CBA
«Harper,
perché non ammetti semplicemente che ci sei rimasta male?». Non ne potevo più; da una
settimana continuava a rispondermi male per ogni cosa che dicevo, ignorandomi e
urlando contro le peggiori cose che nemmeno pensava, solo per sfogarsi. Avevo
lasciato correre, ma dopo una settimana iniziavo a stancarmi quando urlava che
ero un idiota solo perché avevo appoggiato un coltello di fianco al cucchiaio
dentro al cassetto –e non vicino alla forchetta come lei aveva deciso fosse
giusto.
«Non
capisco davvero di cosa tu stia parlando».
Fece spallucce, continuando a sfregare con forza su quel piatto su cui ormai ci
si poteva specchiare sopra da quanto lucido era. Mi avvicinai a lei,
appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina e incrociando le braccia
al petto, sperando che si sbloccasse e iniziasse a sfogarsi per poi ritornare
normale. «Che c’è?» sbottò, sentendosi osservata.
«Uscivate
assieme da due mesi, è normale che tu un po’ soffra, non è qualcosa di brutto,
ok? Puoi dirlo, sono il tuo migliore amico». Cercai di sorriderle per tranquillizzarla, ma conoscevo
Harper tanto da sapere che avrebbe finto di nuovo, come se non le fosse
interessato nulla di Noah.
«Guarda,
per me può andare dove vuole, può trovarsi qualcuna con più tette. A proposito…
la ragazza che era venuta qui la settimana scorsa? Perché non l’ho più vista?». Cambiare discorso era la tattica
preferita di Harp, perché credeva ogni volta di potermi far dimenticare di che
cosa stavamo parlando. La guardai risciacquare il piatto e subito dopo iniziare
ad asciugarlo con movimenti meccanici, in attesa di una mia risposta.
«Chi,
Alexis? No, non ha funzionato. Era inquietante, delle volte sembrava parlare
con i morti, come il bimbo del Sesto
senso». Rabbrividii,
ricordando quella strana ragazza e il suo insolito modo di comportarsi. Dopo
essere uscito con lei un paio di volte e aver capito che non era interessata a
me per qualche delusione passata di cui non mi aveva parlato, avevamo deciso di
troncare.
«Mi
dispiace» mormorò, facendo
una smorfia buffa che mi fece ridere. «Che
c’è?». Sembrava sorpresa
della mia risata, o forse semplicemente non capiva perché avessi iniziato a
ridere quando avevamo parlato di Alexis.
«No… è che
sono io quello dispiaciuto per te, ti vedo triste e mi dispiace. Alexis l’ho
vista solo un paio di volte, Noah invece… be’, lui c’era spesso qui, no?». Non sarebbe riuscita a farmi
andare di nuovo fuori strada. Avevo intenzione di parlare con lei riguardo Noah
e il loro aver rotto, non mi avrebbe fregato. La vidi sbuffare, prima di
asciugarsi le mani su un canovaccio che lanciò dietro di lei, arrabbiata.
«Sai cosa?
Non è nemmeno che mi dispiaccia troppo per Noah. Cioè, non sono così scema da
fingere di non esserci rimasta male, però, ecco… più che altro è perché sento
il bisogno di una trombata e di un abbraccio» concluse, facendo spallucce.
«Posso
offrirti l’abbraccio e sono sicuro che Wilson potrà soddisfare l’altra tua
richiesta» scherzai,
allargando le braccia in attesa che si avvicinasse a me per stringermi. La
sentii ridere mentre le sue braccia stringevano il mio busto e strofinava il
suo naso sul mio petto. Era il tipico abbraccio di Harper, perché ci eravamo
sempre abbracciati così, fin dall’asilo. Io le lasciavo un bacio tra i capelli
e lei strofinava la punta del suo naso contro la mia maglia, da destra a
sinistra.
«Grazie
Jar, ti voglio bene» mormorò,
baciandomi la guancia prima di tornare in sala e sedersi sul divano,
accendendosi la TV per sorridere davanti a un vecchio film horror che le
piaceva. Scossi la testa con un sorriso, sapendo che Harper era così testarda
da fare esattamente quello che voleva. Avrei potuto dirle mille volte che
doveva uscire e divertirsi, ma l’avrebbe fatto solo se ne avesse veramente
avuto voglia.
