Io sono fermamente convinta che la prima cosa
che impariamo a dire è: “Non è stata colpa mia!”. E infatti è colpa di
Vittoria.
L’indicazione era: voglio un Sasuke felice (si
può fare!), voglio un Sasuke padre (ARGH!), voglio un Sasuke che viene a sapere
di dover diventare padre (condoglianze Sasuke), meglio ancora (sì) voglio che
Sakura esiti a dirglielo e lui le faccia capire che già sa tutto (si è
svegliato!!).
La cosa terribile è che a un certo punto tutte
queste cose le volevo anche io.
E questo è quanto.
Esplosioni
A
Vittoria,
che
conosce l’arte del fangirlismo sfrenato,
e
quella dei sorrisi,
e
quella che sa rendere carine delle serate qualsiasi.
Fino a pochi giorni prima, Sasuke era stato
convinto di aver completato egregiamente la parte iniziale della missione.
Tutto era andato secondo i suoi calcoli: Sakura aveva sostituito il caffè
mattutino con una tisana allo zenzero, tentava di berla distesa sul divano
invece di sedere con lui al tavolo in soggiorno; era sempre attivissima ma ogni
tanto si faceva pensierosa senza nemmeno rendersene conto, si posava
distrattamente una mano sul ventre, inceneriva buona parte dei suoi kimoni
perché mentre stirava aveva ben altro davanti agli occhi, bruciava molto spesso
la colazione che puntualmente non mangiava – oppure ci provava, e poi scappava
via. Era un concentrato di instabilità – più del solito, cioè; si asciugava le
lacrime fissando esterrefatta le dita umide: piangeva come se non ci fosse un
domani e rideva come se la vita (quella bella, quella con lui) fosse destinata
a durare in eterno.
Chiaramente, non aveva il ciclo da qualcosa come
due mesi. Con altrettanta chiarezza, Sasuke sapeva che era incinta. E non era
nulla di troppo strano, ci stavano provando da un po’, lo desideravano
entrambi. Di fatti la prima parte della missione doveva concludersi con Sakura
che gli dava l’assalto facendogli piantare la schiena contro il mobile malefico
di turno, aggrappandosi al suo collo come incapace di tenersi in piedi.
Sasuke avrebbe capito che un po’ era
vero, che al solo pensiero di far crescere qualcosa di loro dentro di sé a
Sakura tremavano davvero le gambe, ma non era un problema: lui avrebbe
sospirato, le sue gambe se le sarebbe tenute strette in vita e tra le braccia,
le avrebbe premuto la fronte contro la linea dolce del collo, se fosse stato
nella giusta disposizione mentale le avrebbe mormorato un grazie sulla pelle – che non era solo grazie per avermi dato di nuovo una famiglia, era più un grazie per tutta la vita che ti porti dentro
e che mi butti addosso.
Il problema era che Sakura non gli aveva detto
proprio niente, si ostinava a tenere la notizia per sé. E lui non riusciva a
immaginare per quale motivo avesse le braccia vuote e un muro di silenzio a
dividerlo da lei.
«Sakura-chan, se non lo vuoi lo mangio io!»
Tuttavia Sasuke non riusciva a immaginare
nemmeno perché avesse un presunto migliore amico tanto chiassoso e irruento,
perciò tentava di non preoccuparsi per tutte le cose che continuavano a
sfuggirgli.
Osservò con attenzione Sakura che porgeva il
resto della sua colazione a Naruto, senza nemmeno fargli notare che a suo
parere nello stomaco di lui doveva esserci la fossa delle Marianne.
Naruto afferrò perplesso la metà di un cornetto
tutto spiluccato, lo masticò lentamente. «Non mi dici niente, Sakura-chan?»
Sakura si alzò di scatto, con la mano posata sul
ventre. «Scusate», corse verso il corridoio senza nemmeno degnarli di un’altra
occhiata.
