train
Si era svegliato tutto di un colpo ritrovandosi un pungente dolore al
collo. Colpa dello schienale prettamente scomodo del treno e
colpa sua che si era addormentato ventisette minuti dopo essersi
sistemato
al suo posto.
Inoltre, aveva dormito con la bocca aperta fornendo
un'epifanica
visione della sua ugola ai passeggeri che gli stavano intorno. O,
almeno,
credeva di aver dormito a bocca aperta dato che, all'angolo destro
delle labbra, era comparso un rigagnolo di bava. Sì, aveva
dormito, senza il minimo dubbio, con la bocca aperta.
Strano. Di solito capitava quando era a proprio agio ossia a
casa nel suo letto, sul divano a guardare documentari ad orari
da
nottambulo
sociopatico e sulla spalla di Dom nelle lunghe tratte in aereo.
Lì, in aereo, lo facevo quasi apposta, ma questo
è un altro discorso.
Il punto centrale della
questione era che, di certo, non piombava nelle avvolgenti braccia di
Morfeo per tre ore e quarto di viaggio in treno. Ah, già.
Quella
era stata la sua settimana di turno con il piccolo che, neanche a
dirlo, aveva iniziato a cacciare fuori i primi denti.
Agitazione,
qualche linea di febbre e oggetti inzuppati di saliva
dovunque si
posasse lo sguardo.
Era bello tenerlo tra le braccia
e, dopo, rimanere a guardarlo dormire mentre il suo pancino
faceva su e giù lungo la linea del respiro. Lo rassicurava.
A Matthew James Bellamy, nato a Cambridge, trentatrè
primavere trascorse, di certo non
difettante di esperienze tra le più disparate, rassicurava
più di qualsiasi altra cosa quest'unico fatto.
Mancavano dieci minuti scarsi all'arrivo a Teignmouth e, siccome
neanche lui era indenne alla frenesia che coglie il novanta per cento
dei viaggiatori, si mise a raccattare le sue cose. Tiro giù
la
tracolla nera dalla mensola porta-bagagli e iniziò a
riordinare
il tavolino.
Frappuccino consumato: via! Tre articoli di Science News, neanche a
dirlo, non ancora letti: dritti in borsa! Fazzoletto: vi...vi...a. Un
momento. Non era suo. Uhm...Lo prese
in mano
avvicinandolo agli occhi. Sul retro, a caratteri grandi, in
stampatello,
c'era solo scritto uno tremante "THANKS". Uhm...tutto ciò
cosa
esattamente doveva significare? Soprattutto, aveva un senso?
Passò velocemente in rassegna tutto ciò che aveva
fatto
dalla colazione di quel giorno in poi per cercare
di capire e di risolvere quel mistero.
Mancavano sette minuti per la stazione di Teignmouth. Doveva sbrigarsi.
Era sabato e, fino a qui, tutto in regola.
Quella mattina aveva deciso di andare da solo in Devon. Aveva bisogno
di staccare per almeno dodici ore buone. Era arrabbiato con l'intero
mondo sferico-ellissoidale, più specificatamente con il
corriere
ed i suoi inspiegabili problemi tecnici, con delle risposte non
pervenute a prenotazioni riguardanti i concerti dell'anno venturo, con
Kate.
C'era qualcosa che avrebbe dovuto fare il giorno prima e
invece
non aveva fatto. In sottofondo, molto in sottofondo, probabilmente, lei
aveva ragione ma era troppo
incazzato al momento per darle piena vittoria.
Pertanto aveva preso tracolla ed era uscito di casa. No, niente tipica
scusa delle sigarette. Un semplice e laconico "Ho da fare. Vado da
mamma. Ciao. Ti mando un messaggio quando arrivo. Ciao" era stato
sufficiente.
Era arrivato a Paddington a passo svelto. Già. Con
quelle gambettine e le Vans grigie sapeva essere veloce come una faina
isterica. In stazione aveva comprato il suddetto frappuccino e due
muffin, uno bianco ai mirtilli e uno al cioccolato perché
non
sapeva scegliere e,
fondamentalmente, non gli andava di scegliere. Certe
scelte non
andrebbero mai fatte, specie di sabato.
Al primo morso di uno del muffin bianco si accorse che il treno stava
per
andarsene.