«Dovresti
uscire. Perché stasera non esci con noi? Ci comporteremo bene, niente discorsi
porno su di te da parte di Wil, vedrai che Joe non glielo permetterà» sghignazzai, giocherellando con i
pantaloni della tuta che indossava. Le accarezzai la gamba, giocando con il suo
polpaccio lungo e affusolato.
«Hai
ragione. Stasera esco, vado a caccia. Metterò quegli strumenti di tortura e mi
truccherò. Sarò così femminile che non mi riconoscerò nemmeno. Il mare è pieno
di pesci e stasera io lancerò l’amo con un grosso verme per prendere il pesce
più grande. Se ne abboccano due o tre meglio, più pesci con un solo verme». Avrei tanto voluto spiegarle che
non era un verme ma un’esca quella che si usava per pescare, ma sapendo che
Harper aveva la fobia dei vermi non discussi nemmeno, lasciando che continuasse
con il suo discorso. «Che ne
dici, mi metto la gonna stasera? Insomma, sono più trombabile con una gonna o
un paio di pantaloni? Forse con una gonna, perché un uomo pensa “hop” e sa che
ha la via più facile. Sì, mi metterò una gonna, magari un bel vestito». Non riuscii a trattenere una
risata quando mimò di alzarsi una fantomatica gonna a quell’hop e appoggiai il capo al divano,
abbandonandomi a una risata.
«Harp… non
è che tu diventi trombabile perché hai una gonna o meno. Di solito non si
guarda quello…». Almeno, le
doti di una ragazza che mi colpivano erano diverse, ma non mi lasciò finire la
frase, sventolando la mano davanti alle mie labbra e ammonendomi con l’indice
dell’altra.
«Senti, lo
so che voi vi eccitate per un paio di tette, ma non ce le ho, devo vendere la
mia merce. Farò una foto con un uomo a caso e la posterò su Facebook». Si alzò dal divano, sistemandosi
i pantaloni che si erano alzati fino al ginocchio. Ma che cosa stava dicendo? Da
quando si era trasformata in una ragazza che si trombava uno conosciuto in
discoteca e metteva le foto in un social network per far ingelosire Noah?
«Harper,
non sei in te, forse è meglio se questa sera rimani a casa, dico sul serio». Mi stavo preoccupando per lei.
Se la conoscevo, o meglio, se conoscevo i suoi metodi per sfogarsi, si sarebbe
ubriacata come minimo.
«Sono in
me anche troppo. Sono single, carica e in astinenza: stasera si tromba. Vado a
farmi una doccia». La
conferma di quanto Harper fosse deviata e distrutta in quel momento arrivò
quando, dal piano superiore sentii una vecchia canzone di Natasha Bedingfield
al posto dei Metallica. Quello che però mi preoccupò più di tutto fu sentire la
passione con cui Harp cantava sotto alla doccia.
Preoccupante in modo
spaventoso era la definizione migliore per definire la situazione di Harper
quel giorno.
«Jar, è il
momento dei consigli» urlò
Harper quasi un’ora dopo, scendendo le scale di corsa. Sbuffai, mettendo in
pausa il film che stavo vedendo e togliendomi gli auricolari per sentire che
cosa avesse da dire. La situazione si dimostrò molto peggiore di ogni mia
previsione quando Harper, con un miniabito nero, camminò fermandosi davanti a
me e abbassando lo schermo del pc perché voleva avere tutta la mia attenzione. «Devi essere sincero, non mi
offenderò, d’accordo? Dimmi che cosa pensi di questo abito». Fece un giro su se stessa,
lasciando che mi prendessi tutto il tempo per guardarla.
«Harp…
puoi vestirti come vuoi, ti sta bene tutto» tagliai corto, guardando il preoccupante ammasso di vestiti
che aveva appoggiato sul divano, di fianco a me. La mia risposta sembrò non
piacerle, perché sbuffò e posò le mani sui fianchi, con aria scocciata. «D’accordo, sarò rude. Se vedessi
una ragazza con questo vestito penserei che… è uscita di venerdì sera per
divertirsi» spiegai,
guardando il bordo del vestito che le arrivava a metà coscia.
