CLUEDOhtml
CLUEDO
TONY STARK
Scenario
1, aka Elephant Love Medley:
- va nel mio
appartamento, prepara un
interno tipo elefante di Moulin Rouge, mi spedisce con qualcuno o anche
con se stesso a procacciare un completino intimo con un rapporto
inversamente proporzionale tra centimetri quadrati di stoffa e prezzo.
Indi, approfittando del fatto che è oramai a casa mia,
installa
telecamere collegate con Jarvis. Perché, oh, è
lui che ha
sganciato la grana, e un investimento deve fruttare.
Scenario
2, aka Rottura di Coglioni Permanente:
- il giorno dopo telefona
alle cinque
di mattina per sapere tuttomapropriotutto. Si fa trovare alla porta con
gagliardetti, petardi e uno striscione con su
“congratulazioni!” ( o simili: “benvenuto
nel club
pucciatori di biscotti!” “chi l’ha duro
la
vince”)
Scenario
3, aka Apocalisse:
- arrivano di nuovo gli
alieni e i
miei piani per domani sera vanno a puttane in ogni caso. Stark e Steve
e gli altri salvano di nuovo il mondo, o io vengo ferita a morte e a
quel punto come ultimo desiderio non credo avrò voglia di
andare
a let-
- Pur concordando su come Tony Stark sia un soggetto molto
particolare, credo che il punto 3 e le sue conseguenze non possano
essere del tutto imputabili a lui.
Il cuore di Jo fece un balzo talmente forte che le rimase
incastrato in gola. Rovesciò il caffè sulla
tovaglietta
scribacchiata: i fili liquidi e scuri si intrecciarono e fusero con
l’inchiostro. Quando l’ultima gocciolina
deformò la
scritta sulla cima della carta in
“tomm…ark”, Jo
deglutì il cuore e alzò gli occhi sul suo aiuto
cuoco.
- Carter… Carter!
L’agente continuò a sbattere le uova in
una ciotola,
ma aveva gli occhi impegnati a decifrare le scritte ancora leggibili
sotto le macchie di caffè. Jo afferrò la
tovaglietta e la
accartocciò: la breve vita della sua “lista
complici” finì nel cestino dell’ingresso.
L’agente Carter, privato della sua lettura da
decifrare, la
guardava con la solita espressione pacata; il tic-tic-tic rimestante
della frusta rimase l’unico suono nel locale. Jo
strappò
di mano all’agente la ciotola delle uova e ne
rovesciò il
contenuto nel cestino, tolse il sacco nero, corse in strada,
gettò il sacco nel bidone più grande, lo spinse
più a fondo e lo coprì con un altro sacco,
tornò
dentro il locale.
Carter, che aveva aperto un’altra confezione di
uova e
ripreso il suo lavoro, le gettò solamente un lieve sguardo
di
rimprovero quando il campanellino dell’ingresso
annunciò
il suo ritorno.
Jo recuperò il grembiule dalla poltroncina dove
stava
scrivendo, si infilò dietro il banco di lavoro e
cominciò
ad affettare una coscia del prosciutto preferito di Thor.
Dalla strada arrivò il rumore del camion della
spazzatura
che sollevava e triturava i sacchi del bidone. Jo accese il fornello,
fece sciogliere il burro in una padella e ci adagiò le fette
di
prosciutto. Il camion si rimise in moto e portò lontano
sacco,
uova, caffè e tovaglietta scribacchiata. Le fette di
prosciutto
avevano una bella crosticina dorata.
La presenza di Carter era rivelata solamente dallo sfrigolio
che a intervalli regolari facevano i suoi pancake sulla piastra.
- Mi mancano alcune premesse, credo. Per esempio, in cosa
consisterebbe esattamente la missione del complice.
L’obiettivo
finale invece mi pare abbastanza chiaro.
- Di solito, dopo l’imbarazzante silenzio,
l’amico
empatico cambia discorso e ci si dimentica entrambi
dell’incidente. Riproviamo, “che bella giornata
agente
Carter!” – cinguettò Jo, con la voce
più
acuta del solito. Ma Carter si era fermato e le puntava contro la
paletta.
- Penso che la prima idea che ha preso in considerazione sia
far
fermare a casa sua il capitano Rogers senza che lui comprenda la
premeditazione.
Jo schiacciò il prosciutto contro la padella e
tentò
di isolare lo sfrigolio come rumore totalizzante della stanza.
- Le condizioni atmosferiche potrebbero essere
d’aiuto.
Domani è previsto in arrivo l’uragano Sandy, e il
consiglio è di tapparsi in casa con provviste di cibo per
almeno
tre giorni. Ma credo che sapesse anche questo.
Il bruciore che Jo sentiva sulle guance non era solo per il
caldo della piastra. Almeno
adesso stiamo parlando del tempo…
Ridacchiò per non lanciare la padella
bollente in faccia a Carter, che continuava a
parlare in tono pratico: - In sostanza,
posso ipotizzare che il suo complice si dovrà limitare a
sabotare il mezzo di trasporto del capitano Rogers. Accetto la missione.
