La
mia vita sul set – Cap. 23
Dopo la
prima intervista volavo a due metri da terra: volteggiavo da una stanza
all’altra della camera dell’albergo facendo le
più svariate cose, compreso riempire le valige – i
nostri giorni a Queenstown erano quasi finiti e dovevamo spostarci.
Mentre facevo quelle svariate migliaia di piccole cose alla luce del
freddo sole di fine settembre parlottavo anche al cellulare, cercando
di organizzare una serata al fast food per festeggiare la buona
riuscita dell’intervista. Erano solo cinque del pomeriggio ma
ogni minuto era prezioso!
-
Ciao Dommy! Mi sedetti di slancio sulla sedia della scrivania.
-
Ciao! Com’è andata
l’intervista?
-
Bene! Sto organizzando un’uscita al Fast Food
stasera, vieni?
A
“Fast Food” lanciò un grido –
Puoi scommetterci piccola! Porto anche quel pigrone di Bill,
così magari rimorchiamo qualche bella donna!
- Ahaha
Dom, possibile che non riesci a pensare a nient’altro?
- Non
prendermi in giro, sai che penso anche ad altre cose.
- Mh, ad
esempio?
- A trovare
le sigarette stasera.
- Geniale!
Devo riagganciare.
- Ok! Ciao!
– Buttò giù. Feci il numero di Billy e
cominciai a mettermi lo smalto rosso sulle unghie dei piedi dopo averlo
preso da un angolo della scrivania.
- Billy
Bond – rispose imitando pateticamente la voce sensuale di 007.
- Dom ti
trascina a cena da me stasera. - Sembrò sbuffare.
– Dice che magari riuscite a rimorchiare!
-
Grannnnnnnde!! Quando ci vediamo?
- Ti faccio
sapere! – chiusi lo smalto e lo rimisi
nell’angolino della scivania.
- Adios!
Chiusi la
comunicazione e chiamai Orlando che rispose al primo squillo.
-
Ciao amore! Aspettavo una tua chiamata…
com’è andata?
-
È stato uno spasso! Ne parliamo stasera al Fast?
-
Aggiudicato! Io sono in centro, se vuoi prima di andare
faccio un salto da te… che ne dici?
Il mio
sorriso si intenerì. – Ti aspetto.
-
Splendido. Arriverò fra un’oretta circa.
-
Così tanto? Che devi fare?
-
Eeeeeh… vedrai.
-
Eddai, dimmelo!
-
No! Ahah ci vediamo dopo piccola.
Riattaccò
il telefono, lasciandomi sulle spine. Fare così era una
caratteristica di Orlando: prima mi diceva qualcosa e poi non mi dava
maggiori informazioni, il che il più delle volte mi lasciava
presagire che stesse almanaccando qualcosa insieme ai ragazzi del cast
– e per me non sempre quel qualcosa era piacevole.
Telefonai
anche a tutti gli altri ma trovai solo i quattro Hobbit e Orlando
disponibili. Craig aveva già un impegno per quella sera,
Viggo doveva andare da qualche parte con suo figlio insieme a Bean
– forse a giocare a bowling -, Sir Ian “era troppo
vecchio per mangiare quelle dannate porcherie” e
così anche gli altri. Mentre parlavo con tutti avevo preso
dall’armadio tutti i vestiti, piegati e impilati sul letto
matrimoniale. Poi ero salita su una sedia per prendere la valigia sopra
il guardaroba e l’avevo posata per terra sollevando un cumulo
di polvere che mi costrinse ad aprire la portafinestra e a fare entrare
l’aria fredda.
Passai a
raccattare tutte le cianfrusaglie che avevo tenuto sparse per
l’appartamento per non so quanto tempo, sfidando ogni volta
quella santa cameriera che ogni volta passava a pulire. Ero
disordinata, molto disordinata: una cosa che avevo sempre condiviso con
Jessie. Orlando, da quando ci eravamo conosciuti, cercava sempre di
riordinare un po’ quella scia di disordine che ero abituata a
lasciare dietro al mio passaggio. La cosa strana del mio disordine, era
che le cose io le trovavo! Era nell’ordine di Orlando che le
perdevo – e in questo lui assomigliava a mia madre.
