I passi strascicati producono uno stridio acuto e fastidioso sul pavimento scabroso dello scantinato.
Un rauco e cupo colpo di tosse.
La maniglia si abbassa cigolando.
Un rauco e cupo colpo di tosse.
L’apertura della porta provoca un leggero spostamento di aria, ben avvertibile nella staticità dell’atmosfera.
Un rauco e cupo colpo di tosse, più vicino.
Un tonfo sordo, e la porta viene richiusa.
Respiri pesanti, la bocca di quell’uomo enorme si avvicina all’orecchio ben disegnato di una bambina.
Lo sporco le incrosta i vestiti laceri, il labbro inferiore è percorso da un taglio, coperto da strati di sangue coagulato, le palpebre pesanti ora sono inutilmente spalancate, all’erta, alla vana ricerca di un buio più visibile.
Un canto soffiato faticosamente fuori da labbra che sembrano volerlo imprigionare, a tratti aggressivo, ringhioso, a tratti lamentoso, invade la minuscola stanza, ma dichiara per poco la sua supremazia.
Spasmi, gemiti, urla lo sovrastano. Il piccolo corpo della bambina è scosso da violenti tremiti, urla parole incomprensibili, graffia la propria pelle, sbrindella i vestiti, riempie di lividi violacei l’ovale del viso, morde le dita, strappa intere ciocche di lunghi capelli castani.
Poi, all’improvviso, il silenzio.
E di nuovo un rauco e cupo colpo di tosse, seguito da una risata ghignante.
L’uomo sfila la cintura dai pantaloni, mentre si toglie le scarpe con un rapido colpo di tallone.
La bambina, sfinita, abbozza un silenzioso piagnisteo.
Fuori da quella buia stanzetta, si avverte chiaramente un tonfo.
Ma, se qualcuno, con un orecchio appoggiato alla porta, avesse ascoltato attentamente, avrebbe anche potuto udire la prima vera parola.
“Papà..”
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