Ventiquattranni

di Duca di Curadore
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A ventiquattr'anni forse miei,
non raccattar luci buttate via
due nei e tre capelli canuti
ti fan poca nostalgia credi
 
Tra musi in brandelli sfusi
ghigni orrendi da serpi scure
tranelli in luridi miasmi,
dammi forze tempo eterno!
 
Qua mura crollano sorde
moti sommi aprono cieli,
tonfi su suoli aridi,
da capitomboli ripetuti
su bassi gradini mondani.
 
Se blu era l'oceano infante
ora per me salmastro pozzo, 
e tu dici -ammira l'astro!-,
ma rozzo č il raggio suo qui
 
il Sole latita nella valle
sale la caligine antica,
passi meno la mela d'amore,
in doglie non chiedo che veleno.




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