Obscurum est

di emome
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*Non  possiedo la serie di Shadowhunters, ne i suoi fantastici personaggi.

 

 

 

 

 

 

Buio. Il buio lo circondava,nero,assoluto, come il silenzio che lo assordava.

Eppure anche lì, in quella cella buia e fredda a centinaia di metri dalla superficie, Jace pensava a Clary.

Il dolore al polso si fece improvvisamente più acuto al pensiero di Clary,

sua . . . sorella.

Sorella.

Sorella.

Sorella.

Ecco, ora quella parola non aveva più significato.

Si rigirò per l’ennesima volta di schiena facendo sferragliare la catena che gli ammanettava il polso.

“Il dolore è solo ciò che tu gli permetti di essere, Jonathan “ gli rimbombò improvvisamente la voce del padre nella testa, vivida, reale, come se fosse ancora davanti a lui. Smise di concentrarsi sul polso martoriato ed il dolore sembrò attenuarsi. Come diceva suo padre.

Perché lui era Jonathan Cristopher Morgenstern, il figlio di Valentine, ed era per quello che ora era rinchiuso in quella cella, senza sapere per quanto, abbandonato da tutti.

Lo avevano abbandonato anche coloro che pensava fossero la sua famiglia, i Litwood, lo avevano sbattuto in prigione, cacciato a calci dall’istituto dopo i sette anni che aveva passato con loro sentendosi parte di qualcosa.

Sono solo,pensò il ragazzo d’oro con gli occhi fissi nel buio.

Neanche suo padre c’era,lo aveva abbandonato facendosi credere morto , ed una volta tornato sembrava più propenso ad avere un seguace per il suo piano con i Strumenti Mortali che avere un figlio.

Sdraiato in quella posizione, sentiva le forti ondate di dolore  assalirlo, soffocandolo.

Perché faceva male.

Continuava a pensare a Clary, e faceva male. Perché lei era sua sorella, Clarissa Morgenstern.

L’unica persona che aveva mai amato in un modo del tutto nuovo, intenso, assoluto, che lo faceva sentire a casa, era sua sorella. Rise nel buio come un pazzo, di un riso amaro e crudele, come se ridesse di se stesso.

L’amore lo stava distruggendo.

Era certo che fosse una punizione divina, si, lo era per la sua anima dannata, perché lui non la meritava, non meritava di essere felice.

Per la sua anima oscura, come quella cella, dannata, malata per volere nel modo più sbagliato che esista il suo stesso sangue.

Lei era buona, lei non l’aveva abbandonato, ne  era sicuro.

Ma non avrebbe mai potuto averla, perché lui era buio e freddo come quella cella.





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