Esploderà famelica
La sera squarciava
il petto e le costole spaccate dolevano tra i vestiti e il cuore. Sembrava di
respirare dolore e di emettere vita, tramite quegli sbuffi irregolari e sempre
più corti. Parlare era come morire ed ogni suono emesso era una condanna alla
sofferenza, ora e domani. E aveva sempre creduto nel domani, ci aveva sperato,
come unica possibilità. Svaniva, ora, in quell'aria pesante e pungente, in quel
macigno che gravava sul suo petto e sgorgavano, le lacrime, spinte da
un'angoscia inspiegata. Ma non era importante, quel pianto scorreva silenzioso e
contro quel muro il dolore meno sofferto era il corpo di lui addosso. La
disperazione la invadeva, la confusione, l'oscurità. Si stava consumando, le sue
ossa, i suoi organi e non doveva pensarci, ma come? come poteva non sentire
quelle cicatrici bruciare come carne viva, cicatrici mai viste, mai esistite,
eppure sempre pronte all'aggressione. Era come pelle scorticata inondata di sole
e di sale. Come ignorare quell'insoddisfazione permanente, quella solitudine? La
violenza, ora, appariva la sola alleata. E contro quel muro quelle spinte le
graffiavano i glutei, sanguinava ma il dolore fisico era piacere, era
distrazione.
- Esploderà famelica
l'ansia non di vita, non di amore... - sussurra grida disperate nell'orecchio di
un lui che nemmeno la sente che ne approfitta e gode e non vuole ascoltare altro
- ...ma di un te eterno e reale, solenne, splendente. E nell'aria non è il sogno
né il ricordo o la speranza ma il bisogno inappagato, come un desiderio
indelebile e radicato nell'animo e nelle ossa. -
Grida ora e non è
piacere ma quello squarcio inondato da tutte le consapevolezze e
solitudini.
- Una completezza
d'infinito nel contatto tra due umanità. Perdo fiato e mi spengo al peso di
questi assoluti che non mi guidano ma mi opprimono in un'attesa distruttrice...
-
- Che cazzo dici,
stai zitta?! -
Ed ogni imposizione
suona come una compagnia, come un suono da ascoltare, da ringraziare. Eppure le
parole, ora dopo anni, dopo mesi, dopo una vita passata a reprimere, a non
capire a disperare, sgorgano, spingono, sgomitano e fuoriescono. Vomita le sue
verità e gode di quell'acido insopportabile, che sa solo di liberazione, per
lei, che non è lacrime o sangue, ma di più, molto di più, è il marcio che viene
espulso e abbandonato.
- Nel sogno di un
piacere trovo rifugio nelle sere di paura, come un futuro che si staglia
incerto, ma è il solo che ho, il solo in cui ci sia tu. E anche se mai ti ho
toccato, almeno prima avevo il sogno di farlo, la fantasia di esserti vicina e
nel corpo e nell'anima lo ero. Ma adesso mi rimane il ricordo di una speranza
avvizzita che non ha forma ed è in un angolo a deperire, assieme alle altre
ammassate in un... - ma le parole sono sovrastate da lui, dal suo corpo, dalla
sua foga, dal suo godimento.
- ...sono sola -
sussurra senza più fiato, consumata da quei movimenti rapaci e inappaganti.
Stanco si butta a terra e non ti guarda, fissa l'asfalto caldo delle tre di
notte e il cielo nuvoloso, in sottofondo una musica indistinguibile, orribile,
angosciante.
- Cos'è che
farnetichi, 'a matta? -
Resta immobile Eva,
in una primordiale solidità, in un'ancestrale freddezza, ma le parole sono
inarrestabili, ormai e ringrazi dio che sia così, ringrazi il cielo che due
orecchie ti ascoltino, una volta, anche se sorde.
- Solitudine
infinita, ormai, solitudine mortale e mangiatrice di vita. Dio, Dio! - urla
ormai priva di controllo, annegata nell'ansia, nella paura di un torrente di
emozioni inarrestabile - Dio, dimmi, perché sono così? Sono destinata ad essere
sola? -
Lui ha spostato gli
occhi su di lei - Certo che sei bella, pazza ma bellissima - si rialza e ti
bacia, di morde via le frasi, ti stanca la lingua e ti riabbandona per sempre,
scomparendo nel buio e nella folla - Stai bene, eh! - con le mani in
tasca.
Cade Eva e non si
vuole rialzare - Pesa la vita sulla mia fragilità. -
Questa è una storia un po' vecchio stile, me l'ero lasciato indietro, ma ieri sera è tornato fuori. Chissà. Miss
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