vesper
Vesper
Jan è chino e
concentrato sul suo lavoro; le dita, lunghe e affusolate, stringono il
pestello come se fosse la sua unica ancora di salvezza. L’oggetto
è duro e freddo, ma Jan non ci fa alcun caso. I suoi grandi
occhi castani sono fissi sui grani di robbia che sta sminuzzando, il
cui colore rosso, mano a mano che il materiale si riduce in una polvere
fine, diventa sempre più intenso.
Il ragazzo si blocca, facendo
così riposare i muscoli della spalla e del braccio. Approfitta
di quel momento per guardare fuori dalla finestra: il sole è
appena tramontato, tingendo il cielo di varie tonalità di
arancio, le quali si riflettono anche sulle acque del canale.
Jan sa che, nell’atelier attiguo alla stanza in cui si trova,
è presente un dipinto che raffigura uno spettacolo simile.
Nonostante sia marzo inoltrato,
avverte il naso arrossato per il freddo. Per un istante ha la
tentazione di sgattaiolare nell’atelier per prendere lo
scaldapiedi; lo userebbe solo per un po’, poi lo rimetterebbe a
posto.
Nessuno se ne accorgerebbe:
è ora di cena e la casa del mercante Hendrick è stracolma
di ospiti illustri, invitati per festeggiare il fidanzamento della
figlia.
A quel pensiero, Jan serra le
labbra. Alla fine, sebbene non avesse voluto dare credito ai
pettegolezzi della servitù, è risultato essere tutto
fondato: il pittore Harmen, pupillo del suo padrone, avrebbe presto
sposato Maria.
Jan può avvertire il coro di urla, risate e musica anche da lì, all’ultimo piano della casa.
I suoi occhi si fanno lucidi, ma il ragazzo si sforza di ricacciare indietro le lacrime.
Non ha nessun diritto di piangere.
Fin dall’inizio sapeva di non
potersi fare alcuna illusione. È conscio che i sentimenti che
nutre sono sbagliati*, ma ciò non vuole dire che facciano meno
male.
Le sue iridi nocciola vagano per la
stanza: è un luogo piccolo e spoglio, adoperato per la
macinatura e la preparazione dei colori. A Jan, dopo aver passato mesi
a lavorarci durante le ore serali, quel posto presenta un sapore intimo
e familiare. La camera è pregna dell’odore dell’olio
di lino; un odore che ormai Jan associa all’uomo che intimamente
ama. Un sentimento celato e custodito come il più prezioso dei
tesori.
Ciò che prova lo tormenta,
lo rende confuso, ma lo porta anche in uno stato di esaltata
beatitudine. Jan è un ragazzo semplice, che sa rallegrarsi di
ogni gioia che la vita è in grado di donargli.
Da quando il suo ricco padrone lo
ha messo a disposizione del pittore Harmen, i suoi giorni sono
diventati sempre più lieti. Adora ogni momento trascorso in
quella stanza a macinare i colori. Gli piace vedere i pezzi di avorio
nero, di azzurrite, di ocra e di tanti altri materiali trasformarsi,
grazie al suo meticoloso lavoro, in polveri sottili, quasi impalpabili.
È un compito che lo gratifica e che, al contempo, lo fa sentire
un po’ più vicino a lui.
Harmen, che gli appare bello e irraggiungibile.
Harmen, sempre silenzioso e assorto, quasi vivesse in un mondo tutto suo.
Harmen, a cui si è
affezionato ogni giorno di più, apprezzando tutte le
sfaccettature del suo carattere, fino a saperlo comprendere con una
sola occhiata.
Maria sarà la ragazza giusta per lui? Non può fare a meno di chiederselo, Jan. Sarà in grado di rispettare i suoi silenzi, capire i suoi sguardi?
Poi, fulmineo e imprevedibile, arriva il pensiero che fa più male. Vorrei tanto essere al suo posto!
Ma Jan è solo un servo. Non
è ricco, non è colto, men che meno nobile, sebbene
l’aristocrazia stia perdendo la sua antica importanza. Sta
sorgendo una nuova epoca, dove è il denaro a farla da padrone.