Ino la seguì in un battito di ciglia, e Sasuke
non seppe se esserne sollevato o alzarsi lo stesso anche lui. Non voleva farle
capire che lui sapeva tutto in quel modo, ma non voleva nemmeno essere lasciato
dietro.
«Secondo te mangio in maniera tanto disgustosa?»
chiese Naruto, stoicamente pronto a prendersi la colpa di tutto l’accaduto.
«Anche se tu non sei proprio la persona giusta a cui chiederlo», gli fece
notare dopo un po’, con una luce particolare negli occhi.
Sasuke sospirò. Avevano dodici anni quando
facevano a gara per stabilire chi fosse capace di mangiare più riso.
Ora ne avevano ventiquattro. E al posto del riso
avrebbero trangugiato cornetti.
Poi avrebbero seguito Sakura nel bagno, con una
nausea pazzesca. E invece di trovarci un’amica bionda pronta ad asciugare a
entrambi il sudore dalla fronte ci avrebbero trovato qualcuno disposto a
ricordargli quanto fossero imbecilli. Più o meno.
Ma Sasuke decise di non pensarci troppo mentre
spalmava la marmellata dentro il terzo cornetto della giornata, con Naruto che
lo guardava compiaciuto: lui era già al quarto.
***
Sasuke non avrebbe saputo dire il momento
preciso in cui era successo, ma a un certo punto si era reso conto che Sakura
passava troppo tempo a guardare le sue lacrime invece che a ridere. Gli
raccontava che era stanca per il lavoro, che stavano perdendo un sacco di
pazienti ultimamente e che Tsunade quando voleva sapeva essere molto stressante. Tutto vero, Sasuke
sapeva che lei non gli avrebbe mentito, gliel’aveva promesso. Però, allo stesso
tempo, Sasuke sapeva anche che il peso di quello che lei stava tentando di
nascondergli era per qualche motivo diventato insostenibile.
Era deciso a parlarle quella sera stessa, senza
troppi preamboli. Lei in ogni caso lo avrebbe abbracciato, poi avrebbe dovuto
spiegargli come mai si fosse premurata di costruire tutto quel mistero dietro a
una cosa tanto naturale, che desideravano entrambi. Gli avrebbe sorriso,
spiegandogli che non c’era niente di strano o sbagliato, che le erano solo
mancate le parole per qualche giorno. Sasuke si ripeté che le cose sarebbero
andate così, senza complicazioni. Però si ripeteva anche che lui non aveva
scelto una moglie incapace di dirgli la verità per debolezza. Al massimo, se si
comportava così, Sakura lo faceva per premura.
E allora Sasuke tremava un po’, piegava le dita
irrigidite e le bloccava prima di conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
Lasciava che gli ultimi raggi del sole gli ferissero gli occhi, e più il sole
si spegneva, diventava morto, più gli risultava difficile starsene calmo con le
gambe a penzoloni sull’engawa.
Stava quasi per rientrare in casa a prendersela
con qualche cuscino quando sentì dei passi nel vialetto, accompagnati da un
paio di imprecazioni, un pugno contro un albero e un volo di uccelli dalle
grandi ali azzurre. Sakura doveva essere abbastanza nervosa.
Ci mise un po’ a notarlo e qualche momento in
più per reagire alla serietà della sua espressione. Gli si avvicinò con
prudenza, abbandonando a terra la borsa. «Qualcosa non va, Sasuke-kun?»
Lui la osservò con sguardo fermo: Sakura aveva
le occhiaie un po’ troppo marcate, le labbra screpolate, il petto era sempre
uguale, respirava regolarmente, le braccia erano esili eppure gonfie di una
forza che non era nei muscoli, ma nello spirito, e le permetteva di distruggere
intere colline senza arretrare, e di accarezzarlo senza aver più paura della
sua reazione; il ventre…
Sasuke infilò la mano sotto la sua maglietta.