Jo si voltò mentre Carter cospargeva di sciroppo
d’acero la sua pila di pancake: come al solito dalla sua
espressione non trapelava nulla che non fosse
professionalità e
concentrazione.
- Cos… accetta… eh?
- La missione! – Carter si avvicinò con
il piatto e
una forchetta, che le porse. – Si goda la mia nuova miscela
segreta per pancake supermorbidi, agente March, e lasci fare a un
professionista.
Pois o non pois? Questo
è il dilemma…
Se c’era un comandamento sempre valido, nel mondo
della
moda, era la totale indifferenza se non fastidio degli uomini verso le
fantasie a pois. Ma negli anni ’40 andavano moltissimo. Di
conseguenza, un uomo anni ’40 come avrebbe reagito davanti a
un
vestito a pois? Jo decise che l’esperimento poteva essere
rimandato ad altra occasione, e si infilò un vestito
azzurro-e-basta. La collana di perle già ce
l’aveva, poi
c’era il tocco di classe delle calze con riga dietro. Le
scarpe
col tacco anche dentro in casa, invece, le lasciò volentieri
alle casalinghe d’epoca, che non avevano un parquet e una
padrona
di casa molto pignola.
Dal soggiorno arrivò un odore di spezie, zucchero
e burro
un po’ più bruciaticcio di quel che avrebbe dovuto
essere.
Jo recuperò il grembiule che aveva gettato sul letto, se lo
allacciò in una millesimo di secondo e corse in cucina: la
torta
era più che “bella dorata”, ma ancora
commestibile.
E non appena la superficie della torta toccò il
piatto di portata, squillò il citofono.
Cose fatte: torta, cena, vestito.
Cose da fare: tavola, capelli, tirare via dal divano lo stupido
completino di pizzo che le aveva passato Carter
(“è un regalo di Barbie di in bocca al
lupo”). Corse prima al citofono.
- Sì?
- Capitano Steve Rogers.
- Terzo piano porta a sinistra, capitano.
Appese la cornetta e schizzò al divano, prese il
sacchetto
e lo ficcò nel cassetto del comodino, in camera sua. Assieme
al
suono del cassetto che si chiudeva, sentì quello del
campanello.
Ma cosa ha fatto, un
balzo su per la tromba delle scale?
Prima di Steve, sulla porta si presentò un enorme
scatolone
scocciato con vari giri di nastro da pacchi. Sopra il pacco
c’era
anche un mazzone di rose.
- Quelle sopra sono per te. – disse lo scatolone
con la voce
di Steve. Jo prese le rose e le tenne in braccio. Rimaneva il pacco.
- E questo?
- Non hai visto la televisione? Consigliano di tenere in
casa scorte alimentari sufficienti per tre giorni.
- Appunto. Tre giorni, non tre mesi.
Cos’è, razioni sufficienti per sopravvivere alla
guerra atomica?
Steve appoggiò lo scatolone per terra,
nell’ingresso,
e alzò gli occhi su di lei. Tirò fuori
quell’espressione disarmante da bravo ragazzo. –
Sei
davvero bella stasera. Sai di casa.
Jo, imbarazzata, sollevò una mano
d’istinto per
sistemarsi una ciocca di capelli. Sentì la stoffa ruvida del
guantone da cucina contro la fronte, e si rese conto che dalla torta in
poi non lo aveva tolto. Così come aveva tenuto il grembiule
e
delle meravigliose ciabatte dei Giants.
Speriamo che Barbie sia
quella gran
maestra di seduzione che dice Carter, per recuperare le ciabatte dei
Giants ci vuole un vero tocco di class...
Si poteva zittire il cervello? Steve ci era riuscito
sporgendosi sopra lo scatolone e dandole un bacio.
- Considera questo come la scatola di cioccolatini.
- Questo…?
Jo sentì un tuffo al cuore, e maledisse la
vaghezza del questo,
che le aveva fatto pensare a troppe cose. Invece Steve indicava lo
scatolone. Jo recuperò la calma, lo aprì e vide
impilati barattoli di zuppe, carne
in scatola, frutta sciroppata, alcuni pacchi di zucchero e
caffè.
- Beh, capitano Rogers, – rise – credo
che potremo sopravvivere ai nazi per un bel po’ di tempo.
Tentò di trascinare lo scatolone dentro casa, ma
Steve
sollevò sia quello che lei e li appoggiò entrambi
sul
tavolo della cucina.
- Dove tieni le cose? - le chiese con un piglio pratico da militare. Jo
indicò lo scaffale accanto al frigorifero, e Steve
ricavò
dello spazio per fare posto al suo scatolame di sopravvivenza.
Lo stava ancora guardando disporre tutte le provviste in altre pile
ordinate, quando sentì una vibrazione
provenire dal tavolino in salotto. Andò a prendere il suo
cellulare e lesse un sms proveniente da un numero anonimo.