Iniziai col
cercare di mettere gli accessori del bagno nel beauty case in maniera
ordinata, rinunciando al momento delle spazzole che gettai dentro a
caso. Poi passai alla valigia più grande, con tutti i
vestiti che mi ero comprata dal mio arrivo in Nuova Zelanda.
Ero
così concentrata che non mi accorsi neanche del tempo che
passava e alzai lo sguardo dai vestiti impilati solo quando sentii
bussare alla porta. Corsi ad aprire col sorriso sulle labbra
scavalcando di slancio tutte le borse, borsine e borsette sparse sul
pavimento, e mi ritrovai davanti il viso da sex symbol di Orlando.
-
La mia bimba famosa! – mi prese per i fianchi e mi
fece fare un giro in aria.
-
Orlie! – durante il volo gli tenni le braccia
intorno al collo e poi abbassai il volto per baciarlo. – Mi
sei mancato.
-
Anche tu, Les. – mi posò a terra ed
entrai, con lui che mi seguiva a ruota. Saltellai di
nuovo in
mezzo alla roba ma, arrivata all’altezza del divano, sentii
un tonfo dietro di me: mi voltai e l’unica cosa che vidi era
Orlando disteso a faccia in giù sul pavimento, con una borsa
di pelle fra i piedi e le braccia larghe. Era inciampato!
Invece di
aiutarlo scoppiai a ridere. Fece un po’ di fatica ad alzarsi,
scaraventando la borsa verso il frigo dell’angolo cottura.
-
Sì ridi, ridi Lesley! Ahia che botta! –
venne verso di me massaggiandosi il naso,
mentre io
mi piegavo in due in preda al gran ridere. Orlando si
avvicinò piano, utilizzando la pratica ninja supersilenziosa
di Legolas. – Adesso vedi che ti faccio! - Appena fui a tiro,
mi caricò in spalla come un sacco di patate. Una lieve paura
si intrufolò al posto della risata.
-
Orlando mettimi giù! Giù subito!
Orlie rise.
– Ti mangio! Miao!
Portandomi
in spalla tranquillamente come un contadino con la balla di fieno corse
verso la camera da letto e non curante di tutti i vestiti accatastati
sul materasso mi ci scaraventò sopra, facendoli volare tutti
giù. Ricominciai a ridere e lui si buttò a
cavalcioni sopra di me, bloccandomi con le gambe e cominciando a farmi
il solletico. Risi più sguaiatamente di prima e cominciai a
dimenarmi sotto il suo peso cercando di bloccarlo ma lui perseverava.
Alla fine, quando ritenne che così era abbastanza, si
abbassò all’improvviso e mi baciò
dolcemente socchiudendo gli occhi come un gatto. Sorrisi nel mezzo del
bacio e lasciai che per un attimo quella dolcezza mi pervadesse, poi
con un luccichio di scaltrezza negli occhi lo capovolsi con una mossa
di autodifesa imparata al corso di Stunt, cogliendolo di sorpresa.
Accettò quel cambio di posizione e invece di protestare,
posò la testa accanto alla mia sul cuscino e mi
circondò con le braccia, trasferendomi tutto il calore del
suo corpo.
-
La sai una cosa? – mi chiese sottovoce. Lasciai
passare un secondo.
-
Cosa?
-
Sei la mia vita.
Per un
attimo pensai mi sarebbero uscite lacrime di commozione ma non
successe. Mi girai verso di lui e poggiai il mio naso contro il suo,
sfregando la punta con la punta.
-
Anche tu.
Sorrise e
mi accarezzò il viso.
Sdraiati
sul mio letto a farci le coccole neanche ci accorgemmo del tempo che
passava. Solo quando mancava mezz’ora
all’appuntamento con gli altri al Fast Orlando si
alzò e mi disse che prima di andare doveva prendere una cosa
in camera sua e che io dovevo avviarmi perché altrimenti
facevo tardi. Nonostante la mia curiosità, eseguii i suoi
ordini e lui andò in camera sui. Mi infilai dei pantaloni di
velluto neri, una maglia a maniche lunghe, una felpa pesca e un paio
Tiger bianche. Prima di uscire dalla stanza decisi di raccogliermi i
capelli in una treccia su un lato della testa, guardai alla svelta il
mio riflesso allo specchio e forse per il luccichio di
felicità negli occhi o forse per le mie gote ancora
arrossate per l’emozione delle coccole con Orlando, mi vidi
bella.
