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Capitolo 27.
Washington, D.C.
Spencer continuava a guardare il piatto, innervosito dal silenzio che
c'era fra loro fin da quando era passato a prenderla in biblioteca. Si
rendeva conto che quella tensione proveniva da lui e che Hope era
sconcertata dal suo modo di comportarsi di quella sera. Nonostante
fosse normale per loro non parlare del lavoro presso la B.A.U., in quel
frangente si sentiva come un bambino che cerca di nascondere una
marachella.
Era assurdo, se lo era ripetuto fino alla nausea. Fra lui ed Austin non
era successo niente, faceva parte di un caso e tutta la squadra si era
ritrovata a correre contro il tempo per salvarla, fine della questione.
Oppure no? In fin dei conti, la ragazza aveva chiamato lui, a lui aveva
inviato indietro il biglietto da visita con l'impronta delle sue
labbra... Era logico supporre che si fosse aspettata qualcosa di
più di un "grazie dell'aiuto, buona fortuna". A sua discolpa
poteva dire di aver messo le cose in chiaro non appena aveva percepito
la possibilità di essere frainteso... o almeno era quello che
continuava a dirsi.
In realtà avrebbe dovuto fermare quella cosa molto prima, nel
locale dove l'aveva conosciuta. Per l'esattezza quando lei gli aveva
chiesto se poteva richiamarlo anche se non vedeva l'S.I., avrebbe
dovuto rispondere di no. Avrebbe dovuto dirle chiaramente "Mi dispiace,
ho già la ragazza". Ed ora si sentiva in colpa in modo assurdo,
anche perché non l'aveva mai sfiorato l'idea di andare oltre
quelle semplici battute con la bella barista.
Maledisse di nuovo Morgan per il suo continuo sfidarlo, giusto per
vedere se il timido ed impacciato dottor Reid potesse essere
all'altezza di situazioni che esulavano dalla normale routine del loro
lavoro. Bell'amico! Il moro sapeva benissimo che frequentava Hope,
eppure l'aveva sfidato apertamente a cercare di rimorchiare la barista.
E lui era stato ancora più stupido accettando di stare al gioco
e flirtare con Austin. Si chiese per l'ennesima volta cosa l'avesse
spinto ad un comportamento così assurdo e che metteva a rischio
il suo rapporto.
Un altro pensiero gli attraverso la mente. Quello che Hope non sapeva
non poteva ferirla. Perché rischiare di farle del male? Solo per
alleggerirsi la coscienza? Sarebbe stato da egoisti, nonché da
irresponsabili. Meglio tenersi la cosa dentro e cercare di dimenticare,
si era già comportato male anche senza l'intenzione di farlo.
Voleva aggiungere alle sue colpe anche il fatto di aver spezzato il
cuore a quella ragazza così dolce?
Alzò finalmente lo sguardo verso la bella bibliotecaria e le
regalò un sorriso raggiante, posò la forchetta ed
allungò una mano attraverso il tavolo. Sapeva di poter essere
migliore di così, sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per
renderla felice ed aveva intenzione di cominciare a concentrarsi solo
ed unicamente sulla sua compagna. La ragazza intrecciò le dita
con quelle del profiler e ricambiò il sorriso, reclinando
leggermente la testa di lato.
- E' stato un brutto caso?
- Preferirei non parlarne - era la sua battuta standard in quei
frangenti - Perché, piuttosto, non mi racconti cosa hai fatto
mentre ero via?
- Le solite cose - con la forchetta cominciò a spostare le foglie di insalata nel piatto.
- L'esame su Kant?
- E' andato bene, ma credo sia dovuto al fatto che ho avuto un ottimo
insegnante che mi ha dato ripetizioni - rispose lei tutta sorridente.
- E' un piacere dare ripetizioni ad un'allieva così diligente.
Una volta rotto il ghiaccio, parlarono tranquillamente per tutta la
durata della cena e l'atmosfera divenne più rilassata.
All'uscita dal ristorante, trovando la temperatura ancora mite e
piacevole, Spencer propose una passeggiata. Proposta che Hope
accettò senza esitazioni, prendendolo sotto braccio e camminando
appiccicata a lui.
Spencer continuava a meditare su come fosse difficile dire certe cose.
Esistevano parole in grado di esplicare determinati concetti, ma poi
non era facile tirarle fuori in alcune situazioni. Eccolo lì in
macchina sotto casa di Hope e nonostante avessero parlato durante tutta
la cena e la passeggiata che era seguita, lui non era stato in grado di
dire ciò che veramente gli premeva.
Aver capito cosa provava per la ragazza seduta al suo fianco non era
cosa da poco, ma per poterlo esternare veramente avrebbe dovuto tirare
in ballo Austin e Atlanta. Come dire alla propria ragazza che si
è capito di amarla solo quando si ha avuto la possibilità
di tradirla? Non sapeva darsi una risposta. Aveva visto Hope scendere e
infilarsi nel portone dopo il bacio della buonanotte, aveva atteso di
vedere le luci dell’appartamento della ragazza accendersi e poi
non era riuscito a rimettere in moto la macchina.
Era fermo lì, con le mani sul volante a pensare. Idee andavano e
venivano nella sua mente, insieme a ricordi sovrapposti del suo passato
e di come avesse sempre permesso alla sua mente di frapporsi fra lui e
la vita. Si rimproverava di riuscire sempre e solo a stare fermo a
riflettere sulle conseguenze: mai un’azione avventata, mai un
colpo di testa. Quelle erano cose che faceva Morgan, non il mite e
tranquillo dottor Reid.
