Capitolo
1
Tre
uomini vestiti di nero si trovavano a fissare un piccolo monumento
funebre; una figura femminile con ali da angelo posata su di una
lapide, sulla quale spiccava in lettere dorate una scritta che
recitava:
STEFANIA
DE GENNARO
1872-1892
FIGLIA
E SORELLA ADORATA
NOI
PIANGIAMO LA TUA ASSENZA
ma
non erano tristi perché sapevano che la bara che giaceva a
circa due metri sotto di loro, ospitava un semplice manichino di
legno, la loro amata Stefania si trovava nascosta in una loro vecchia
tenuta di famiglia che si trovava in stato di semiabbandono. Era
stata la ragazza a decidere di fingersi morta perché non
avrebbe sopportato gli sguardi della gente che sicuramente avrebbe
attirato su di sé, quindi decise di rintanarsi in un posto
isolato ed uscire solo di notte, e poi perché l'incidente di
cui era stata vittima cominciava ad essere sospetto. Anche se
Stefania non ricordava niente sia dell'accaduto sia della sua stessa
vita, durante le poche ore di sonno che si concedeva, faceva dei
sogni strani in cui le sembrava di rivivere gli attimi
dell'incidente, in uno di questi sentiva la voce di un uomo che
diceva: «La sgualdrina è morta possiamo andarcene
tranquilli.» a queste parole seguirono dei passi che si
avvicinavano ad una carrozza che l'istante successivo si mise a
correre di tutta lena.
L'aria
umida e afosa portava con sé la fragranza salmastra del
Tirreno, che, anche se fosse molto forte, riusciva a coprire a mala
pena il putrescente olezzo che saliva dalle strade ricoperte da
liquami di qualsiasi tipo, carcasse di topi ingombravano il cammino,
mentre orde di laidi ubriachi stazionavano di bettola in bettola e di
taverna in taverna. La poca illuminazione, proveniente dalle sparute
lampade ad olio, rendeva ancor più opprimente l'atmosfera
tanto che solo un pazzo avrebbe potuto attraversare l'intricato
labirinto di stradine che formavano la zona dei mercati di Palermo.
Tutto ciò era la perfetta scenografia per quello che stava
succedendo: una prostituta correva barcollante con il corsetto
lacero, la camicia sdrucita, i piedi scalzi e l'ampia gonna ridotta a
quattro stracci, il trucco volgare era ridotto ad una grottesca
maschera di paura e sgomento. Ad ogni passo si voltava sempre più
disperata, dietro di lei vi era un uomo, vestito con una camicia
bianca il panciotto marrone come la giacca ed i pantaloni, che
guadagnava inesorabilmente terreno sulla povera malcapitata, quando
la raggiunse la prese con forza per un braccio e la sbatté
violentemente contro un muro, le mise una mano sulla bocca, mentre
con l'altra era intento a strapparle le mutande, quando cercò
col ginocchio di allargarle le gambe, lacrime a stento trattenute
scesero copiose sulla mano dell'aguzzino da occhi che sembravano
spegnersi ogni secondo di più. Proprio mentre l'uomo era
riuscito a slacciarsi i pantaloni ed era pronto per il primo affondo,
si sentì tirare per una spalla e si vide davanti una persona
con una maschera di pelle nera sulla bocca, gli ondulati capelli
castani che le scendevano sulla nuca, portava una camicia marrone
scuro monca di una manica dalla quale spuntava un braccio ad
orologeria d'ottone, lo stesso che gli arpionava la spalla, le gambe
esili erano fasciate in stretti pantaloni bianchi, ai piedi portava
delle scarpe rigide grigie. L'uomo allora preso in contropiede cercò
di difendersi sferrando un pugno che venne prontamente intercettato
dalla mano di carne della figura androgina. Il braccio meccanico
lasciò finalmente la presa solo per assestare un pugno in
pieno volto, che provocò una copiosa epistassi, l'uomo rosso
in volto si mise a dare colpi a raffica contro il disturbatore/trice
nessuno dei quali riusciva ad andare a segno, il braccio meccanico
allora colpì l'aguzzino nel plesso solare, ed egli finì
col proprio corpo ad impattare su una parete tanto forte che schegge
di intonaco si staccarono scoprendone i mattoni di tufo, con i quali
era costruito il piccolo edificio. Nonostante ciò l'uomo prese
le sue ultime forze per rialzarsi ed avvicinarsi alla persona col
braccio ad orlogeria ma proprio quando si trovò ad un passo da
quest'ultima, s'accasciò a terra come un sacco di patate privo
di sensi. La donna aggredita se ne stava ancora lì immobile
quasi paralizzata dal terrore, ed allora l'angelo dall'ala meccanica
si avvicinò cercando di consolarla: «Sh, sh. State
tranquilla l'uomo che vi ha fatto questo ora è inoffensivo,
non può più nuocervi.» fece con una calma voce
femminile mentre col braccio di carne la sorreggeva per farla tornare
in posizione eretta: «Adesso vi porto in un posto sicuro, dove
potrete riprendervi e riposare.», aggiunse trascinandola nei
pressi di un piccolo calesse, la posizionò sul sedile con
calma, girò dietro la vettura per sedersi accanto alla vittima
che aveva appena strappato dalle mani del bruto, prese le redini e
con un colpo secco invitò il cavallo storno ad avviarsi sulla
strada che la conduceva al rifugio.