Uscii
volando, metaforicamente.
A parte
Viggo che non poteva venire perché aveva un impegno con suo
figlio, Bean che usciva con una ragazza e John che attualmente si
trovava fuori città, gli invitati ufficiali alla festa erano
le persone a cui ero più affezionata e quella –
l’unica – che conoscevo un po’ di
più fra i nuovi arrivati: i quattro Hobbit, Orlando, Craig.
I soliti insomma. Ci dovevamo vedere davanti al Fast alle otto in punto
e arrivai alle otto e due minuti, ma stranamente ero l’ultima
ad arrivare. Un attimo…
- Ma
dov’è Orlando?
Fu Dom a
rispondere sistemandosi il cappello sui ciuffi biondi. – Ha
chiamato due minuti fa, ha detto che ritarda.
-
Ok, allora… entriamo?
Mi chiesi
perché Orlando non avesse chiamato me per avvertirmi, feci
spallucce ed entrai nel locale.
Il Fast
Food era, come dice il nome, un fast food. Una specie di
McDonald’s che però serviva come la Ceasar Salad o
pasta fredda, che non distribuiva insomma quelle schifezze di hamburger
fatte con chissà che cosa – anche se le patatine,
a mio avviso, erano fantastiche. Quando si passeggia fra le stradine di
Queenstown il Fast si trova quasi per caso: non grande, con grandi
sedili di velluto attaccati alle pareti e un forte odore di birra e
cibo, immerso in un’atmosfera simpatica e accogliente che non
si poteva definire tranquilla ma variava a seconda dei clienti della
serata. Non so quante volte io e i ragazzi ci siamo andati dopo le
faticose giornate di riprese per bere una birra e rilassarci, prima di
tornare nei nostri comodi letti a Villa del Lago. I proprietari di quel
locale ci avevano visti così tante volte che ormai avevano
preso a chiamarci per nome e c’era anche chi provvedeva a non
farci assaltare dai fan che qualche volta riconoscevano Viggo o Elijah.
Grazie alla
mia prenotazione ci avevano sistemato in un angolino tranquillo del
bar, ad un tavolo circolare munito si panche di velluto che lo
attorniavano completamente: in sostanza, se ti volevi sedere dovevi
scavalcarlo. Non proprio il massimo della raffinatezza e della
comodità ma comunque simpatico.
Una volta
tutti accomodati dissi:
-
Signore e signori… anzi, solo signori…
siamo qui riuniti oggi…
-
Per celebrare la santa messa liturgica! – mi
interruppe Craig, scatenando l’ilarità
generale.
-
Ehi Les, potevi avvertirci! Mi sarei messo il vestito della
domenica! – protestò Dom.
-
La “domenica” in senso religioso
è totalmente assente nella tua vita tranne che nel tuo nome,
Dominic! – risposi con una linguaccia.
E Billy: -
L’unica domenica che intende Dom è quella in cui
si sta stravaccati nel letto tutta la mattina, meglio se accanto a
qualche bella ragazza! – si girò e gli
batté il cinque.
Dom
guardò dietro di me e mi ordinò svogliato: - Les,
di’ al venditore ambulante dietro di te che non compriamo
niente.
Gli lanciai
un’occhiata contrariata per quello che aveva detto e mi
voltai girando il busto sul sedile, pronta a dire educatamente
– non alla maniera di Dom – al venditore di rose
che non volevamo niente ma prima che dicessi qualche cosa il cervello
mi avvertì che quello dietro ad un enorme mazzo di fiori
appostato alle mie spalle non era un venditore: da sopra quel cespuglio
di mille colori a mezz’aria spuntava il viso sorridente di
Orlando. Mi lasciai sfuggire un versetto intenerito e mi avvicinai a
lui mettendo un ginocchio sullo schienale del sedile per dargli un
bacio di ringraziamento.
-
Congratulazioni per la tua prima intervista Les.