«Cazzissimo
no, non è quello che voglio. Devo conquistare, devo essere sexy. Devo essere
talmente sexy che i minorenni non potranno nemmeno guardarmi. Vado a provare un
altro vestito» spiegò, sparendo
velocemente con un vestito rosso prima di tornare. «Allora? Sincero di nuovo» sbottò, tornando a ruotare su se stessa per un mio giudizio.
«Sembri
una di quelle che te la fa vedere ma non toccare, Harp». Inutile mentire, tanto sapevo che mi avrebbe rotto fino a
quando non le avessi detto la verità. Scandalizzata perché convinta che quel
vestito la rendesse sexy a dismisura, tornò con un vestito grigio, attillato e
corto. Faceva risaltare i suoi occhi verdi e rendeva le sfumature dei suoi
capelli ancora più vivide. «Con
questo sei molto… sexy. Se uno ti vede pensa che se sa conquistarti potrà
trombarti. Però se ti muovi troppo ti esce il culo» notai, quando alzò le braccia in segno di vittoria. Il
vestito infatti era salito, arrivando appena sotto la curva del suo sedere.
«Perfetto.
Ottimo. Grazie Jar, utile come sempre».
Si accucciò per darmi un bacio sulla guancia e inevitabilmente guardai la sua
scollatura che mi offrì una chiara visuale delle sue nontette, fino
all’ombelico.
«Mal che
vada piegati a novanta così, visto che ti si vede anche l’ombelico» scherzai, facendole capire che
non doveva muoversi troppo con quel vestito visto che saliva dietro e si
abbassava davanti. Non era di certo il vestito che le avrei consigliato di
indossare se avesse avuto un ragazzo; io stesso sarei stato geloso che qualcuno
la guardasse con quel vestito addosso.
«Non mi
piegherò a novanta allora, visto che sono comunque ingrassata e ho la pancia
che supera le nontette. Sono a dieta, a proposito. E comunque… Jar posso farti
una domanda personale?». Si
sedette di fianco a me sul divano con uno sbuffo, come se rimanere in piedi con
quel vestito fosse stata per lei un’impresa titanica. Forse lo era davvero,
visto che indossava un paio di scarpe con il tacco rispetto alle Vans che
portava abitualmente tutti i giorni.
«Personale?
Perché quando parliamo del fatto che stasera tromberai non stiamo facendo
domande personali?»
sghignazzai mentre mi tirava un pugno sul braccio perché la mia battuta
probabilmente le era sembrata scema. «Avanti,
fammi questa domanda personale»
acconsentii, prendendo un respiro profondo e preparandomi a qualche scemata
colossale tipica di Harper.
«Non ti
manca fare sesso? Cioè, sei single da più di me e sei un uomo. D’accordo, ci
sono i film porno, ma non è la stessa cosa, no?». Era seria, incredibilmente seria; talmente seria che iniziai
a ridere, ricevendo un nuovo pugno che mi fece sbottare per il dolore. «Sei stupido, era una domanda
seria. Cretino». Incrociò le
braccia sotto al seno, in un gesto irritato che mi fece ridere più forte,
aumentando la sua rabbia verso di me.
«D’accordo,
ok». Mi schiarii la voce,
cercando di ritornare serio, lentamente. «Harp, certo che mi manca. E in ogni caso che c’entrano i film
porno? Mica guardo i porno io» mi difesi, agitando la mano perché non mi interrompesse, visto che sapevo che
cosa voleva dirmi. «Semplicemente
una settimana in più non mi cambia, se proprio vedo che non resisto vado al motel
e chiedo a qualche signorina se mi fa compagnia» scherzai, mantenendomi però serio. Mi piaceva vedere lo
sguardo di Harper stupita: sgranava gli occhi e le sue labbra producevano un
cerchio perfetto.