“Tutto ok. Tocca a lei. Cancelli il messaggio dopo
averlo letto.”
Seguì le istruzioni dell’agente Carter
e pigiò
immediatamente il tasto rosso. Intanto Steve aveva finito di sistemare
le loro scorte belliche.
- Sono sicuro che Fury capirà, se non andrai al
diner domani mattina.
- Oh, in fondo ci sono andata il giorno di un attacco
alieno.
Direi che la città potrà sopravvivere a un
po’ di
pioggia.
- Sarà, le notizie erano abbastanza preoccupanti.
- Disse colui che ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale.
Allora, per stasera io non ho preparato cose così sopraffine
come – Jo prese in mano una scatola di carne e lesse
l’etichetta – il “Pulled Pork
Jelly”, ma spero
che ti vadano bene lo stesso.
- Scherzi? È da quando sono entrato che
c’è un
profumo fantastico. Ricordi? Supersoldato, organismo che va tre volte
più veloce, fame perenne.
Ok, quella sarebbe stata la serata Trasforma Anche Tu Una
Frase
Innocua In Qualcosa Di Molto Ambiguo. Jo scacciò dalla mente
qualsiasi immagine che non fosse il polpettone da riscaldare e corse
verso la cucina.
- Faccio in un secondo! Perché intanto non ti
metti sul divano?
Mise la teglia in forno e prese al volo tutto il necessario
per
fare la tavola, mentre Steve accendeva la Tv su un notiziario. Fuori,
la pioggia scrosciava fortissima e folate di vento facevano tremare le
finestre. Nel notiziario, il mezzo busto della giornalista stava
davanti a scene di evacuazione e di case inondate.
- Alcune stazioni della metropolitana sono inagibili per
allagamento, e le forze dell’ordine stanno chiudendo i tunnel
fra Manhattan e la terraferma.
Jo appoggiò il secondo piatto sulla tovaglia e
andò
a sedersi accanto a Steve. Le immagini della metro allagata erano
impressionanti. Non era solo “un po’ di
pioggia”.
- Il sindaco Bloomberg consiglia di stare in casa e di non
usare
l’auto. Se proprio doveste trovarvi nella
necessità
estrema di farlo, guidate con prudenza e a velocità ridotta.
Bene, aveva anche l’appoggio del sindaco adesso.
Stare in casa e non usare l’auto. E
allora perché guardando la faccia di Steve si sentiva
terribilmente in colpa?
- Beh, almeno sono qui con te e non isolato a Manhattan.
– Steve lo disse con una voce molto ma molto poco convinta.
- Steve, io…
- Le vittime accertate dell’uragano Sandy per ora
sono state
49, le zone costiere sono le più flagellate da questo evento
meter…..piuuuuuuuuuu.
L’intera casa piombò nel buio
più totale. La
Tv era solo uno schermo nero. L’unica luce proveniva dal gas
nel
forno, dove Jo stava riscaldando il polpettone. Lo scroscio della
pioggia, fuori, rimbombava ancora di più sulle pareti
dell’appartamento.
- Aspetta, devo avere qualche candela in cucina.
Jo percorse lo spazio che separava il divano dai cassetti
guidata
dalla luce del forno. A tastoni riconobbe la superficie liscia di una
candela, la accese con la fiamma del gas e tornò in salotto:
Steve era immobile a guardare lo schermo spento del televisore, con gli
occhi semichiusi e le mani irrigidite.
- Ci saranno altre zone senza elettricità, come
la nostra?
Jo annuì: fuori dalla finestra, il quartiere era
totalmente al buio come casa sua.
- E ci saranno persone con la casa inagibile. Manhattan
è
isolata. - Steve guardava fuori dalla finestra come se potesse
percepire le grida di soccorso degli sfollati. Si girò di
nuovo
verso di lei e le prese le mani.
- Almeno – lo ripeté ancora meno convinto di prima
– sono qui con te e so che stai bene.
Già. Bloccati in casa da un uragano, senza luce,
col
sindaco che dice di non uscire a meno che non si tratti di
un’emergenza gravissima. A volere una scusa perfetta, non si
sarebbe potuto escogitare di meglio. Non lo scenario ideale, lo
scenario ottimale per il suo piano.
Già.
Jo pensò al suo stupido vestito azzurro, alla
cena, al
sacchetto appallottolato nel suo comodino, all’agente Carter
e
alla moto di Steve manomessa.
Fece un sospirone, chiuse gli occhi.
- Senti, là fuori la gente ha bisogno di
più aiuto
possibile. Vai a vedere cosa sta succedendo. - Bene, la sua voce non
suonava così
tanto delusa. Steve, realizzato quello che gli aveva
detto, aveva un’aria felice e preoccupata allo stesso tempo.
- E tu?
Jo fece spallucce.