«Ma
che ti dice il cervello? Prima ti tagli quei meravigliosi capelli,
poi ci chiedi di fingere la tua morte ed adesso raccatti prostitute
per strada? Alessandro avrebbe dovuto controllare che tutte le
rotelle che hai in testa fossero a posto, prima di impiantarti il
braccio.» fece adirato Giacomo, cioè quello che si
scoprì essere il fratello maggiore di Stefania, mentre
Alessandro, il più piccolo dei tre fratelli, si parò
tra l'uomo e la ragazza cercando di fare da paciere. «Che avrei
dovuto fare, lasciare che quel bastardo finisse il lavoro? Non potevo
certo lasciarla al suo destino, non vedi come è ridotta? E se
ci fossi stata io al suo posto non avresti voluto che ci fosse stato
qualcuno a salvarmi?», inveì con la stessa veemenza
Stefania che vedendo lo sguardo arrendevole del fratello maggiore
aggiunse: «Vedi che mi dai ragione! Non pensare a lei come ad
una prostituta ma come ad una donna come tante, anch'ella ha diritto
ad avere protezione come tutti noi.»; «E chi dice che
devi essere tu la sua protettrice?», domandò allora
Giacomo stizzito; «Questo!» disse la giovane donna
alzando il braccio meccanico; «Non ti rendi conto che
potenzialità ha quest'affare. So di non essere stata subito
entusiasta della mia condizione, ma l'aver salvato quella donna la
settimana scorsa mi ha fatto riconsiderare la situazione, ponendola
sotto una luce diversa. Allora pensai che forse era il destino ad
avermi portato questo fantastico portento della tecnica, così
pensai di essere destinata a fare grandi cose come quella di salvare
le persone indifese, essere una paladina come quelli che si vedono
nei teatri dei pupi, visto che una parte di me è ormai molto
più simile ad un pupo che ad un essere umano.» concluse
Stefania con un filo di amarezza il discorso.
La
stanza risuonava da un suono che assomigliava molto ad un battito di
cuore, il quale proveniva da uno strano macchinario che sembrava un
grammofono, collegato, tramite un tubicino di caucciù ed una
piccola piastra di metallo, al seno sinistro di una donna che si
trovava distesa su un lettino dalle candide lenzuola, ella era la
vittima salvata da Stefania, al suo capezzale vi era un uomo maturo,
Giovanni il padre di Stefania, che era intento a stropicciarsi gli
occhi evidentemente stanco, dopo aver dato una ripulita veloce si
rimise gli occhiali, rialzandosi si avvicinò alla figura che
aveva appena attraversato la porta d'ingresso alla stanza dicendole:
«Sss! Cerca di fare meno rumore possibile, Stefania, sono
riuscito adesso a sedarla dal suo delirio. Ma cosa avevate da urlare
tu e Giacomo vi si sentiva perfino qui dentro?!?»; «Ma
niente di particolare, e che Giacomo si era risentito del fatto che
dessimo ospitalità ad una donna da marciapiede.» fece
Stefania con una naturalezza disarmante, alla quale lo stesso
Giovanni non seppe controbattere.
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