Presi il
mazzo e lo annusai. Mi ricordava il profumo dei campi vicino alla
nostra prima location.
-
E tu, Billyno tanto carino, scansati che voglio stare vicino
alla mia ragazza! – Orlando afferrò Billy da sotto
le ascelle, lo sollevò e lo sistemò un
po’ più in là sul sedile.
-
Ehi, Mozzarella, guarda che gli elfi non piacciono a nessuno!
-
Vediamo quante fan impazziranno per Pipino
l’Hobbit! – ribattei scherzosa e
iniziammo
tutti a ridere. In quel momento arrivò la nostra cameriera
preferita del Fast, Marge: avremmo fatto come minimo quindici foto con
lei e avevo il sospetto che se le fosse vendute in giro.
-
Allora, io prendo un’insalata fredda di pasta
– dissi – ci puoi mettere tanti wurstel?
Lei
annuì e mentre annotava le richieste degli altri lanciava
sguardi seducenti ad Orlando: non era la prima volta che lo faceva ed
ero stata molto indaffarata a marchiare il territorio durante le prime
cene. Ma una volta chiarito il fatto che Orlando era mio e che lei non
gli interessava minimamente, aveva smesso di provarci e anzi, mi stava
anche diventando simpatica.
Alla fine
del giro, Craig disse: - Credo che siamo tutti d’accordo
nell’affermare che visto che è la nostra ultima
cena al Fast ordiniamo anche una vagonata di patatine.
Annuimmo e
Marge se ne andò con un sorriso divertito.
Quando
rimanemmo soli, Elijah disse a mezza voce: - E’ davvero la
nostra ultima cena al Fast, caspita. Mi sono affezionato a questo posto.
-
Già. – concordai. – A me
mancherà un sacco Villa del Lago… sto pensando di
far spostare il cenotafio di Jessie al cimitero, credo che sia illegale
tenerne uno nel territorio di un albergo.
-
Hai fatto un cenotafio per Jessie? – chiese Billy
di colpo interessato.
-
Sì! – esclamò Elijah.
– E mentre lo costruiva giuro di averla sentita cantare.
Lo fulminai
immediatamente con lo sguardo. Lui mi vide, arrossì e
incassò la testa nelle spalle. Ci fu un attimo di silenzio.
-
Non ti ho mai sentita cantare… -
mugugnò Orlando. Oddio Lesley, cambia discorso
subito!
Come al solito non seguii quello che mi diceva la testa e rimasi zitta
finché Dom non ruppe il silenzio calato sul tavolo.
-
Quelle persone dovevano essere terrorizzate…
-
Tu cosa proveresti se fossi in un grattacielo che brucia?
– Chiese Sean. Alla sua
domanda
retorica Dom lo guardò di sottecchi.
-
Chissà se sono ancora qui.
-
Intendi dire i fantasmi? – insinuò
Billy. – Dom, quelle persone sono morte, nessuno
può
sapere dove sono ora!
-
Io sì. Lo so. – Tutti gli occhi si
girarono verso di me. – O almeno, credo. – Nessuno
fiatò.
Guardai la mia mano stretta in quella di Orlando, poi il suo viso.
– Quando abbiamo avuto l’incidente in barca,
ricordi? Ho sbattuto la testa sullo scoglio… quando mi sono
svegliata in ospedale il dottore mi ha detto che per un po’
sono andata in arresto cardiaco, che… sono andata e tornata,
ma intanto ho visto. Ho visto una galassia davanti a me e ognuno dei
suoi bracci mi faceva vedere cosa stavano facendo tutti quelli che amo.
Ma non era una cosa estranea, era già dentro di me!
Silenzio.
– Sei morta davvero? – chiese Elijah, annuii
impercettibilmente. Poi feci la mossa più giusta che mi era
balzata in mente in quel momento, e per fortuna riaccese
l’atmosfera.
-
Sto pensando di comprare casa a Wellington! Una casa tutta
mia… secondo voi ce la faccio con la paga della Compagnia?
Craig si
grattò il naso. – Secondo me dovresti aspettare un
po’ di soldi dalle Due Torri. Almeno sai che così
hai dei risparmi.