- Non saprò sollevare una macchina o buttare
giù i
muri di una casa per salvare chi è intrappolato dentro, ma
credo
che al punto di raccolta sfollati un paio di braccia in più
faranno comodo. Se non ti offendi, porto anche le provviste da bunker
antiatomico e la nostra cena, tanto qui si fredderebbe e basta.
- Sei eccezionale. - Steve la baciò. - Domani
mattina ripasserò da qui, per vedere che vada tutto bene.
Ok, non piagnucolare
proprio adesso.
E sarebbe bastato quello, in realtà. Un pianto
della
fanciulla disperata avrebbe convinto l’eroe a stare al suo
fianco
per proteggerla da ogni pericolo. Sì, il Temibile Fusibile
Saltato. L’eroe sarebbe rimasto, se ne sarebbe andata solo la
sua
dignità.
- Se domattina tu non dovessi tornare perché
c’è ancora da fare, beh, immagino che ci vedremo
al diner.
Ah, aspetta! - Se l’agente Carter aveva fatto il lavoro a
puntino, come aveva promesso nel messaggio, c’era un ultimo
problema da
affrontare. Jo frugò nella ciotola all’ingresso e
tirò
su un portachiavi. Lo guardo qualche istante, stringendolo forte nella
mano, poi lo porse a Steve.
– Prendi queste.
Steve afferrò al volo le chiavi della moto di Jo
e le guardò, stupito.
- Ho la mia.
- Così devi per forza venirmela a restituire. E
ho fatto il
pieno stamattina. E se devi fare qualcosa di particolarmente stupido,
è vecchia e scassona. Così ho la scusa di
prendermene una
nuova.
Credici credici credici.
Non avrei le forze di spiegare. E nemmeno il coraggio.
Steve mise in tasca le chiavi e le sorrise. Benedetto
ingenuo ragazzone.
- Allora a domani. Anche perché…
- Cosa?
- Niente, credo che avrò voglia di rivederti.
Jo si godette per qualche istante il calore che le saliva
dallo
stomaco e che aveva cancellato la Temibile Frase Interrotta:
abbracciò Steve sulla soglia, prima di lasciarlo andare a
fare
le sue cose eroiche.
Quando il ragazzo scomparve giù per le scale, Jo
tolse con
stizza il vestito, la collana e le calze, e li lasciò sul
pavimento della camera. Non aveva nemmeno voglia di piangere, si
sentiva solo come una bambina a cui i genitori non avessero voluto
comprare una bambola bellissima: capricciosa e idiota.
Si infilò il giaccone pesante e si
calcò un berretto
di lana in testa, raccolse le provviste in due sacchetti di stoffa, si
mise in tasca una pila e prese il volantino che era stato distribuito
in tutta la zona, dove c’erano mappa e indirizzo per arrivare
al
centro evacuati. Chiuse la porta a tripla mandata e si avviò
per
la strada. Con la pila stretta fra i denti, controllò la
mappa
sul foglietto e la strada vera, illuminata fiocamente solo dalla luci
di emergenza.
La pioggia le batteva in faccia sferzante e le raffiche di
vento
la sballottavano per la strada, tanto che ringraziò le due
borse
che le facevano da contrappeso. Le luci del centro rifugiati arrivarono
come una benedizione dal cielo. Entrò che avrebbe potuto
strizzarsi i capelli, da quanto li aveva bagnati, e andò
verso una
donna in divisa.
- Salve, io…
- Da quella parte, la mia collega le fornirà una
coperta e
una tazza di tè caldo. – la signora, spiccia, le
indicò un corridoio alla sua destra.
- No, io… vengo per aiutare. Ho anche del cibo,
se qualcuno ne ha bisogno.
La donna capì che non era una rifugiata ma una
volontaria,
e la accolse come una visione mistica. La piazzò subito alla
distribuzione coperte.
L’energia elettrica lì arrivava ancora,
e le Tv dei
corridoi trasmettevano le immagini della tormenta in varie parti della
città. La giornalista leggeva i nomi delle prime vittime
accertate, poi passò una carrellata di immagini delle
stazioni
della metropolitana allagate e dei tunnel di collegamento con Manhattan
chiusi per via della pioggia intensa. Sia Manhattan che Brooklyn, stava
dicendo la giornalista, erano state colpite da numerosi blackout, ma i
tecnici erano già al lavoro per trovare una soluzione.
- Un aiuto inaspettato, poi, sta arrivando dal
plurimiliardario
Tony Stark, che sta mettendo a disposizione della città
l’energia sprigionata dal reattore Ark, una tecnologia
segreta
che le industrie Stark stanno sperimentando negli ultimi anni.
Alle spalle della giornalista c’era
un’immagine di
repertorio di Tony. Jo rise, pensando alla sua lista complici e a come
avrebbe reagito Tony se i suoi piani fossero andati in fumo in questo
modo: probabilmente avrebbe liquidato Sandy con “una
pioggerella”.
