Puella Automata (titolo provvisorio)

di Nicoranus83
(/viewuser.php?uid=59108)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Capitolo 1



Tre uomini vestiti di nero si trovavano a fissare un piccolo monumento funebre; una figura femminile con ali da angelo posata su di una lapide, sulla quale spiccava in lettere dorate una scritta che recitava:

STEFANIA DE GENNARO

1872-1892

FIGLIA E SORELLA ADORATA

NOI PIANGIAMO LA TUA ASSENZA

ma non erano tristi perché sapevano che la bara che giaceva a circa due metri sotto di loro, ospitava un semplice manichino di legno, la loro amata Stefania si trovava nascosta in una loro vecchia tenuta di famiglia che si trovava in stato di semiabbandono. Era stata la ragazza a decidere di fingersi morta perché non avrebbe sopportato gli sguardi della gente che sicuramente avrebbe attirato su di sé, quindi decise di rintanarsi in un posto isolato ed uscire solo di notte, e poi perché l'incidente di cui era stata vittima cominciava ad essere sospetto. Anche se Stefania non ricordava niente sia dell'accaduto sia della sua stessa vita, durante le poche ore di sonno che si concedeva, faceva dei sogni strani in cui le sembrava di rivivere gli attimi dell'incidente, in uno di questi sentiva la voce di un uomo che diceva: «La sgualdrina è morta possiamo andarcene tranquilli.» a queste parole seguirono dei passi che si avvicinavano ad una carrozza che l'istante successivo si mise a correre di tutta lena.

L'aria umida e afosa portava con sé la fragranza salmastra del Tirreno, che, anche se fosse molto forte, riusciva a coprire a mala pena il putrescente olezzo che saliva dalle strade ricoperte da liquami di qualsiasi tipo, carcasse di topi ingombravano il cammino, mentre orde di laidi ubriachi stazionavano di bettola in bettola e di taverna in taverna. La poca illuminazione, proveniente dalle sparute lampade ad olio, rendeva ancor più opprimente l'atmosfera tanto che solo un pazzo avrebbe potuto attraversare l'intricato labirinto di stradine che formavano la zona dei mercati di Palermo. Tutto ciò era la perfetta scenografia per quello che stava succedendo: una prostituta correva barcollante con il corsetto lacero, la camicia sdrucita, i piedi scalzi e l'ampia gonna ridotta a quattro stracci, il trucco volgare era ridotto ad una grottesca maschera di paura e sgomento. Ad ogni passo si voltava sempre più disperata, dietro di lei vi era un uomo, vestito con una camicia bianca il panciotto marrone come la giacca ed i pantaloni, che guadagnava inesorabilmente terreno sulla povera malcapitata, quando la raggiunse la prese con forza per un braccio e la sbatté violentemente contro un muro, le mise una mano sulla bocca, mentre con l'altra era intento a strapparle le mutande, quando cercò col ginocchio di allargarle le gambe, lacrime a stento trattenute scesero copiose sulla mano dell'aguzzino da occhi che sembravano spegnersi ogni secondo di più. Proprio mentre l'uomo era riuscito a slacciarsi i pantaloni ed era pronto per il primo affondo, si sentì tirare per una spalla e si vide davanti una persona con una maschera di pelle nera sulla bocca, gli ondulati capelli castani che le scendevano sulla nuca, portava una camicia marrone scuro monca di una manica dalla quale spuntava un braccio ad orologeria d'ottone, lo stesso che gli arpionava la spalla, le gambe esili erano fasciate in stretti pantaloni bianchi, ai piedi portava delle scarpe rigide grigie. L'uomo allora preso in contropiede cercò di difendersi sferrando un pugno che venne prontamente intercettato dalla mano di carne della figura androgina. Il braccio meccanico lasciò finalmente la presa solo per assestare un pugno in pieno volto, che provocò una copiosa epistassi, l'uomo rosso in volto si mise a dare colpi a raffica contro il disturbatore/trice nessuno dei quali riusciva ad andare a segno, il braccio meccanico allora colpì l'aguzzino nel plesso solare, ed egli finì col proprio corpo ad impattare su una parete tanto forte che schegge di intonaco si staccarono scoprendone i mattoni di tufo, con i quali era costruito il piccolo edificio. Nonostante ciò l'uomo prese le sue ultime forze per rialzarsi ed avvicinarsi alla persona col braccio ad orlogeria ma proprio quando si trovò ad un passo da quest'ultima, s'accasciò a terra come un sacco di patate privo di sensi. La donna aggredita se ne stava ancora lì immobile quasi paralizzata dal terrore, ed allora l'angelo dall'ala meccanica si avvicinò cercando di consolarla: «Sh, sh. State tranquilla l'uomo che vi ha fatto questo ora è inoffensivo, non può più nuocervi.» fece con una calma voce femminile mentre col braccio di carne la sorreggeva per farla tornare in posizione eretta: «Adesso vi porto in un posto sicuro, dove potrete riprendervi e riposare.», aggiunse trascinandola nei pressi di un piccolo calesse, la posizionò sul sedile con calma, girò dietro la vettura per sedersi accanto alla vittima che aveva appena strappato dalle mani del bruto, prese le redini e con un colpo secco invitò il cavallo storno ad avviarsi sulla strada che la conduceva al rifugio.