Sean si
dichiarò d’accordo. – E poi magari devi
anche spendere soldi per ristrutturare, applicare i giusti e
qualificati sistemi di allarme, mettere le inferriate alle finestre del
giardino… L’unico che ha avuto abbastanza fortuna
nel trovare una casa a posto è stato Orlando.
-
Oh sì mi ricordo! – esclamai.
– Io e Liv ti avevamo accompagnato, vero Orlie? Avevi anche
sbagliato strada.
Lui
annuì. In quel momento arrivarono le nostre ordinazioni
munite di alti boccali di birra. Una volta tutti pronti, con
un’occhiata complice alzammo i boccali verso l’alto
in un brindisi taciturno. Io bevevo alla mia prima intervista, alla mia
vita sul set con dei ragazzi speciali come loro e, soprattutto, a
Jessie.
Il giorno
dopo chiesi a Linnie di accompagnarmi al cimitero per far incidere una
lapide per Jessie, così prendevo anche due piccioni con una
fava: avrei parlato con lei di Elijah e onorato Jessie come si deve.
Pur con qualche riluttanza Linnie accettò. Andammo la
mattina presto in taxi e ne approfittai per chiederle che era successo
con Woody e perché si era comportata in quel modo brusco
quando mi era venuta a trovare all’ospedale. Anche se era mia
amica e la conoscevo temevo la risposta che mi avrebbe dato ma lei
sembrava riluttante a rispondere con sincerità:
cercò un paio di volte di sviare la mia attenzione
dall’argomento con inutili giri di parole ma alla fine la mia
testardaggine e la sua scarsa abilità nel mentire finirono
col metterla con le spalle al muro. Il problema era che Linnie, quando
si sentiva sotto pressione, passava direttamente all’attacco.
Smise improvvisamente di guardare fuori dal finestrino e si
voltò a fissarmi con occhi ardenti facendo ballare i ricci
ramati. Parlò con voce glaciale, non urlando come mi sarei
aspettata.
- Vuoi
sapere perché mentre eri in ospedale ti ho urlato contro?
Perché ho mollato Elijah? Eccoti servita: quando ti abbiamo
visto cadere su quello scoglio e rimanere immobile ci siamo spaventati
a morte, ancora di più quando non rispondevi. Ti sono venuti
a prendere dall’ospedale in elicottero e ti ci hanno portato
di corsa. Eravamo tutti preoccupati e specialmente Orlando…
sembrava che stesse per lasciarci le penne, ma anche Elijah non stava
fermo un attimo, non l’ho mai visto così agitato!
Non ascoltava nessuno, c’era il terrore nei suoi occhi. Anche
io ero spaventata, certo, ma non mi quadrava il suo stato
d’animo.
“Devi stare tranquillo” gli ho detto.
“Tranquillo?” Ha risposto. “Io non sto
tranquillo! Potrebbe andarsene! È troppo importante
perché se ne vada! Non può
morire…”. Si è seduto per terra e si
è messo la testa tra le mani. Aveva ancora il costume. Io
non riuscivo a capire quello che stesse dicendo. “Sei
innamorato di lei?” gli ho chiesto e lui ci ha messo un
po’ a rispondere. “No”, ha detto alla
fine ma i suoi occhi dicevano un’altra cosa e io mi sono
ingelosita da morire e imbestialita da morire con te, perché
lui amava te e non me. Per questo l’ho lasciato.
-
Linnie… - dissi. – non è mai
stato innamorato di me, neanche per un istante. Mi vuole sono bene ma
ama te, me l’ha detto lui.
Linnie, che
dopo il racconto aveva abbassato il viso, lo alzò e mi
guardò mostrandomi che ora aveva gli occhi pieni di lacrime.
– No, io non credo.
Il taxi
ripartì e si allontanò. - Io sapevo che
all’inizio tu piangevi seduta per terra e lui ti
consolava. – In realtà l’avevo
visto nella galassia. – Ti devo dire la verità:
dopo l’attacco alle Torri Gemelle Orlando mi ha lasciata e io
e Elijah ci siamo baciati, ma è stato solo un bacio
– mi affrettai a dire vedendo la sua espressione. –
Eravamo entrambi confusi e incasinati e non ci stavamo con la testa.