Un’altra voce molto familiare, proveniente dalla
Tv, la fece sobbalzare.
- Voglio dire alla popolazione di New York che non si deve
preoccupare, perché questa città ha molti eroi a
difenderla. Eroi come le forze dell’ordine o il corpo dei
vigili
del fuoco, che non abbandoneranno mai la popolazione in momenti di
prova come questi.
Oh Steve…
Gli inconvenienti di uscire con capitan America, insomma.
Scenario 4, aka uragano
Sandy:
New York è stata spazzata da un uragano che non si vedeva da
decenni e il tuo ragazzo ti ha coinvolta in una missione di assistenza
ai poveri civili sfollati. Ti ritrovi dunque sul divano, alle ore 5 di
mattina, con la luce saltata e…
- Miseria ladra il freezer!
Jo scattò in piedi come una molla e corse verso
il
frigorifero. Il ghiaccio nel comparto freezer, mezzo sciolto, si
rovesciò sulle sue pantofole in un rivoletto di acqua
ghiacciata. Jo fece un balzo indietro e scalciò via le
pantofole
zuppe.
- Straccio straccio straccio… - i riflessi delle
5 di
mattina dopo una notte passata a distribuire coperte e tè
caldo
erano peggio di quelli post-sbronza. Aprì lo sportello sotto
il
lavabo, dove teneva gli attrezzi per pulire, e fissò a lungo
il
mucchio di roba prima di ricordarsi cosa cercava.
Stracci gialli.
Ne prese un mucchio e tornò verso il frigorifero:
il
laghetto aveva quasi raggiunto lo scaffale della dispensa, lo
arginò prima che l’Inondazione Freezer si
aggiungesse alle
catastrofi della nottata. Ripassando sugli stracci gialli, che facevano
ciaff ciaff ciaff
sotto i
piedi nudi, raggiunse l’ultima vittima di Sandy, un barattolo
di
gelato da mezzo chilo. Recuperò pure due cucchiai e
tornò
verso il divano. Una giacca buttata metà per terra e
metà
sul tavolino del salotto annunciò il ritorno di Steve.
Il prode capitan America era stravaccato sul divano, con
schiena e
testa affondati nei cuscini e gli occhi chiusi. Si era fatto scivolare
via la giacca di dosso senza badare a dove sarebbe finita. Jo la prese
da terra con la mano libera e la buttò sul tavolino, troppo
stanca per arrivare fino all'attaccapanni.
Steve aveva addosso solo una maglietta bianca, che si alzava
e si
abbassava a ritmo col suo respiro tranquillo. Da qualche parte in fondo
allo stomaco, arrivò a Jo un dolorino di rimpianto, ma forse
era
solo la fitta di freddo che arrivava dal barattolo alluvionato. Diede a
Steve un bacio sulla fronte e gli si sedette accanto, incredula per
quanto fossero morbidi i cuscini del suo povero divanetto sfondato.
Steve batté qualche volta le palpebre e la mise a
fuoco.
- Buongiorno principessa! – Jo gli diede un
secondo bacio
sugli occhi semi chiusi. Steve si stiracchiò e si mise
seduto
più dritto.
- Ti ho mai detto che il tuo divano è la cosa
più comoda che io abbia mai provato?
Il dolorino di rimpianto minacciò un picco: Jo lo
stoppò togliendo il coperchio al barattolo di gelato.
Raccolse
le gambe sul cuscino del divano e porse uno dei due cucchiai a Steve.
- Capitano, questa povera vittima americana ha bisogno di
una morte dignitosa per mano di un vero patriota.
Steve la guardò con gli occhi ancora velati di
sonno;
spostò al rallentatore le pupille dalla faccia di Jo al
barattolo.
- “American flag”?
- Qualcuno alla Baskin’ deve aver pensato che, nei
momenti
di sconforto, tanto valeva che i loro consumatori si sentissero
patriottici. – Jo rigirò in mano il barattolo
contentente un gelato
blu, rosso e bianco, su cui garriva una bandiera americana –
e
poi le stelline di cioccolato sono buone.
Steve gettò di nuovo la testa
all’indietro, stavolta
per ridere di gusto. Prese il cucchiaio che Jo gli porgeva e lo
affondò nel barattolo.
Jo lo incastrò fra loro due e prese il
telecomando.
- Se siamo fortunati, a quest’ora di solito danno
film che potresti conoscere anche tu.
Pigiò qualche volta il bottone verde, ma lo
schermo rimase
nero. Ingoiò un cucchiaione di gelato e pigiò
ancora sul
pulsante, con più forza. Quando il gelato le si sciolse in
bocca, si ricordò perché lo stavano mangiando e
perché avrebbe potuto consumare la gomma del bottone prima
che
la Tv desse segni di vita. Lanciò il telecomando sul
tavolino e
si appoggiò alla spalla di Steve. Lui le passò un
braccio
sopra le spalle e se la strinse contro; la carezza delle sue dita tra i
capelli era da fusa, Jo si stupì che dalla pancia non le
uscisse
un ronron soddisfatto.