Scoprì di avere timore di premere troppo dopo averle sfiorato il fianco. Lei lo
lasciò fare, però aveva reagito al suo tocco, si era un po’ irrigidita. Sasuke
trovò che la pelle era sempre uguale, liscia, con una sola cicatrice a
sinistra. All’apparenza era sempre finissima e delicata, tanto che sotto le
dita poteva sentire il ritmo con cui il cuore pompava in basso tutto quel
sangue, quello che stava nutrendo un esserino minuscolo, non più di un ammasso
di roba che forse a vederla lo avrebbe anche impressionato un po’.
«Sasuke-kun…» la sentì
esitare, «da quanto tempo lo sai?»
«Dalla prima volta che hai messo lo zenzero
nella colazione» rispose. E gliel’avrebbe anche portata a letto, quella
maledetta colazione, perché sapeva che le avrebbe fatto bene mangiare un po’
distesa. Lo avrebbe fatto, con tanto di sguardo scocciato, col sonno negli
occhi e i capelli spettinati, ma lei non gli stava permettendo di fare niente
del genere.
Sakura sollevò il braccio, gli posò una mano in
viso delicatamente. Lo accarezzava ed era forte come sempre quando lo faceva,
però la mano tremava più del solito, di un’emozione terribile. Continuò a
sfiorargli i capelli sulla nuca, si fece più vicina ponendosi tra le sue gambe
e poi attirò il viso di lui sul proprio ventre nudo.
Sasuke chiuse gli occhi per un istante, tentando
di godersi la pace sconosciuta che gli avrebbe trasmesso il pensiero che per la
prima volta fossero in tre e tanto vicini. Non ci riuscì benissimo, ed ebbe
appena il tempo di sollevare il viso che Sakura quasi gli crollò tra le
braccia. «Non potevo dirtelo», mormorò, scorata. «Non sapevo come dirtelo perché Tsunade-sama dice
che la gravidanza è ancora a rischio e pur con la sua supervisione ci vorrà
ancora un po’ per essere certi che… per avere la certezza che andrà avanti».
Sasuke annuì velocemente. Si era aspettato
qualcosa del genere, dopotutto. Aveva anche tentato di prepararsi alla notizia,
ma capì che tutti i preparativi non avevano funzionato proprio a dovere.
Altrimenti non avrebbe sentito quel vuoto nello stomaco come se fosse stato lui
ad avere la fossa delle Marianne scavata nella pancia, e se fosse stato davvero
pronto non avrebbe nemmeno sentito quella stretta micidiale nel petto appena il
cuore aveva cominciato a battere impazzito, né avrebbe avuto la gola secca, le
labbra serrate. Forse era vero che per certe cose non c’erano parole adatte,
anche se una volta tanto lui aveva sperato di poterle avere per tutti loro –
per se stesso, per Sakura, per l’esserino minuscolo (per Itachi, per Itachi).
Non disse niente mentre Sakura tentava di
sistemarsi meglio sopra di lui, forse lei gli avrebbe pure suggerito cosa dire.
«Lo so che può sembrarti egoista o sbagliato il fatto che io abbia esitato per
qualche giorno…» spiegò, col poco fiato che aveva in
gola. «Ma tu riusciresti mai a intrappolarmi in un’illusione se sapessi che
ritornare alla realtà per me sarebbe un inferno?»
Sasuke aggrottò appena le sopracciglia,
pensieroso. «No», rispose, dopo un po’, «ma qui non stiamo parlando di
un’illusione che potrei creare per conto mio».
Sakura sussultò, colpevole. «Hai ragione,
Sasuke-kun. Questa… questo, l’abbiamo
fatto insieme». Si piegò un po’ verso di lui, aveva le ciglia umide e le
strofinò sul suo viso. «Volevo dirtelo. Ma ogni volta… non è che mi mancassero
le parole. Solo… quelle che mi venivano in mente non erano mai adatte. Forse
perché riuscivo a pensare solo che non volevo toglierti di nuovo qualcosa di tanto
bello, senza pensare che ora sei più forte, e che anche se durerà per poco
tempo anche tu devi sapere come ci si sente a pensare a…
a lui».