«Ma che ti dice il cervello? Prima ti tagli quei meravigliosi capelli, poi ci chiedi di fingere la tua morte ed adesso raccatti prostitute per strada? Alessandro avrebbe dovuto controllare che tutte le rotelle che hai in testa fossero a posto, prima di impiantarti il braccio.» fece adirato Giacomo, cioè quello che si scoprì essere il fratello maggiore di Stefania, mentre Alessandro, il più piccolo dei tre fratelli, si parò tra l'uomo e la ragazza cercando di fare da paciere. «Che avrei dovuto fare, lasciare che quel bastardo finisse il lavoro? Non potevo certo lasciarla al suo destino, non vedi come è ridotta? E se ci fossi stata io al suo posto non avresti voluto che ci fosse stato qualcuno a salvarmi?», inveì con la stessa veemenza Stefania che vedendo lo sguardo arrendevole del fratello maggiore aggiunse: «Vedi che mi dai ragione! Non pensare a lei come ad una prostituta ma come ad una donna come tante, anch'ella ha diritto ad avere protezione come tutti noi.»; «E chi dice che devi essere tu la sua protettrice?», domandò allora Giacomo stizzito; «Questo!» disse la giovane donna alzando il braccio meccanico; «Non ti rendi conto che potenzialità ha quest'affare. So di non essere stata subito entusiasta della mia condizione, ma l'aver salvato quella donna la settimana scorsa mi ha fatto riconsiderare la situazione, ponendola sotto una luce diversa. Allora pensai che forse era il destino ad avermi portato questo fantastico portento della tecnica, così pensai di essere destinata a fare grandi cose come quella di salvare le persone indifese, essere una paladina come quelli che si vedono nei teatri dei pupi, visto che una parte di me è ormai molto più simile ad un pupo che ad un essere umano.» concluse Stefania con un filo di amarezza il discorso.

La stanza risuonava da un suono che assomigliava molto ad un battito di cuore, il quale proveniva da uno strano macchinario che sembrava un grammofono, collegato, tramite un tubicino di caucciù ed una piccola piastra di metallo, al seno sinistro di una donna che si trovava distesa su un lettino dalle candide lenzuola, ella era la vittima salvata da Stefania, al suo capezzale vi era un uomo maturo, Giovanni il padre di Stefania, che era intento a stropicciarsi gli occhi evidentemente stanco, dopo aver dato una ripulita veloce si rimise gli occhiali, rialzandosi si avvicinò alla figura che aveva appena attraversato la porta d'ingresso alla stanza dicendole: «Sss! Cerca di fare meno rumore possibile, Stefania, sono riuscito adesso a sedarla dal suo delirio. Ma cosa avevate da urlare tu e Giacomo vi si sentiva perfino qui dentro?!?»; «Ma niente di particolare, e che Giacomo si era risentito del fatto che dessimo ospitalità ad una donna da marciapiede.» fece Stefania con una naturalezza disarmante, alla quale lo stesso Giovanni non seppe controbattere.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1328301