da una tettoia. — 

Sulla faccia di Dönek si dipinse un’espressione di esagerata costernazione.

— Tu? Sei scivolato, TU??!! E sei anche caduto magari! Non è possibile!! Oh, NO! Tu sei caduto? Nooooo! Che ne è del tuo prezioso sangue di Ass…—

— Piantala. — 

— …il tuo sangue si è annacquato! O forse tua madre ha…— Non poté finire la frase mentre finiva a capofitto nel porto. Quando riemerse, sputando acqua melmosa e con l’intento di ripagarlo con la stessa moneta, l’altro era in piedi sulla banchina, ormai fuori portata e lo fissava torvo.

— Chiedimi scusa. — disse Dönek tossendo.

— No. Tu devi chiedermi scusa. — 

— Te lo scordi. — 

Rimasero in silenzio per un po’, scambiandosi sguardi di fuoco: nessuno dei due aveva voglia di cedere il punto. Poi negli occhi di Yusuf, malgrado gli sforzi per trattenerlo, affiorò un sorriso e, notandolo, il  viso dell’altro cominciò a distendersi appena, quasi con cautela. Fece un paio di bracciate verso la banchina e si afferrò alle travi.

— Allora, mi dai una mano? — 

— Te lo scordi. — 

 

 

 





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