Inoltre, cosa più deplorevole e incriminante, è un ragazzo, non una donzella.
Jan sa che Maria, in quanto figlia
di uno dei mercanti più famosi di Amsterdam, è un ottimo
partito per Harmen, che è un pittore giovane e di talento, ma di
origini piuttosto umili. Ma l’arte che possiede e i suoi studi
sono stati in grado di elevare la sua condizione, fino a raggiungere la
posizione attuale. Grazie alle ottime conoscenze di Hendrick, che si
pone come suo intermediario, ha raggiunto una buona fama. Sempre
più commercianti e uomini facoltosi si rivolgono ad Harmen per
commissionargli opere, che spesso trattano scene di vita quotidiana. Il
matrimonio con Maria consentirà al pittore di fare un ulteriore
balzo sociale.
Jan cerca di deglutire il groppo
doloroso che gli si è formato in gola. Il pestello tra le sue
mani produce un lieve sobbalzo al singhiozzo che non riesce a
reprimere. Il ragazzo fa un profondo sospiro e cerca di calmarsi; al
contempo si passa le dita fredde sulla guancia per togliere la lacrima
sfuggita al suo controllo.
Non piangere, non piangere, non piangere. Se lo ripete come una litania.
In quel momento si accorge che la
robbia macinata ha raggiunto la giusta consistenza. Con attenzione, Jan
trasporta la polvere sottilissima in una vasetto di vetro e poi lo
appoggia accanto ad altri, pieni a loro volta di polveri diverse.
I colori sono bellissimi a vedersi: un insieme di varie sfumature di rosso, di ocra, di verde.
Jan è sicuro che, se avesse visto quello spettacolo da bambino,
avrebbe fantasticato che si trattasse della magica polvere lasciata
dalle fate.
La sua ingenuità non
è cambiata col tempo, ma la vita dura di ogni giorno ha fatto in
modo che non si azzardasse più a sognare cose irrealizzabili.
Per tale motivo cerca di sfruttare al meglio le poche ore in quella
stanza, godendo soprattutto dei momenti in cui vi è anche
Harmen. In genere passano il loro tempo in silenzio, ognuno impegnato
nei propri compiti. Trascorrere quegli attimi preziosi in sua
compagnia, lavorando talmente vicini da poter avvertire il calore
corporeo che il pittore emana, per Jan è la massima forma di
felicità desiderabile.
A volte c’è uno
sguardo intenso condiviso, uno sfioramento involontario del gomito, una
parola gentile… Sono tutte piccole azioni che hanno il potere di
fargli palpitare il cuore in maniera tanto rapida che, ogni volta, Jan
è sicuro di rimetterci la vita. O la sanità mentale, dal
momento che, in quegli istanti, non è in grado di pensare a
nulla. Le emozioni sono troppo forti per riuscire a domarle. E, per
quanto ci provi, non è in grado di fermare il rossore sulle
gote, così come il tremore delle mani e della sua stessa voce,
già di per sé poco virile.
Ogni volta che succede, Jan
ringrazia il crepuscolo, in grado di mascherare meglio i suoi
sentimenti, che egli stesso reputa inopportuni. Ma essi sono presenti,
albergano in lui da mesi, indi per cui è costretto a conviverci.
Dopo aver preso un pezzetto di
avorio carbonizzato, inizia a triturarlo con il pestello. L’osso
è duro, per cui è costretto a imprimere una maggiore
forza rispetto a quella che solitamente usa per altri materiali.
La luce che entra dall’unica
finestra presente nella stanza si fa più fioca. Jan non vi bada,
troppo concentrato nella sua opera di macinatura. Non si accorge
nemmeno che nel cielo, un miscuglio di grigio e azzurro, è sorta
la prima stella della sera. Jan adesso sa che in realtà si
tratta del pianeta Venere, così luminoso da poter essere scorto
anche ad occhio nudo. Glielo ha spiegato Harmen.