Era quello che veniva preso sempre ad esempio quando si consigliava a
qualcuno di essere più riflessivo. “Guarda Reid” era
la tiritera che sentiva ripetere fin dai tempi della scuola, quando era
stato un emarginato perché nessuno voleva avere a che fare con
un genio dodicenne che frequentava già l’ultimo anno di
superiori. Poi c’era stata l’università ed ancora
lui preso ad esempio come quello che consegnava sempre i compiti con
giorni di anticipo. Si era sempre sentito orgoglioso di questo fatto,
finché non aveva sentito uno dei ragazzi più popolari del
college mormorare fra i denti “certo che consegna i compiti in
tempo, quello una vita non ce l’ha”.
Si chiese se fosse vero che non aveva una vita… In fin dei conti
non aveva mai avuto molti amici, la maggior parte di quelli che lo
frequentavano erano compagni di studi o colleghi. Non era molto portato
per le interazioni sociali, bastava pensare che, prima della squadra,
l’unico che aveva potuto definire un amico era stato Ethan che
ora viveva a New Orleans e con cui non aveva più rapporti. Anche
sul fronte sentimentale non aveva avuto tutte queste esperienze. Era
una vera frana con le ragazze e si aspettava ancora che Hope ogni volta
gli dicesse che era finita. Chi voleva passare il proprio tempo con uno
che parla solo di statistiche?
Improvvisamente ricordò quello che la ragazza una volta gli
aveva detto sulla cugina. Fanny la incoraggiava sempre a pensare di
meno ed agire di più, ma Hope non aveva mai trovato il coraggio
di lanciarsi e di seguire quel consiglio. Sarebbe stato poi così
terribile lasciare la sua “zona sicura” per una volta? Era
sbagliato sapere cosa si provava ad essere Derek Morgan anche solo per
una notte?
Scrollò la testa dicendosi che continuando a porsi tutti quelle
domande non si stava comportando come il suo collega. Era ancora
Spencer Reid che si perdeva nei meandri del suo cervello senza riuscire
a venirne fuori. Prima di perdere il coraggio e nella paura che la sua
parte razionale avesse la meglio ancora una volta, scese dalla macchina
e sbatté la portiera per poi correre a suonare il citofono. Al
diavolo tutto.
- Chi è? – la voce di Hope era assonnata.
- Sono io… dovrei parlarti, posso salire un
momento? – pregò dentro di sé che la ragazza non lo
mandasse al diavolo.
- Certo, sali pure – la voce era incerta.
Appena sentì scattare la serratura del portone si
precipitò dentro e fece gli scalini fino al primo piano di
corsa, per non perdere il coraggio. Vide la porta aprirsi e la ragazza
apparire sulla soglia. Aveva i capelli legati in una coda e portava
un’informe vestaglia che si stringeva all’altezza del
petto, sotto si intravedeva una lunga e castigata camicia da notte
bianca che Morgan avrebbe definito “della nonna”. Non certo
il genere di abbigliamento sexy su cui molti ragazzi fantasticavano, ma
a lui andava bene così. Non riusciva ad immaginarla in
nessun’altro modo, quegli indumenti erano decisamente alla Hope.
Sorrise incerto mentre la ragazza, con uno sguardo interrogativo sul
volto, si scostava per lasciarlo entrare. Fece qualche passo
all’interno dell’appartamento e sentì tutto il
coraggio che era riuscito a racimolare fuggire via al suono della porta
che veniva richiusa dietro di lui. Ingoiò preoccupato, se non le
diceva qualcosa avrebbe fatto la figura dello stupido o, peggio ancora,
di quello che cerca solo una scusa per intrufolarsi
nell’appartamento di una ragazza a notte fonda.
Lo sguardo si posò sull’orologio a parete. Era l’una
passata e lui era rimasto in macchina più di due ore prima di
decidersi. Possibile che fosse così senza speranza? Si
voltò verso di lei e la vide lì, incerta e con lo sguardo
preoccupato. Ciuffi di capelli erano sfuggiti alla coda e le davano
un’aria arruffata che però le donava e la faceva apparire
ancora più tenera. Spencer si sentì scaldare il cuore
alla vista del sorriso tirato che la ragazza gli stava rivolgendo,
probabilmente ansiosa di sapere il perché di
quell’incursione notturna.
- Possiamo sederci? – le chiese supplichevole, mentre riordinava le idee.
La ragazza indicò il divano mentre il suo sguardo si faceva
corrucciato. Reid temeva di aver detto qualcosa di sbagliato: possibile
che fosse arrabbiata con lui? Di solito lei era così solare ed
ora sembrava un condannato al patibolo. Improvvisamente ricordò
come gli si era aggrappata al braccio all’uscita dal ristorante e
il mondo in cui sembrava in difficoltà quella volta che si era
presentata da lui per portargli la colazione. Un pensiero gli
attraversò la mente: possibile che anche lei avesse le sue
stesse paure? Non gli sembrava plausibile che una ragazza carina e
simpatica come Hope potesse temere di essere scaricata, ma i
segnali… Prese fiato e cominciò a parlare, accantonando
tutto il resto.
- Ultimamente ho pensato molto a noi due – la
vide distogliere lo sguardo e ingoiare – Hope, guardami per
favore…
La ragazza si girò con gli occhi lucidi e lo sguardo di chi ha paura.
- Io ho capito una cosa molto importante e non potevo
aspettare per dirtela – le prese il viso fra le mani e
asciugò una lacrima ribelle che le era sgorgata
dall’occhio destro – Ti amo, Hope.
La vide sbarrare gli occhi dalla sorpresa e poi il suo viso si
illuminò mentre emetteva un sospiro di sollievo. Si
avvicinò a lui e gli si strinse forte contro.
- Ti amo anch’io – nascose il viso nel
petto di lui per non mostrare il rossore – Resta con me stanotte.
Continua…
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