Siamo solo amici e lui ama te. Ma la domanda è: tu lo ami?
Il taxi si
fermò davanti al cimitero. Scendemmo e lei, chiusa la
portiera, mormorò: - Lo amo.
-
Allora vai da lui e parlagli.
Tentennò.
– E se mi respinge?
Sorrisi.
– Non credo proprio.
Accanto al
cimitero c’era un’impresa di pompe funebri. Fino ad
allora non ero mai stata in un posto del genere e avevo sempre sperato
di non farlo mai: all’interno l’aria era pesante,
anche se il riscaldamento dietro ad un comò era acceso.
Davanti alla porta c’era un uomo in giacca e cravatta che
scriveva attento con una stilografica, e accanto alla scrivania una
porta coperta da una pesante tenda di velluto viola. Appena entrammo,
ci vide e si alzò.
-
Buongiorno. Sono Aaron. Accomodatevi. - Wow, questo saltava i
convenevoli a pie’
pari!
– Voi siete?
-
Io sono Lesley Dalton. – Aaron scrisse il mio nome
su un quaderno nero, poi alzò lo sguardo verso Linnie.
-
Oh, no, io sono qui come supporto morale – si
affrettò a precisare lei. – Quella che deve fare
questa cosa è Les.
Aaron
tornò a guardarmi. – Mi dispiace per la sua
perdita. – Quell’uomo doveva aver ripetuto quella
frase un milione di volte, tanto quanto bastava per perdere il senso
emotivo per quelle parole cariche di significato, eppure nei suoi occhi
si leggeva un dispiacere sincero… o almeno così
mi pareva.
-
Grazie. – Risposi.
-
In cosa posso esserle utlile?
-
Vorrei una lapide, il più presto possibile.
-
Vuole seppellire il defunto in questo cimitero?
-
Sì.
Aaron
scrisse sul quaderno. – Cosa ci vuole incidere?
Combattei
contro la difficoltà del trattenere le lacrime e ci pensai
su. – “A Jess” – mi fermai.
– “7 Ottobre 1983 – 11 settembre
2001” – Mi fermai di nuovo. Pensai di far incidere
cose come “Amata mia sorella”, ma non andava dal
momento che era troppo banale e non era mia sorella. Anche tutte le
altre che mi venivano in mente erano comuni. Citare una frase della
lettera, neanche a pensarci. Poi mi venne in mente una cosa che Jess
aveva detto a Matthew Colt, il giorno dopo il mio compleanno,
quando era venuto per rompere le scatole a tutti.
-
“Salta sulla tua macchina e fila via,
imbecille!” – conclusi, e risi. Quella frase
raffigurava
tutta la figura e il carattere di Jessica, era perfetta per lei.
Fantastica. Aaron purtroppo non poteva capirlo e mi guardò
allibito per un attimo, tornando poi a scrivere nel suo quaderno.
-
Quando si terranno i funerali?
-
In realtà si sono già tenuti. A New
York. - Mi guardò perplesso. – Nessuno deve
essere
seppellito sotto la lapide. È solo un modo per onorare una
mia grande amica perché non ho potuto essere presente al suo
funerale. Jess è morta nell’attacco alle Torri
Gemelle. Vorrei che sia tutto pronto per domattina. Per la
collocazione, mi fido di lei.
Aaron mi
aveva guardato dolorosamente al sentir nominare il WTC ma la sua natura
professionale riprese subito le redini della situazione.
-
Intende pagare ora?
-
Non ho altra scelta.
Aaron
contò il totale su una calcolatrice. – Di solito
è la mia assistente a fare i conti ma è in
maternità… - cercò di spiegare.
– Sono 2500 dollari.
-
Perfetto. – Scrissi tutto su un foglio del
biglietto degli assegni. – Per quando sarà pronto?
-
Domattina alle dieci come ha chiesto lei, signorina Dalton.
-
Grazie. – mi alzai e Linnie con me. Gli strinsi la
mano. – è stato un piacere.
Una volta
fuori mandai un messaggio a tutti i miei amici.
“Domattina,
alle dieci, al cimitero. Funerale Jess. Siate puntuali”.