Se lo ricorda ancora, quel momento
prezioso. Erano entrambi intenti a lavorare, quando Jan si era
distratto nel notare la comparsa dell’astro. In
quell’attimo, dimentico di non essere solo, aveva esclamato con
voce accorata: «La prima stella!»
Pochi attimi dopo, aveva sentito Harmen bloccare i movimenti della spatola con cui stava mescolando il colore.
«È Venere» aveva iniziato a dirgli, «il
pianeta Venere. Gli antichi romani erano soliti chiamarlo Lucifer, ma
anche Vesper, per indicarne la fase serale».
Jan rimembra con precisione ogni
suo gesto successivo a quella frase: si era girato e aveva guardato
dritto negli occhi di Harmen e vi aveva scorto un sacco di parole non
dette e di sentimenti celati, che sembravano stessero lottando per
venire a galla.
Proprio come i suoi.
Per un folle attimo, Jan si era chiesto cosa sarebbe potuto succedere
se si fosse inclinato in avanti fino a baciare quelle labbra sottili,
annegando nel contempo in quelle iridi scure.
Iridi nere, come la polvere che sta ottenendo in quel preciso momento. Torbide, come il sentimento che prova.
Di nuovo, con gesti veloci e
precisi, trasferisce il composto in un vasetto. Solo a quel punto si
permette di sgranchirsi le ossa del collo e sciogliere i muscoli delle
spalle, irrigiditi per il tedioso e prolungato lavoro.
Fuori, sta sopraggiungendo la
notte. Dalla luce assai fioca che filtra, Jan si rende conto che il
tempo a sua disposizione per quel compito è ormai finito.
Fa un grosso sospiro. Non sa bene cosa gli riserverà il futuro.
Cosa ne sarà di lui, quando
Harmen se ne andrà da quella casa con la sua novella sposa? Cosa
ne sarà di quei fugaci attimi condivisi al momento del
crepuscolo, come due amanti segreti?
Jan non ha risposte. Sa solo che,
ogni minuto che passa, il suo animo si fa sempre più tormentato.
Gli sembra che un peso enorme gli schiacci il petto, impedendogli di
respirare con libertà.
All’improvviso, avverte dei passi lenti e cadenzati salire per le scale.
Al ragazzo si blocca il fiato in gola. Riconoscerebbe quell’incedere ovunque: sta sopraggiungendo Harmen.
Perché? si chiede Jan, mentre il panico prende pieno possesso di lui. Calmati, s'ingiunge mentalmente. Calmati. Potrebbe voler andare nell’atelier; non è detto che venga qui.
Nonostante cerchi di convincersi di
ciò, i palmi delle mani iniziano a sudargli. Avverte il cuore
rimbombare velocissimo nel petto. Jan odia ciò che prova,
perché lo fa sentire vulnerabile e debole; allo stesso tempo,
ama tali sensazioni, poiché dimostrano la sua umanità.
Finché nessuno saprà
nulla, è libero di amare. Certo, in segreto, ma è in
grado di farlo e nessuno, proprio nessuno, glielo può vietare.
Il cigolio della porta che si apre
fa accelerare ancora di più il battere del suo cuore. Gli sembra
di impazzire. Tutto il suo corpo è in tensione.
Jan se ne rimane immobile dietro al
tavolino di pietra, la testa china. Da un lato vorrebbe fuggire,
dall’altro desidera che il tempo si fermi, proprio in quel
momento, un attimo prima che giunga la notte.
Passano pochi secondi; poi, la prima cosa che il ragazzo nota sono dei lucidi stivali neri.
«Jan».
Il suo nome, pronunciato in un timbro basso, quasi roco, ha il potere di farlo rabbrividire.
Jan non muove un muscolo; anzi, il
suo corpo s’irrigidisce ancor di più. Dalla sua visuale
limitata, vede lo stivale sinistro avanzare di un passo. Ora sono
vicinissimi, tanto che può avvertire l’odore tipico
dell’olio di lino mescolarsi a quello del vino.
