Il
gatto e il coccodrillo
Ramses corre sulla sponda del Nilo.
Il
sole batte sulla testolina rasata del bambino, ne arroventa la
schiena nuda.
«Mosè!»
chiama lui. «Fermati,
Mosè!»
Il
suo fratellino, però, non lo sta a sentire – e,
per avere due gambette corte e cicciottelle, è
incredibilmente veloce.
Ramses,
allora, stringe i denti e cerca di sveltire la corsa.
Non
ha mai pensato molto agli dèi, forse anche per
l’antipatia che nutre nei riguardi dei sommi sacerdoti, ma in
quel momento prega che qualcosa – qualsiasi cosa –
intervenga a frenare il fratellino.
Per
un po’, nulla succede… Poi Mosè
inciampa nel terreno paludoso, perdendo l’equilibrio.
Allargando
le braccia, riesce ad evitare un bel capitombolo in avanti,
ma poi si sbilancia e cade col sedere in mezzo all’acqua,
sollevando una pioggia di spruzzi.
Resta
fermo lì, e sbatte le palpebre con aria frastornata.
Ramses
lo raggiunge, un po’ ansimante.
Mosè
alza gli occhi di lui e assume un sorriso colpevole e
di scusa. Ha la parrucca corvina tutta di traverso sulla fronte.
È
buffissimo, nel complesso, ma Ramses si sforza di assumere
un cipiglio severo.
«Perché
devi cacciarti sempre nei guai?»
chiede. «Ci avevano detto di non muoverci».
Il
più piccolo si agita un po’. Non si alza,
però, forse perché stare seduto
nell’acqua gli dà sollievo dalla calura della
giornata.
«Era
noioso».
«Sai
cos’è davvero noioso?» lo
rimprovera Ramses. «Il fatto che adesso le guardie incaricate
di sorvegliarci andranno da nostro padre e gli riferiranno il nostro
comportamento sconsiderato».
Mosè
abbassa un attimo gli occhi. Si tocca la nuca, e prende
la propria parrucca tra le mani. Sulla sua testa, i riccioli castani
sono incollati gli uni agli altri per il sudore.
«Il
mio comportamento sconsiderato» dice poi,
cercando di risistemarsi il parrucchino. «Tu mi hai seguito
solo per riportarmi indietro, non hai fatto niente di male».
Ramses
sospira, avvilito. «Nostro padre non la
prenderà così» borbotta.
Ogni
volta che Mosè ne combina una delle sue, infatti, lui
finisce sempre per prendersi la sgridata peggiore. A quanto pare, come
fratello più grande, dovrebbe essere responsabile e riuscire
a controllare l’altro bambino.
«Da’
qui» dice, bruscamente, prendendo la
parrucca di mano a Mosè e sistemandogliela al meglio con un
solo gesto.
Il
più piccolo si apre in un sorriso.
«Dirò a nostro padre che è stata colpa
mia» asserisce poi, con convinzione. «Non credo se
la prenderà, il divieto di venire a giocare sul fiume non ha
senso».
Ramses
scuote la testa. «Ci sono i coccodrilli, nel fiume,
Mosè» gli fa notare. «E noi saremmo il
loro pasto ideale».
A
quelle parole, un allarme improvviso compare negli occhi scuri del
principe cadetto, che volta di scatto la testa a guardare le acque
argentee del Nilo.
Notandone
la calma piatta, si rilassa, ma solo per accigliarsi
nuovamente quando un pensiero improvviso lo colpisce.
«Ramses»
chiama, «i coccodrilli sono
animali sacri, giusto?»
Il
maggiore aggrotta la fronte e si china in avanti, afferrando
Mosè per un braccio e tirandolo in piedi.
«Sì, naturalmente» risponde.
«Però
anche i gatti sono sacri» aggiunge
Mosè, con una strana ostinazione.
Ramses
lo occhieggia curiosamente, chiedendosi dove voglia andare a
parare. «Certo».
«E
se un gatto cade da una nave e finisce in pasto a un
coccodrillo? Come ci si deve comportare? Si uccide il coccodrillo per
salvare il gatto, o si lascia che il gatto venga ucciso dal
coccodrillo?»
Il
maggiore sbatte le palpebre.
Dopo
un momento, scrolla la testa, e il suo unico ciuffo di capelli
corvini gli ballonzola sopra l’orecchio destro.
«Ci
penserò quando mi
succederà» dichiara, in tono risoluto.
Detto
ciò, si gira e s’incammina verso la riva,
con passi che producono un bagnato ciaff
ciaff.
Mosè
lo raggiunge a balzi, schizzando acqua dappertutto.
«Io
ho la soluzione!» annuncia, trionfante.
«Si prende il gatto e lo si porta via prima che il
coccodrillo lo raggiunga! Così sono salvi tutti e
due!»
Ramses
è colpito da quelle parole, e intanto mettono piede
sul terreno ben asciutto, con sandali che ancora grondano acqua. Anche
il gonnellino bianco di Mosè è tutto gocciolante,
ma lui non sembra dolersene.
«Allora?»
domanda, insistente. «Allora,
Ramses? Ho ragione?»
«Secondo
me» risponde il fratello,
«dovresti porre il tuo quesito ai sommi sacerdoti».
Mosè
accoglie la proposta con una prevedibile mancanza di
entusiasmo. «Ma perché? Sono sicuro che non
sapranno rispondere».
Ramses
sorride. «Appunto!» replica.
«Pensa a come sarà divertente, vederli in
difficoltà davanti alla tua domanda!»