Il mattino
dopo alle dieci in punto, c’erano Viggo, Orlando, Miranda,
Liv, Dom, Billy, Sean, Elijah, Linnie, Bean, Craig, Christine con
Alexandra ed io, naturalmente. Tutti vestiti con gli abiti
più solenni che eravamo riusciti a tirare fuori dalle
valigie già pronte e chiuse per la partenza di quella sera,
in silenzio davanti alla lapide di Jessie scolpita a puntino che
recitava a caratteri eleganti.
A Jess
7 Ottobre 1983
– 11 Settembre 2001
“Salta
sulla tua macchina e fila via, imbecille!”
All’inizio
i ragazzi avevano a riso al leggere quella frase, ma ora nessuno stava
ridendo ed eravamo lì impalati da dieci minuti. Il
fatto era che non riuscivo a spiccicare una parola in sua memoria!
Orlando mi stringeva la mano e solo grazie a quella stretta riuscivo a
non piangere, e ad un certo punto avevo detto:
- Credo che
sia il caso di dire qualcosa. – ma poi più niente.
Alla fine, quando ognuno di noi l’aveva ricordata abbastanza
per il tempo che aveva passato con lei, dal silenzio emerse la voce di
Viggo che cantava i primi versi di How to save a life, un
po’ come io avevo fatto per Moulin Rouge.
- Step one you say we need to
talk, he walks, you say sit down it’s just a talk. He smiles
politely back at you, you stare politely right on through.
Poi Liv: - Some sort of window to your
right, as he goes left and you stay right, between the lines of fear
and blame you begin to wonder why you came.
Cominciai
io, stando al loro gioco: - Where
did I go wrong? I lost a friend somewhere along in the bitterness and I
would had stayed up with you all night had I know how to save a life.
A turno e
in coro, come per tacito accordo, cantammo tutta la canzone in una
sinfonia di voci per me molto commovente. * Forse quello era il
funerale che Jess voleva, non lo sapevo. Sapevo solo che per me era
quello giusto, anche se non era molto ortodosso o consono alla
tradizione. Magari anche gli altri che avevano cantato con me la
pensavano allo stesso modo! Ed ero riuscita a onorare Jessie, anche
perché non avevo potuto assistere al suo vero funerale a New
York per colpa di quella cavolo di tempesta che mi aveva impedito di
prendere l’aereo. Quando finimmo tutto il ritornello
applaudimmo: l’emozione di quel momento ci travolse facendoci
manifestare le emozioni, eppure stavolta non erano negative, non mi
venne da piangere come una bambina, ma sorrisi! Applaudire mi aveva
sempre messo allegria e l’avevo sempre fatto agli spettacoli
con Jessie e adesso che lei non c’era più lo
facevo per lei, mi sentii finalmente in pace. Il fatto di non aver
potuto andare a New York mi aveva fatto sentire in colpa fino a quel
momento e ora finalmente era tutto finito!
- Grazie a
tutti per essere venuti, vi voglio bene – dissi con un
sorriso rivolta a tutti e subito dopo mi ritrovai in un grande
abbraccio di gruppo, mentre Alexandra correva con le sue gambettine
intorno a noi. E va bene, qualche lacrimuccia di commozione mi
scappò anche dentro tutto l’abbraccio!
- Bene!
– disse Viggo riacquistando all’istante il suo
istinto da Aragorn – ci vediamo all’aeroporto
gente!
Io e
Orlando tornammo insieme a Villa del Lago per un ultimo saluto a tutto
lo staff dell’albergo e ai nostri appartamenti che ci avevano
ospitato per tutto quel tempo! Io e lui avevamo deciso di scrivere una
lettera di ringraziamento da consegnare alla reception nella quale ci
complimentavamo per la qualità dei servizi e dei dipendenti
e promettevamo di fare buona pubblicità. Appena entrati
nella mia stanza Orlando mi abbracciò e mi baciò.
Il contatto fisico con il suo corpo mi fece battere forte il cuore,
come sempre. Ogni giorno che passava lo amavo sempre di più,
non avrei mai e poi mai voluto tornare a quel periodo di settembre, il
peggior mese della mia vita.