«Sei un
maniaco sessuale. Tu andresti con una… prostituta?». Pronunciando l’ultima parola abbassò la voce, come se fosse
stato qualcosa che non si poteva dire. Mi fece ridere di nuovo, visto che delle
volte diventava improvvisamente pudica, come se non parlassimo mai di sesso e
di tutti i derivati. «Non le
voglio sentire queste cose, dico davvero. Io esco, sta a casa e guardati un
porno, per carità. Ci vediamo… non lo so quando!» esultò, felice. Mi diede uno schiaffo in testa invece di
baciarmi la guancia come al solito. Sospettavo che fosse perché temeva dicessi ancora
qualcosa delle sue nontette.
Ridendo dopo la pedata che le avevo dato sul sedere mentre
passava davanti a me, uscì di casa, traballante sui tacchi; lasciandomi a Gangs of New York, visto che mi aveva
interrotto un’ora prima per decidere quale vestito indossare.
Stavo giocando con l’X-Box, dopo aver mangiato gli spaghetti
di soia avanzati dal giorno prima –visto che i ragazzi avevano deciso di uscire
con le pollastrelle che avevano adocchiato-, quando il mio cellulare iniziò a
suonare, facendomi interrompere il gioco con uno sbuffo irritato. Perché cavolo
Joe o Wilson –visto che ero sicuro si trattasse di loro –mi stavano chiamando a
mezzanotte e mezza? Wilson non era uscito con Alyssa? Be’, perché non se la
stava spassando con lei?
Quando però vidi il nome sullo schermo lampeggiante, sgranai
gli occhi, preoccupato.
Harper.
«Harper
che succede?» domandai
spaventato, senza nemmeno salutare. Perché mi stava chiamando se era andata a cacciare? Che fosse successo qualcosa?
Che qualcuno le avesse fatto male? Mi alzai dal divano irrequieto, aspettando
una sua risposta che tardò un po’ troppo ad arrivare.
«Jedi… mi
son-persa» ridacchiò Harper,
togliendomi un peso dal petto perché temevo che qualcuno le potesse aver fatto
del male, ma rendendomi irrequieto perché non sapevo dove diavolo fosse.
«Come ti
sei persa? Dove sei?» domandai,
guardandomi attorno per cercare le chiavi di Pixie. Sarei andato a prenderla,
anche se fosse stata a Tijuana. La sentii ridere e borbottare qualcosa senza
senso, tanto che mi spaventò. «Harp?
Harp tutto bene?» chiesi,
alzando il tono della voce perché potesse sentirmi e soprattutto rispondermi. «Harp quanto cazzo hai bevuto se
non riconosci nemmeno la strada di casa, cazzo» brontolai, tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla e
mettendomi il portafoglio in tasca.
«Jedi, c’è
un grassone stronzo che non risponde alle mie domande» piagnucolò improvvisamente, sull’orlo di una crisi di pianto.
No, la sbronza triste no. Quando Harp si ubriacava e diventava triste era la
fine, iniziava a fare discorsi semiseri alternati a parolacce e finiva per
piangere. «Ehi, grassone con
i baffi e il cappello bianco, dimmi dove siamo, ti prego». La sentii singhiozzare e cercai di concentrarmi per capire
dove potesse essere, ma le strade dal bar a casa erano così tante che non
sapevo a quale incrocio avesse svoltato. «Smettila di stare qui impalato con quella cosa in… in mano.
Dimmi dove siamo». Sentivo
Harper urlare nonostante non avesse il cellulare vicino alle labbra.
Grassone con i baffi e cappello bianco, immobile… che fosse?
«Harp, il
grassone ha una pizza in mano?»
domandai, sperando che riuscisse a sentirmi tra le sue urla per far parlare
l’uomo e i clacson delle macchine che suonavano passandole di fianco. Chiusi la
porta di casa alle spalle correndo fino alla macchina e accendendo il motore
quando sentii Harp rispondere che sì, aveva una pizza in mano. In pochi minuti
feci quei due isolati, arrivando davanti alla pizzeria da asporto e trovando
Harper abbracciata al finto cuoco. Le avrei volentieri fatto una foto, se non
fosse stata mezza addormentata e stravolta.