«Lo so».
Sasuke si accorse di saperlo. Sapeva come ci si
sente a pensare a lui, nonostante i
dubbi, pensare solo a lui – a Itachi,
minuscolo, un ammasso di roba terrificante. Sapeva cosa significava avere lo
sguardo fisso su un ventre tanto conosciuto, chiudere gli occhi, sperare che
sarebbe andato tutto bene.
C’era una piccola parte di lui, però, che gli
ricordava una cosa consolante e serena: che tutto ciò di terrificante che aveva
a che fare con Sakura, alla fine, non era niente di pericoloso, o se lo era,
allora era anche bellissimo, bellissimo e pericoloso. Come la prima volta che
l’aveva ringraziata, o le aveva chiesto scusa, e come la volta in cui era stato
costretto a farle capire che l’amava, o come quella in cui per avere la
certezza di essere stato piuttosto chiaro ci aveva pure fatto l’amore; come
quando aveva tentato di metterle l’anello al dito in un’illusione, tanto per
fare una prova, e lei se n’era accorta e poi l’aveva aiutato a sopportare quel
brutto quarto d’ora di imbarazzo con tutte quelle risate di cui sapeva ridere
solo da quando lui era di nuovo in giro.
«Ceniamo?» le chiese, facendola rialzare.
Sakura annuì, un po’ più sollevata. Le aveva
fatto bene parlarne, ce l’aveva scritto in faccia.
E quell’improvviso benessere si piantò
solidamente sulle sue labbra quando aprì il frigo e lo trovò pieno di
stranezze. «Sasuke-kun», rise, incapace di trattenersi. «Che ce ne facciamo di
tutta questa roba?»
Sasuke arrivò in cucina chiedendosi come potesse
non essere chiara la ragione di quella riserva. «Secondo te io posso mai uscire
di notte per soddisfare tutte le voglie che ti verranno?»
«E ci volevano tre marche diverse di salsa di
soia?»
Sasuke le si avvicinò, guardingo, anche un po’
pensieroso. «Di più?»
Sakura si dichiarò offesa, lo riprese esclamando
un paio di volte il suo nome con un’enfasi tutta da lei. Gli diede anche un
pizzicotto sul fianco. Lui le bloccò la mano prima che gli lasciasse un livido
senza nemmeno accorgersene. L’interno del suo polso era liscio, la pelle
finissima. Si sentiva il sangue che scorreva veloce. Sasuke la sentiva sotto le
dita, quella vita, eppure sembrava che stesse esplodendo ovunque. Bellissima.
***
«Sakura-chan, è commovente il modo in cui ogni
giorno decidi di condividere con me la tua colazione», Naruto addentò il resto
del cornetto di Sakura con espressione soddisfatta, gli occhi fissi sul
barattolo di marmellata al centro del tavolo.
«In realtà» cominciò Sakura, un po’ incerta «in
realtà c’è qualcosa di più commovente».
«Hai ragione», commentò lui soddisfatto, gli
occhi brillanti di compiacimento «questa marmellata di more è…»
«Sono incinta».
Naruto la guardò stravolto, con le labbra
sporche di marmellata. In viso aveva un caos meraviglioso che somigliava alla
risata di un bambino. «Ho vinto la scommessa con Tsunade-baa-chan! Lo sapevo
io!»
«Dobe».
«Fatta al vostro matrimonio. Era sbronza, ma comunque. Lo dicevo che nel giro di due
anni sarebbe nato Itachi… lei diceva che vi sareste goduti un po’ la vita,
diceva che lei lo avrebbe fatto nel caso».
«Naruto…» lo interruppe Sakura, a voce bassa.
Con la coda dell’occhio vide il barattolo di marmellata rovesciato, poi sentì
una stretta fortissima attorno alle spalle: Naruto le si era praticamente
rovesciato addosso.