- Non è un dramma, - Steve aveva appena ingollato
un altro
cucchiaio gigante del gusto blu – ai miei tempi la Tv non
c’era e le serate passavano lo stesso.
Invece che il ronron, dallo stomaco Jo sentì di
nuovo il
dolorino (stavolta più un dolorone) che non le fece godere
del
tutto la cucchiaiata successiva.
“Perché
il papà e gli zii sono in cinque e io sono da
sola?”
“Tesoro della
nonna, ai miei tempi non esisteva la Tv e si passavano le serate in
altri modi…”
Jo rise nel ricordare la scena successiva: suo padre che le
tappava le orecchie e zittiva
la nonna con un’occhiataccia. Sussultò per la mano
di
Steve che le toglieva una ciocca di capelli dalla fronte.
- Un penny per i tuoi pensieri.
- Non ti farebbero piacere.
- Tenta. Tanto sono talmente stanco che mi sarò
scordato tutto tra qualche ora.
Jo rise e fissò una stellina di cioccolato che
spuntava dal suo boccone di gelato. Decise per una mezza
verità:
- Pensavo che parli come mia nonna.
- Quella deliziosa signora che gioca a bridge con me e
prepara una
torta di mele stupenda? Mi sento lusingato dal paragone. –
Steve
le prese il polso e deviò il cucchiaio con il gelato verso
la
sua bocca.
Dopo altri abbondanti bocconi, arrivò il fondo
del
barattolo: Jo fece il saluto militare.
- Addio, sfortunato cittadino, non dimenticheremo i tuoi
coloranti
artificiali e il tuo ridotto contenuto di colesterolo. Steve,
è
morto, non puoi farci nulla.
Steve stava scavando nelle fessure del barattolo per
raccogliere fino all’ultima goccia di gelato, ma ne
racimolò giusto una punta.
- Non è che hai in freezer anche della pancetta,
o della carne che sta andando a male?
- Ehi, Tre Volte Più Veloce! – Jo gli
colpì la
mano con il cucchiaio. – Aiutare la gente mette un certo
appetito, a quanto pare…
Steve continuò a guardarla, implorante. Jo
sospirò.
- Devo avere delle uova e del bacon. Non avrò la
mano dell’agente Carter, ma vediamo cosa posso fare.
Steve le diede un bacio e la lasciò andare verso
i fornelli
(“Fortuna che la nonna ha insistito che li mettessi a
gas!”). Jo dovette provare qualche volta prima di riuscire a
rompere il guscio delle uova, e non tutti i tuorli rimasero interi.
L’odore della pancetta sfrigolante la svegliò un
pochino
di più, quel tanto che bastò per preparare anche
una
brocca di caffè: il profumo tostato fece il resto.
- Sei una donna da sposare. – Steve era arrivato
alle sue
spalle e le aveva cinto la vita con le braccia. – Ed
è
proprio quello, che volevo chiederti.
La mano che reggeva la padella sembrò
trasformarsi in burro nei secondi che Steve ci mise per inginocchiarsi
a terra.
No, dai, sono stanca. No,
non si
è inginocchiato per terra nella mia cucina, non sta tirando
fuori dalla tasca un, ohmiodio, un cofanetto. E quello non è
un…
- Voglio poter uscire in missione, come stanotte, e sapere
che non
sarai distrutta a piangere per me, ma mi starai aiutando. Voglio
tornare in un posto dove so che ci aspetteremo a vicenda per preparare
bacon, pancetta e gelato alle cinque di mattina. Vorrei passare il
resto della mia nuova vita con te. – le infilò
qualcosa
all’anulare, ma Jo non aveva il coraggio di togliere gli
occhi
dai suoi.
- Anche se parlo come tua nonna, vuoi sposarmi, Josephine
Elisabeth March?
Muovi… muovi
quella testa, annuisci! E non piangere, maledizione non…
Jo sentì il freddo del cerchietto di metallo sul
dito e subito dopo le dita bagnate di lacrime.
- Ehi, non era proprio l’effetto che volevo
ottenere.
– Steve la abbracciò e lei poté
soffocare i
singhiozzi contro la maglietta bianca.
- Io… e io ieri notte volevo solo… oh
mio dio, Steve.
- Credo che esista un solo Dio…
-…e non si veste certo in questo modo.
Steve rise, e anche a Jo scappò qualche risatina
tra i singulti.
- Oh, bene, stiamo migliorando. E dopo il grande ritorno
dell’ironia, che ne dici di smettere di tenermi sulle spine?
Jo staccò la guancia dalla maglietta di Steve e
gli posò le mani sul petto. Sull’anulare sinistro
brillava quella cosa
là e sembrava avesse assorbito tutta la luce
che se n’era andata da New York.
- Sono le cinque di mattina, Steve.
- Cinque e mezza, a essere precisi.