«Jedi?» domandò, quando mi avvicinai a lei. Si alzò in piedi a
fatica, allontanandosi dalla statua e avvicinandosi a me con circospezione. «Sì, Jedi» sorrise, quando fu abbastanza vicino da riconoscermi. «È stato un piacere, Antonio, sei
stato l’uomo più gentile che io abbia incontrato stasera». Fece un paio di passi indietro, avvicinandosi alla statua e
lasciando una pacca sulla spalla prima di avvicinarsi a me con un sorriso. «Come butta, bello? » domandò, abbracciandomi perché
stava rischiando di cadere dai tacchi che indossava.
«Quanto
cazzo hai bevuto Harp?».
Cercavo di sorreggerla con un braccio, ma non era facile visto che ciondolava a
destra e a sinistra, sbilanciandomi. Era magra, certo, ma a peso morto non era
facile farla stare in piedi.
«Bevuto… una
birra, un mojito, due tequila e… non ricordo più» concluse, iniziando a ridere di nuovo e abbracciandomi mentre
cercavo di farla salire in macchina con qualche difficoltà. «Sai Jedi, il problema è che… che…
il problema è che proprio… non mi ricordo quello che dovevo dire». Un nuovo attacco di risa mentre
le agganciavo la cintura di sicurezza, sistemando il lenzuolo bianco che c’era
sopra al sedile del passeggero. Camminai velocemente fino ad arrivare allo
sportello del guidatore e salii al posto di guida quando Harper parlò di nuovo.
«Adesso ti devo chiedere una
cosa. Quando trombi in macchina tieni questi teli perché non si sporchino i
sedili?». Si slacciò la
cintura di sicurezza, girandosi con le spalle verso il parabrezza, con il
sedere in alto. Stava cercando di togliere il vecchio lenzuolo che avevo messo
per proteggere i sedili di Pixie.
«Harper!
Siediti bene» urlai
preoccupato, quando, dopo aver frenato la vidi sbattere la testa contro il
sedile e rimanere con il sedere alto. Si alzò lentamente, tenendo una mano
davanti alle labbra, come se… «Se
vomiti dentro Pixie giuro che ti uccido, me lo dici e accosto o apri il
finestrino e ti sporgi fuori».
La vidi annuire e aprire il finestrino per prendere un respiro profondo. «Stai male?» domandai, piegandomi verso destra per appoggiarle una mano
sul fianco: temevo che potesse cadere e farsi male, visto che non stavo
correndo lentamente.
«Tutto ok,
mi viene da vomitare, va a casa».
Agitò la mano all’interno dell’auto fino a quando la strinsi con la mia perché
non scivolasse. Sapere che Harp era stretta alla mia mano mi faceva sentire più
sicuro, perché non l’avrei mai lasciata andare. Parcheggiai l’auto nel vialetto
di casa e tirai un sospiro di sollievo quando Harper tornò a sedersi sul
sedile, arrotolandosi il lenzuolo sulle spalle perché aveva freddo. «Ho fame» si lamentò, mettendo il broncio. Tipico di Haper voler
mangiare dopo essersi sbronzata; sapevo però che sarebbe stata ancora più male
se avesse assecondato quella sua voglia, così decisi che era decisamente meglio
seguirla in cucina, prima che iniziasse a cucinare qualcosa di strano.
Si avvicinò però alla credenza con le caramelle, prendendo
un pacchetto di M&M’s che avevamo comprato un paio di giorni prima, quando
l’avevo obbligata a uscire di casa per fare la spesa con me. «Mettile
giù subito, sei ubriaca» ordinai,
avvicinandomi a lei quando la vidi mangiare una manciata di caramelle senza
nemmeno controllare di che colore fossero. Strano, doveva essere davvero
ubriaca e disperata per non controllare di mangiarne l’esatta quantità di ogni
colore.
«No, voglio mangiarle tutte». Si allontanò di un passo, sporgendo il labbro
inferiore come se fosse stata una bambina piccola e testarda che voleva fare di
testa propria. Quando avanzai per raggiungerla, iniziò, da scema, a correre per
scappare da me. Ci ritrovammo così, in piena notte, a correre attorno al tavolo
della cucina come due idioti.