Il ragazzo si morde un labbro.
Harmen è solito bere molto solo quando è triste; ma non
avrebbe motivo di esserlo, no? Quella dovrebbe essere una serata lieta
per lui.
«Guardami, Jan».
A quell’esortazione, non
può far altro che obbedire. Lentamente, come se gli costasse uno
sforzo immane, il giovane alza il capo. Le sue iridi castane slittano
sulla balza dei pantaloni scuri, soffermandosi sul petto ampio, celato
dal farsetto riccamente decorato, fino ad arrestarsi sul viso.
I loro sguardi si incatenano.
Jan si sente mancare; non si
è mai trovato il volto dell’altro tanto vicino. Avverte
perfino il suo fiato tiepido uscire dalle labbra appena dischiuse. Gli
occhi scuri di Harmen, ancora più luminosi del solito, sembrano
ardere di una strana luce.
Perché non dice nulla? si chiede il giovane, nel panico più totale.
«Signore» mormora allora, con la voce che assomiglia più ad un flebile pigolio.
Non possono stare così, non possono.
Harmen sembra riprendere padronanza
di sé. «Io…» inizia a dire, titubante. Poi
volge l’attenzione sul tavolino, notando così le polveri
disposte in ordine cromatico. Gli sfugge un piccolo sorriso, cosa assai
rara. «Hai fatto un buon lavoro, Jan».
Vi è un attimo di silenzio,
presto coperto da un’ammissione appena sussurrata. «Non
potrei mai rinunciare a te, Jan, lo sai?»
Il petto del ragazzo duole ancora
più forte. Vorrebbe gridargli di non lasciarlo, di
abbracciarlo… di baciarlo. Cerca di resistere a una tale
tentazione. Sarebbe un azzardo che gli potrebbe costare caro. Non sa se
le parole di Harmen siano dovute all’alcol ingerito. Nonostante
non abbia mai bevuto tanto da essere ubriaco, Jan è al corrente
che in tali condizioni si tende a dire quel che si crede sul serio.
Ma sono pensieri pericolosi, i loro.
«Signore» ripete Jan; il suo tono sembra più una preghiera.
Si fissano di nuovo.
Jan cerca d’imprimersi nella
mente ogni cosa del viso che gli sta di fronte: i capelli lisci e
scuri, tenuti in ordine da un nastro di seta; gli occhi espressivi che
spiccano sul candore della pelle, le labbra sottili incorniciate da
vezzosi baffi.
Ama tutto di quell’uomo.
Harmen alza un braccio; Jan vede
quell’arto avvicinarsi a lui con estrema lentezza e, con terrore,
si rende conto di non desiderare niente di più che essere
sfiorato da quella mano. Ma il tocco non giunge a destinazione;
infatti, come se si fosse reso conto del suo gesto avventato, Harmen
blocca i propri movimenti. Il braccio rimane proteso per qualche
millesimo di secondo a mezz’aria, per poi ricadere a peso morto
sul fianco del suo proprietario.
«Jan» mormora Harmen.
«Ti devo fare una domanda, ma voglio che tu risponda con la
massima serietà».
Il ragazzo annuisce, senza aggiungere altro, abbassando il viso e fissandosi le scarpe.
«Ti piace lavorare per me?»
A quelle parole, Jan risolleva lo
sguardo. Il volto dell’altro è austero, quindi il giovane
valuta bene cosa rispondere, perché capisce che dalla sua
replica dipenderà il suo futuro. Alla fine, dopo una strenua
battaglia tra il cuore e la ragione, prevale la sincerità
disarmante. «Sì, signore. Moltissimo».
«Moltissimo» borbotta
Harmen, assaporando quel vocabolo sulle labbra.
«Moltissimo» ripete. Sembra voler convincersi di quel che
ha appena udito. I suoi occhi splendono come perle nere, animati da
nuova determinazione. «Quindi, Jan, se chiedessi al tuo padrone
di cederti a me, verresti volentieri?»