- Siamo nella mia cucina.
- Esatto.
Forse si era addormentata sul divano. Strusciò un
piede sul
pavimento della cucina e urtò una delle due ciabatte, ancora
zuppa: il fastidio dell’acqua gelida sul piede nudo era
troppo
vero.
Steve.
In cucina.
Con un anello.
- Sì.
Steve la stritolò contro il suo petto e le
riempì di
baci i capelli e la fronte. Jo si allungò per gettargli le
braccia al collo ma scivolò sulla ciabatta bagnata.
Mancò
le spalle e si aggrappò alla stoffa della maglietta. Le
braccia
di Steve la sorressero prima del capitombolo finale.
Lui, non contento, la sollevò in braccio e la
portò
fino al divano in salotto. Scalciò via il barattolo vuoto
del
gelato e la buttò fra i cuscini.
Jo seguì il barattolo che rotolava fino a
sbattere contro la giacca abbandonata.
- Capitano Rogers, dovremo fare qualche discorso sulla
pulizia e
l’ordine in casa, per quan… - Steve la
zittì con un
bacio e salì sopra di lei, sul divano.
- Steve?
Jo lo guardò negli occhi e riconobbe quella espressione.
- Scusami, io… Non credere che abbia detto tutto
per
arrivare qui, non so nemmeno… non so nemmeno bene cosa
devo… voglio fare.
Stavolta fu Jo a interrompere con un bacio il fiume di
parole. Il
dolorino di rimpianto si era trasformato in un ruggito di gioia che le
aveva riempito lo stomaco, la testa e il cuore.
- Signora Rogers, non suona bene?
Jo inspirò una boccata di fumo dalla sigaretta
mentre
contemplava il brillante che rifrangeva la luce mattutina. Alla domanda
di Steve, il fumo le andò di traverso e lo tossì
fuori,
con gli occhi che le lacrimavano.
- Ehi, – rise lui – mi pareva di aver
capito “sì” qualche ora fa.
Jo lo guardò, truce, e si risistemò il
lenzuolo sul seno.
Steve si era appoggiato su un fianco per godersi meglio la
scena.
Con la sua sigaretta in mano, i capelli spettinati e il lenzuolo poco
più sopra dell’ombelico, era stupendo.
Guardò la
brace della sigaretta e inspirò anche lui una boccata di
fumo.
- Ora capisco le scene dei film. È…
soddisfacente.
- Soddisfacente?
–
Jo rise e appoggiò la testa sulla sua pancia. Con il pollice
rigirò l’anello attorno al dito e sorrise,
perché
“signora Rogers” suonava assurdamente bene.
- Senti, futura signora Rogers…
- Steve, per piacere.
- Ok, senti Josephine – Steve spense la sigaretta
nel
posacenere – non è che riusciamo a dare una
scaldata a
quelle uova e quel bacon di prima?
Jo spense a sua volta la sigaretta e si
stiracchiò. – Letto e cucina, non male come
accoppiata.
- Gli unici due posti dove dovrebbe stare una donna.
Jo rimase pietrificata anche dopo che Steve
rischiò di soffocare dalle troppe risate.
- Ma brutto…
Jo afferrò il cuscino e glielo sbatté
in faccia: da
dietro l’imbottitura, le risate continuarono, anche se
più
soffocate. Steve bloccò i suoi tentativi di pugni con la
stessa
facilità con cui avrebbe fermato una bambina, e la
tirò
sopra di lui.
- E voglio le camicie stirate. Che tempi, se continua
così le donne vorranno anche votare!
- Idiota. – Jo si liberò e
cercò a tastoni la
maglietta caduta sul pavimento. Steve si tirò a sedere sul
letto
e si stiracchiò.
- Non è che hai un’altra sigaretta?
- Nel cassetto del comodino – rispose Jo
d’istinto
mentre andava verso il bagno. – NO, IL CASSETTO! –
urlò ritornando indietro. Ma Steve aveva già
scovato quell’altra
cosa là.
- È nuovo.
Tra tutte le osservazioni, tutte! (è blu e rosso,
è
di pizzo, è nel tuo cassetto), perché proprio
“è nuovo”? Perché quella che
le avrebbe
mandato a fuoco la faccia?
- Già.
- Quindi, se è nuovo… - Steve
aveva un’espressione abbastanza diversa da quella solita da
bravo ragazzo.
E Jo confessò tutto, da Carter alla moto, a
Barbie e il suo
completo Victoria’s Secret. A ogni particolare, avrebbe
voluto
che si aprisse una crepa nel pavimento, un buco nero nel soffitto,
qualsiasi cosa.
Però Steve che rideva, e rideva ancora di
più per il
suo imbarazzo, e poi la abbracciava di nuovo, e poi proponeva una prova
del babydoll di pizzo (“la povera Barbara ci rimarrebbe
male”) valevano anche la confessione di aver tentato di
sedurre
capitan America.