Iniziai
a ridere per quella situazione scema e, sorreggendomi al tavolo perché mi
mancava il fiato per la corsa ma soprattutto per la risata, cercai di fermare
Harper, prima che iniziasse a vomitare sul pavimento della cucina. «Harper,
metti giù quelle stupide caramelline».
Riuscii a raggiungerla con un passo un po’ più lungo degli altri e a pochi
centimetri dal sacchetto, quando ormai ero sicuro di averlo preso, Harper
indietreggiò all’improvviso, lasciando che la mia mano si stringesse catturando
solamente aria.
«Non osare! Non chiamarle più caramelline! Sono
preziose arachidi ricoperti di cioccolato e caramellate». Si portò il sacchetto giallo di fianco alla guancia,
accarezzandolo con gli occhi socchiusi e un sorriso idiota sulle labbra. Era
davvero ubriaca. «Lasciami morire da sola
con il cioccolato» bisbigliò, prima di
prendere una nuova manciata di M&M’s e mangiarle assieme. «Voglio morire grassa e sola, colorata dal colorante
delle M&M’s».
«Harper»
sussurrai, aiutandola a sedersi sul divano e togliendole il sacchetto dalle
mani senza che se ne accorgesse. «Mi vuoi
dire che diavolo è successo stasera? Deve essere stato grave per averti fatta
sbronzare così» mormorai tra me e me,
spostandole una ciocca di capelli che non mi permetteva di vedere il suo viso
completamente. C’era solamente la luce emanata dalla lampada dietro di lei che
donava strane sfumature ai suoi capelli e creava giochi di ombre e luci sul suo
viso, rendendone i tratti ancora più eterei rispetto al solito.
«Cosa è successo? Semplice, mi hai fatto indossare il
vestito sbagliato. Ammetti che hai fatto apposta perché non volevi che qualcuno
mi notasse. Sono entrata in quello stupido pub da sola, e già questo doveva far
capire quali erano i miei intenti, ho iniziato a ballare e c’erano due ragazzi
carini. Quando mi sono avvicinata a uno mi ha sorriso, ha ballato un po’ con me
e poi se ne è andato perché era arrivata la sua ragazza. L’avrei strozzato,
poteva dirmelo no? Allora ho puntato l’altro. Bello Jar, era bello. Biondo,
occhi azzurri, braccia muscolose, vene sulle braccia e sulle mani come
piacciono a me, quelle che mi fanno pensare alle porcate. Aveva una camicia
aperta sul petto e non vedevo nemmeno i peli, giuro che l’avrei limonato lì in
mezzo alla pista. Abbiamo ballato per un paio di canzoni a distanza, poi lo
vedevo sempre sorridere, così mi sono avvicinata a lui e cavolo… hai capito no?
Insomma non gli ero indifferente fisicamente. Non ho capito più niente e mi
sono fatta ancora più vicina a lui, ma improvvisamente mi sono accorta che non
stava sorridendo a me, non si era nemmeno accorto di me, visto che i suoi occhi
erano puntati addosso a un altro ragazzo, dall’altra parte del locale. Capisci
Jar? Era gay. Mi sono strusciata addosso a un gay». Si portò una mano tra i capelli, disperata per
quello che era successo. Se non fosse stata ubriaca e in procinto di piangere,
avrei iniziato a ridere per quella situazione, ma non me lo permise, perché
iniziò a parlare di nuovo, con gli occhi pieni di lacrime tanto che piegai
leggermente il capo, stringendo la mia mano tra le sue. «Sono così brutta Jar? Che cos’ho di sbagliato che fa
allontanare tutti da me? Non dico di essere una modella, non sono nemmeno
bellissima, ma speravo che qualcuno riuscisse a notarmi, invece sono proprio
invisibile, inscopabile forse è il
termine giusto. Che cosa mi manca per farmi notare dagli uomini? Tu sei un
uomo, dimmi dove sbaglio». Vidi una
lacrima scivolare sulla sua guancia e istintivamente la levai con il pollice,
alzando il suo volto delicatamente perché potesse guardarmi negli occhi.