«Avevi ragione Sakura-chan» brontolò nei suoi
capelli, prima di allontanarsi un po’ imbarazzato. «Questo è più commovente. E
Sasuke tu…» Naruto fu sul punto di buttarsi anche
addosso a lui. Allungò le braccia nella sua direzione, anche se Sasuke
sventolava la mano per farsi aria e tenerlo lontano. Naruto dovette prenderla
sul personale, al punto da non calibrare lo slancio seguente. In qualche modo,
la sedia di Sasuke finì riversa sul pavimento, con loro due spiaccicati a terra
poco distanti, a provare le gioie del parquet di casa Uchiha
dopo aver fatto scricchiolare le nocche delle mani. Un pugno, ci voleva solo un pugno. Sembrò che quel pugno fosse
destinato a durare due o tre eternità.
Naruto si rialzò lentamente, dopo un momento di
riflessione. Lo sguardo rimase fisso su Sasuke fino a quando entrambi
riuscirono a reggere il panico di condividere qualcosa di tanto delicato.
Sakura in quell’istante capì che Naruto sapeva
tutto. I pugni dicevano tutto. Era
sempre sorprendente il modo in cui quei due riuscivano a parlarsi sfiorandosi
un po’ le dita, con una forza fuori dal comune ma senza farsi troppo male, non
più.
«Guardate che andrà bene» si riprese Naruto. «Sicuramente.
Non c’è motivo di preoccuparsi. Tra qualche mese Itachi ci spaccherà i timpani,
e Sasuke sarà costretto a imprecare in un’altra lingua per non dare il cattivo
esempio. E poi Itachi dirà Naruto come
prima parola, e lo riempiremo di regali a Natale. Imparerà a camminare in
questa stanza, e tu Sakura gli racconterai un sacco di storie assurde davanti
al caminetto con lui che fisserà le fiamme e probabilmente già a due anni
invece di interessarsi alle tue storie penserà a come imparare il katon. E… uh,
quando sarà un po’ più grande dovrò condividere questa marmellata paradisiaca
con lui, ma sono disposto a farlo. A patto che io sia il suo padrino. E poi gli
insegnerò il rasengan...»
«Figurati» sibilò Sasuke, minaccioso, eppure
aveva un sollievo nuovo negli occhi. Sakura lo conosceva bene: era come una
specie di libertà, quella che gli donava Naruto, la libertà di sperare senza
lasciarsi soffocare dalla paura.
Naruto gli porse la mano per farlo rialzare. Poi
parve pensarci su, corse verso la porta. «Torno subito. Devo fare una scommessa
con Tsunade-baa-chan».
«Dobe».
«Naruto, datti una calmata ora» Sakura tentò di
acciuffarlo prima che fosse troppo lontano. Anche se a onor del vero era quasi
rassicurante sapere che Tsunade avrebbe scommesso contro Naruto: lei perdeva
sempre, e lui era sempre quello ottimista.
«Scommetto che Itachi risveglia lo sharingan un anno prima del teme».
Sakura ne sorrise, bloccò sul nascere le
imprecazioni di Sasuke ponendogli due dita sulle labbra.
Lo sapevano tutti e tre cosa significava quella
scommessa: Itachi vivrà. E sarà in
salute. E avrà occhi capaci di vedere tutto. Come Sasuke. E passerà un sacco di
tempo a farvi sentire bene solo guardandovi. Come Sakura.
E
questa tecnicamente è la prima parte. Nel prossimo capitolo c’è una raccolta di
momenti, uno per ogni mese di gravidanza.
Pace mia,
gravidanze e bambini mi fanno tremare al solo pensiero. Inorridisco, proprio. Per
me sarebbe stato più facile scrivere una Sasu/Zetsu. Ma pare che Sasuke avesse un incontrollabile
desiderio di riprodursi. E ogni suo desiderio è ordine!