E ci sono altre parole non dette in quella frase. 'Anche se sarò sposato, anche con una moglie presente'.
Il cuore di Jan ha un sussulto.
Quasi non ci crede a quella proposta. La risposta non può essere
che una sola; poi… sarà quel che sarà. Lui non ha
più la forza di opporsi al sentimento che prova.
«Sì, signore».
Harmen fa un sospiro profondo, come
se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato nell’attesa del
verdetto finale. Serra le palpebre, appoggiandosi pesantemente al
tavolo. «Bene, Jan. Allora ne parlerò con il tuo padrone.
Puoi andare».
Capendo che quello è un
ordine, il giovane se ne va, uscendo dalla camera con passi silenziosi,
l’animo in pieno subbuglio.
*
Solo quando Harmen avverte la porta
chiudersi con un cigolio, si permette di riaprire gli occhi, fissandoli
sul cielo, ormai scuro. È ancora presto per le stelle; infatti,
l’unica a brillare è Venere.
Vesper, l’astro degli amanti.
Harmen rammenta con chiarezza la
sera in cui aveva spiegato a Jan la vera origine di quella prima
stella. Sa bene che è stato il momento in cui avrebbe tanto
desiderato poter esprimere ciò che prova a voce alta, proprio
mentre contemplava quel viso pallido, incorniciato da una massa di
boccoli rossicci, in cui aleggiava un’espressione di genuina
felicità.
E si maledice ogni giorno per non averne avuto il coraggio.
Forse lo farà da sposato;
forse non lo farà mai. Ma quel servo è diventato troppo
importate per lui e, a costo di risultare meschino, non ha intenzione
di separarsene.
Lui e Jan non hanno niente in
comune, eccetto quell’empatia che li fa reciprocamente capire
senza l’uso delle parole; ed esclusa anche quell’attrazione che li spinge a cercarsi come due calamite.
Ad Harmen sfugge un altro raro sorriso, seppure velato di malinconia e tristezza.
«Vesper, proteggici».
Poi, dopo aver rivolto una tale preghiera, abbandona anche lui quella stanza.
Sul tavolino, le bottigliette ricolme di polvere colorata rifulgono al chiarore lunare.
Fine
*Sono sbagliati per l’epoca!
Tengo naturalmente conto del contesto storico e sociale. In quel
periodo la religione aveva un grande ascendente sui pensieri comuni.
Nota: mi è stato fatto notare che la storia ha alcune analogie con il libro ‘La ragazza con l’orecchino di perla.’ Penso che sia assolutamente possibile, dato che l’ambientazione e le situazioni sono altamente analoghe. L’originalità la lascio naturalmente tutta alla scrittrice di questo meraviglioso romanzo (che ho letto quasi dieci anni fa), anche se ci tengo a precisare che non ho preso ispirazione da questo testo. L'idea dei colori in polvere mi è venuta semplicemente guardando un libro d'Arte di mia sorella^^. Beh, ho dato già la mia risposta approfondita alla ragazza che mi aveva chiesto delucidazioni in merito, ma mi sembrava doveroso mettere una nota anche qui. ^^
Beh, arrivare seconda al mio primissimo contest... Ammetto che non me lo sarei mai aspettata!
Sono stata davvero felice del risultato, tenendo anche conto che ho
scritto questa storia in un pomeriggio; dell'ultimo giorno di scadenza,
fra il resto^^".
So che non si dovrebbe fare così, ma ho una specie di 'allergia'
per le date di consegna, quindi questa volta ho voluto buttarmi e
'rischiare'. Per questo dico che è andata meglio di quel che
pensassi, perché solitamente sono molto pignola con le mie fic,
quindi sapevo che ci sarebbero state diverse imprecisioni.
Ma sono strafelice del risultato; a
tal proposito ringrazio tantissimo la giudice del contest: per i suoi
consigli, il suo giudizio e le sue parole.
Ringrazio inoltre tutti i lettori che hanno perso un po' del loro tempo per leggere questa storia; mi auguro sia piaciuta.
Un bacio,
Aurora
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