«Harp, alcuni ragazzi guardano solamente la scopabilità, non si tratta nemmeno delle
nontette e credimi che ne ho viste di molto più brutte di te che se ne andavano
nel retro del locale. Semplicemente per quanto tu possa fingere di essere una
facile, si vede e sempre si vedrà che sei una ragazza semplice e che non
cederebbe la sera stessa. Chi cerca solo del sesso lo capisce e quindi cambia
preda, non è colpa tua». Cercai di
sorridere e vidi Harper scuotere la testa, sconfitta.
«Ho solo bisogno di sfogarmi un po’, è da troppo che
non trombo e ho bisogno di sfogarmi, senza impegno. È possibile che nessuno lo
capisca? Non si nota questa cosa? Non ci sono tipo dei prostituti o delle cose
così per noi donne? Magari in internet trovo qualcosa». Cercò di alzarsi dal divano per prendere il PC, ma
ricadde, non riuscendo a reggersi in piedi perché la testa le girava troppo a
causa dell’alcol bevuto.
«E tu cadresti così in basso, Harp? No, non sei così» mormorai, cercando di farla ragionare. Sapevo che il
giorno dopo non avrebbe ricordato niente di tutta quella conversazione, ma non
potevo lasciare che accendesse il PC e scrivesse a non sapevo nemmeno chi, di
trovarsi in qualche stupido motel.
«Jedi» urlò
all’improvviso, battendo le mani come se avesse avuto un’illuminazione. «Tu sei un uomo, non hai una donna da troppo e ti
conosco. Forza Jedi» si sfregò le mani,
girando lentamente la testa verso di me, «fammi
vedere la tua spada laser. Voglio farla illuminare». Portò le mani sul bordo inferiore del suo vestito,
cercando goffamente di alzarlo.
«Ehi, ehi! Harp! Che diamine fai?» domandai allarmato, appoggiando le mie mani sulle sue
perché non potesse continuare a spogliarsi. Che cosa stava dicendo? Stava
davvero proponendo che noi… no. Era l’alcol a parlare, erano i suoi ormoni e la
consapevolezza che ero un uomo e che quindi sarei stato in grado di soddisfare
il suo bisogno.
«Mi spoglio. Trombiamo. Tu non mi trovi attraente?». Tentennai nel risponderle, cercando di trovare le
parole giuste per non offenderla. Non si trattava di trovarla attraente o meno,
semplicemente… era Harper, non l’avevo mai vista come una vera donna, solamente
come Harper e basta. «Non mi trovi
attraente, ho capito. Non sono scopabile, logico». Fece spallucce, delusa da me e mi sentii in dovere di spiegarle la
situazione perché mi dispiaceva vederla soffrire, soprattutto se accadeva a causa
mia.
«No, Pri, non è questo. Non sto dicendo che tu non sia
scopabile, il discorso è semplicemente che…» non terminai la frase, perché, con una strana luce negli occhi, Harper
mi fece una delle domande che non mi ero mai volutamente posto, in tutta la mia vita.
«Quindi tu
tromberesti con me, se te lo chiedessi?».
Salve
ragazzuole!
Mi
scuso per l’infinito ritardo tra il primo capitolo e questo; giuro solennemente
che gli altri aggiornamenti arriveranno prima, credetemi!
Per
quanto riguarda You
saved me: ho pubblicato la OS finale che s’intitola I’m not a
coward… se a qualcuno interessa.
Passiamo
al capitolo… non ho molte cose da dire.
Alexis
è un chiaro riferimento a YSM e anche il motivo per cui non ha funzionato tra
Jared e lei…
Gangs
of New York
è un film di Scorsese ambientato a New York (ma vah?) nella nascita dei Five
Points, criticatissimo per diversi motivi.
E…
mi pare non ci sia altro, credo.
Quindi
vi ringrazio per la meravigliosa e numerosa accoglienza che avete dato a questa
storia e spero che non vi deluda e che continui a piacervi!
E
mi scuso anche per il linguaggio volgare!
Come
sempre ricordo il gruppo spoiler: NERDS’ CORNER, vi
ricordo che accetto tutti.
A
presto.
Rob.
|