Mentre un uomo in completo scuro dava il fischio di
partenza, mise entrambi i piedi all'entrata del vagone. Ce l'aveva
fatta. Fiù!
Aveva cercato il suo posto. Prima classe. Arrivato. Eccoci
qui: sino a questo punto tutto quadra. Si era
seduto finalmente.
C'era profumo di pelle e plastica. Tutto era grigio
tortora con posti singoli.
Aveva allungato le gambe e sistemato
le sue cose. Poi, si era guardato intorno.
In quella carrozza c'erano otto persone al massimo compreso lui.
Proprio dietro aveva due uomini in giacca e cravatta. Uno doveva essere
un avvocato e l'altro un broker o roba simile. Il broker aveva una
bruttissima cravatta gialla con pallini rossi, ricordò.
Il posto dall'altro lato, in perfetta parallelica simmetria al suo,
invece, era occupato da una ragazza. Carnagione olivastra, lunga
treccia bruna, due simpatiche fossette sul viso, belle spalle.
Dopo questa panoramica, incrociò le braccia con sopra gli
occhiali da sole simili a catarifrangenti.
Voleva vedere gli altri ma non essere visto.
Ecco.
Voleva passare inosservato con quegli occhiali, non essere
riconosciuto. Genio, un genio.
Un idiota.
Mentre succhiava tramite una cannuccia verde la sua bevanda, con la
coda
dell'occhio vide quella ragazza, la sua vicina, armeggiare spastica con
iPhone e
cuffie.
Lei gli aveva lanciato qualche occhiata sperando di non essere
notata, ma lui l'aveva notata., interamente
estatica, presa da ciò che stava facendo e frenetica nei
movimenti.
Ora ricordava.
Prima che la ragazza attaccasse le cuffie al cellulare, aveva sentito
Animals. Però non poteva essere, mancava una settimana allo
streaming
dell'album e lei non sembrava essere una fan.
E poi, poi si era addormentato.
Si avvicinò allo sportello di uscita.
Un minuto e il treno si sarebbe fermato.
Riguardò il fazzoletto, lo distese per bene. Più
in basso
c'erano anche altre parole. Ci mise trenta secondi per capire bene.
THANKS
for your music, for these years.
Scese dal treno con le estremità della bocca che avevano
assunto una dolce curvatura all' insù.
Forse era una fan. Forse avevano leakato l'album. Forse le sue
deduzioni ed elaborazioni mentali facevano davvero schifo. No, l'ultimo
non era per nulla un forse.
Si sentiva il verso dei gabbiani. Dio, quei maledetti gabbiani si
sentivano fino alla stazione. Nessun posto è al sicuro
quando si ha a che fare con i
gabbiani del Devon.
Uscì dalla stazione dove lo aspettava Paul con suo nipote.
Mandò un messaggio a Kate. "Scusa. Pranzo con mamma e Paul.
Torno stasera. Ti amo".
Gli occhi di Matt sorridevano mentre scattava una foto, che avrebbe
inoltrato in seguito a Dominic e Christopher, a quel fazzoletto.
Anche quei tre veli di carta lo rassicuravano.
Non era più arrabbiato con il mondo, perlomeno non al
momento. Le cose succedono e basta.
Se mai l'avesse incontrata di nuovo, l'avrebbe voluta
ringraziare. Anche lui le
avrebbe voluto dire grazie e non per semplice forma di cortesia.
C'erano entusiasmo, tenerezza e orgoglio nel suo cuore, e tutto
ciò era bello, definitivamente bello.
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I Muse e il loro 'entourage' non hanno nulla a che fare con i fatti
esposti in questa storia, etc. etc.
In questo caso specifico, Matt non ha mai mangiato entrambi i muffin,
non ha mai
preso il suddetto treno, non ha mai incontrato questa
ragazza/povera creatura senza nome né ha mai letto il suo
messaggio
scribacchiato sul suddetto fazzoletto.
Tutto ciò di cui sopra è
maledettamente
autoreferenziale e si è fatto spazio finché non
è
uscito in questa veste. In fatto di titoli e sottotitoli sono una
frana, quindi perdono.
Ah, è tutta colpa del 2003, il
"2003 è stato un anno infame per molti". Solo questo.
Allegria!
Ciao. *sparge amore e fiumi di nastro adesivo*
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