Mosè
sgrana gli occhi, poi scoppia a ridere.
Allora
Ramses lo acchiappa, stringendolo in un abbraccio – e
lo sente incredibilmente fresco, contro il proprio corpo accaldato.
«Le
loro facce diventeranno più rosse e
più tonde di un sole al tramonto!»
***
Nella sala del trono, ogni rumore
echeggia contro le pareti levigate.
È
sempre stato così.
Quando
Ramses era bambino, ciò rendeva i rimproveri di Seti
ancor più terrificanti. Non ci si poteva neanche muovere, si
osava a malapena respirare, nel timore che il minimo rumore potesse
ravvivare la rabbia del vecchio faraone.
Ora,
sentendo il nitido suono di passi conosciuti, Ramses si volta con
aria esasperata. «Sei ancora qui».
Mosè
si ferma. China il capo in un gesto che non
è arrendevolezza né sottomissione.
«Sono ancora qui» mormora. «E sai cosa ti
chiedo».
Il
faraone scuote la testa, risalendo i gradini che portano al suo
trono. «Lo so» conferma, alzando le braccia al
cielo. «“Libera il mio popolo”!
È questa la tua richiesta, giusto?»
«È
così» ammette
Mosè, sommessamente.
Ramses
si acciglia. «Dovresti conoscere la mia risposta,
ormai» osserva, accomodandosi mollemente sul trono.
Suo
fratello alza su di lui uno sguardo grave, incorniciato dai capelli
bruni lasciati liberi di crescere. «Non è una
risposta che io possa accettare, Ramses».
L’interpellato
sbuffa, spazientito. «Invece temo
che dovrai fartela piacere, perché è la sola che
riceverai».
Mosè
china di nuovo la testa, rimanendo in silenzio per
qualche istante.
Ramses,
dal canto suo, lo osserva inclinando il capo. È
strano vedere quell’uomo – quell’uomo che
gli è familiare quanto le proprie mani – bardato
in vesti così larghe e variopinte, così estranee,
così poco egizie.
È
esistito davvero un tempo in cui i principi erano due?
Tutto
sembra negarlo, ed è una cosa che lo infastidisce.
Finalmente,
Mosè solleva lo sguardo.
«Ricordi»
inizia, con voce velata di nostalgia,
«quando ti chiesi se era necessario salvare il gatto o il
coccodrillo?»
Ramses
sbatte le palpebre, sorpreso.
Per
qualche istante non si raccapezza, poi ricorda quel giorno lontano
della loro infanzia.
«Mph,
sì». Fa un gesto vago con la mano,
cercando di non farsi assalire dal rimpianto. «Ricordo anche
che ponemmo il quesito ai sommi sacerdoti…»
Le
labbra di Mosè si contraggono in uno strano sorriso.
«Già» conferma lui, in tono malinconico.
«Speravamo che la domanda li avrebbe messi in
difficoltà».
«E
invece loro ti diedero una risposta senza
esitare» aggiunge Ramses. Nel rievocare quei ricordi
familiari, il suo corpo si rilassa.
«Sì»
dice Mosè.
«Affermarono che era necessario lasciare che il coccodrillo
divorasse il gatto, poiché se quest’ultimo si
trovava alla sua mercé, era per il volere degli
dèi».
Ramses
lo osserva, assottigliando gli occhi. «Ho
l’impressione che questa risposta non ti soddisfi,
fratello» commenta, brusco.
«Non
credo» replica Mosè. «Non
può soddisfarmi, se il mio popolo è
il gatto e
voi il coccodrillo».
Ramses
sbuffa in una risata acre. «Ora parli per
metafore?» domanda, senza divertimento.
«Ricordi
la soluzione che proposi io?» chiede
Mosè, anziché rispondere. «Volevo
trascinare via il gatto, senza che al coccodrillo fosse fatto
danno».
E
scuote la testa, come per rimproverarsi con rammarico
quell’ingenuità infantile.
Ramses
aggrotta la fronte, e per un attimo rivede il sorriso spontaneo
del bambino che è stato suo compagno di giochi per tanto,
tanto tempo…
«Non
volevo crederci, ma forse i sommi sacerdoti avevano
ragione su qualcosa, e non è possibile salvarli
entrambi» riprende Mosè, amareggiato.
«È questo ciò che vedo,
adesso».
Alza
gli occhi, e lo guarda con una tale tristezza che Ramses sente un
brivido correre lungo la propria schiena nuda.
«E
allora il coccodrillo sarà colpito,
fratello» continua Mosè, non senza dolore.
«Sarà colpito duramente, finché il
gatto non sarà salvo».
Ramses
si alza di scatto.
«Silenzio»
ingiunge, discendendo i gradini.
«Non ho tempo di ascoltare le tue sciocchezze. A differenza
tua, io ho degli impegni che mi aspettano».
Lo
supera senza degnarlo di una sola occhiata.
Mosè,
invece, si girà per seguirlo con lo sguardo
finché l’altro non è uscito dalla sala.
A
quel punto, chiude le mani sul bastone dal quale non si separa mai, e
stringe così forte che le sue nocche sbiancano.
Spazio dell’autrice:
“Il Principe d’Egitto” sarà
anche un cartone animato, però è pieno di angst.
L’ho rivisto all’incirca una settimana fa, e mi ha
stregata. Diciamo che ho colto molte più cose di quelle che
ne avevo notate quando lo guardavo da bambina.
E mi sono innamorata del rapporto tra Ramses e Mosè, una
cosa terribile.
Così, ho dovuto scrivere questa one-shot.
Spero non abbia disgustato nessuno…
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