-
Allora che dici, pranziamo e andiamo all’aeroporto?
– proposi. – L’aereo per Rohan
è alle cinque.
Orlando
sorrise. – Non ti ricordi proprio il nome di quel posto vero?
-
No! Però non me lo dire: voglio scoprirlo una
volta atterrata dopo un volo immersa nella mia totale ignoranza
geografica!
Ridemmo.
Gli passai un braccio intorno alla vita. – Andiamo.
Prendemmo
le valigie, controllai circa sette volte di aver preso tutto e
nonostante ciò ero sicura di aver dimenticato qualcosa,
chiudemmo la stanza, andammo alla location, consegnammo le chiavi e la
lettera, salutammo tutti e andammo al ristorante. Per fortuna ci
acconsentirono di lasciare tutti i bagagli in un angolino tranquillo e
ben sorvegliato dell’ingresso, mangiammo e poi di corsa
all’aeroporto! Incontrammo tutti gli altri al check-in,
pronti a separare, per la prima volta, la Compagnia. D’ora
poi non avremmo più lavorato tutti insieme ma in location
separate perché così prevedevano i copioni delle
Due Torri e del Ritorno del Re: io sarei andata a Rohan –
quel posto sconosciuto – con Orlando, Miranda, Viggo, John,
Bernard Hill, John Mahaffie – secondo regista. Billy e Dom a
Wellington, Sean e Elijah dal monte Ruapehu nell’Isola del
Nord. E poi c’erano quelli che se ne sarebbero andati via per
un po’: Bean, Liv, Craig, che promise di venirmi a trovare
ogni settimana. Appena mi vide entrare con Orlando Elijah mi corse
incontro e mi abbracciò stretta stretta sollevandomi da
terra.
-
Ehi El! Che succede? Che ho fatto?
-
Io ti adoro nella maniera più assoluta! Non
smetterò mai di ringraziarti Les!
-
Linnie ti ha parlato?
-
Sì!
E mi
abbracciò di nuovo. – Adesso siamo pari
– dissi.
Ora era il
momento di salutare tutti quanti.
-
Mi mancherete un sacco – dissi fra un abbraccio e
l’altro.
-
Ehu, non c’è bisogno di fare le scene,
ci rivedremo lo stesso ogni week end! – esclamò
Billy.
– Non staremo tanto lontani, e poi fra neanche due mesi ci
sarà la presentazione della Compagnia dell’Anello!
In quel
momento arrivò la chiamata per l’aereo mio e della
troupe di Rohan.
Il viaggio
in prima classe, come al solito, era comodissimo. Io e Orlando ci
posizionammo in due sedili appartati e trascorrevamo il tempo facendoci
le coccole e mordicchiando uno spuntino, parlando del più e
del meno e guardando foto. Dopo la metà del viaggio,
però, mi sembrò pensieroso.
-
Che c’è, Orlie?
Evitò
il mio sguardo - Mmmm… niente.
-
Ehiiiiiiiii!
-
Volevo chiederti una cosa…
-
Bene, allora dimmela! – sorrisi.
-
Mi vergogno… e non so se accetterai.
-
Se non me lo chiedi non lo saprai mai, dimmelo
all’orecchio se sei timido.
Orlando mi
prese una mano fra le sue, si chinò verso di me e mi
sussurrò all’orecchio:
-
Vuoi vivere con me?
Ammetto
che l’idea della canzone non è stata mia ma di
Grey’s Anatomy, sono rea di furto d’idea! Magari a
voi fidati lettori non è piaciuta neanche ma, giuro, a me
sì! Se qualcuno fosse interessato a sentire la versione per
come l’hanno cantata in questo capitolo, eccovi il video e la
sequenza degli attori!
Sequenza
di voci: Viggo – Liv – Lesley – Orlando
– Miranda (2 voci di seguito) – Lesley –
Christine – Tutti – Lesley!
Video:
http://www.youtube.com/watch?v=CxSR3ZYcdZA&feature=my_liked_videos&list=LL5A5-9eWUkFi8nwzSS8hYDQ
Se
vi ha fatto schifo ditemelo senza problemi! Accetto le critiche!
Vi
voglio bene!
Nut
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