- L’alimentazione del New York University Hospital
sta
procedendo senza problemi. Il flusso di energia è stabile e
tutti i macchinari funzionano a pieno regime. Bene signor Stark, da
stasera lei è un genio miliardario playboy molto ma molto
filantropo. – Pepper guardò fuori dalla Stark
Tower il
punto di luce in mezzo al buio, corrispondente all’ospedale
che
l’energia del reattore Ark stava alimentando.
- E non trova estremamente sexy tutta questa filantropia,
signorina Potts?
Pepper sfuggì all’abbraccio di Tony e
gli
batté una penna sul naso. – Settimana prossima i
piccoli
ricoverati dell’ospedale ti consegneranno
un’onorificenza.
Credo che si aspettino di vederti arrivare in tutto il tuo splendore da
Jeeg Robot d’Acciaio.
- Lega metallica di oro e titanio.
- Dettagli. I bambini adorano i robottoni.
- Anche gli amministratori delegati, ho sentito. Soprattutto
se
sono giovani e attraenti. Sarò costretto a mandare una
lettera
all’ufficio contro le molestie sul lavoro, signorina Potts.
- Perfetto, finirà seppellita sotto tutte quelle
contro di
lei. – Pepper si appoggiò alla scrivania e
lasciò
che Tony la baciasse. – Invece sai di cosa avrei bisogno, in
questo momento?
- Uno fa di tutto per non essere volgare e/o ammiccante e
poi tu…
- Avrei bisogno - Pepper gli tirò il pizzetto in
modo che
abbassasse lo sguardo, - di cambiare aria e farmi una bella colazione.
Dici che gli agenti SHIELD sono abbastanza affamati da tenere aperto il
diner Apollo anche dopo l’uragano?
- Controproposta. Ce ne andiamo a letto e dopo ti preparo un
bel
caffè. Per essere precisi, il caffè lo
preparerà
Jarvis, ma dato che io ho costruito Jar… -
Pepper lo zittì poggiandogli l’indice
sulla bocca.
- Tony, sono rimasta alzata 48 ore a guardare dieci schermi
contemporaneamente, mentre tu e Bruce trovavate il modo di convogliare
e deviare parte dell’energia della Stark Tower per
riaccendere
Manhattan. Ho le tempie che mi pulsano e tanta voglia di un french
toast dorato a puntino.
- Ecco, Bruce Banner, ottimo punto. Lui adesso il mal di
testa lo sta smaltendo assieme alla bella lavanderina.
- Tony.
- Ok, french toast. Ma più tardi, se proprio vuoi
restare in tema di Francia…
Tony riprese fiato dopo la gomitata di Pepper che erano
già
entrati nel diner Apollo. Il locale era molto più affollato
del
solito, sia di personale SHILED che di comuni agenti di polizia.
Carter coordinava la distribuzione di una fila ordinata di packet-lunch,
preparati apposta per chi doveva tornare in fretta ai punti di
soccorso. Al trillo della campanella d’ingresso, non si
girò neppure nella loro direzione, ma esclamò
senza
perdere un secondo: - Signor Stark, un attimo e sono subito da lei e
dalla signorina Potts!
La folla nel locale si smaltì nei dieci minuti
successivi,
lasciando il diner sgombro e, come unica colonna sonora,
l’agente
Carter che sbatteva uno dei suoi impasti nella ciotola, vagando per il
corridoio che separava la cucina dai tavoli. Quando arrivò
dove
erano seduti, tirò fuori il rilevatore.
- Scusi, signor Stark, protocollo.
La luce blu scannerizzò tutto il corpo di Pepper,
che fu
dichiarata pulita. Anche il corpo di Tony passò sotto la
luce
azzurra senza che trovasse nulla di anomalo. Tony aveva già
attaccato la brocca di caffè, perché la
fissità
con cui si stava occupando della plastica del tavolino non gli garbava
molto. Doveva aver guardato talmente tanto gli schermi delle Stark
Industries che ora vedeva il suo cognome ovunque, in azzurrino.
- No, un attimo.
Strappò di mano a Carter il rilevatore e
puntò di
nuovo la luce sul tavolo: in stampatello apparve scritto
TON…ARK
e sotto, in corsivo, una specie di elenco in tre punti. Tony
puntò la penna ancora più vicina alla superficie
del
tavolo e cominciò a decifrare parola dopo parola la
scrittura.
Fu dopo la difficile computazione di “inversamente
proporzionale” che sentì il rilevatore strappato
dalla sua
mano.
- Agente Carter!
Big Jim stava passando una spugnetta sul tavolo e aveva
già infilato il rilevatore nella tasca del grembiule.
- Mi scusi, signor Stark, informazioni riservate.
- C’è il mio nome, in quelle
informazioni riservate.
- Solo perché lei era stato candidato come
agente. Poi la missione è stata affidata ad altri.
Tony si grattò il pizzetto. Il suo quinto senso e
mezzo
aveva fiutato una notizia succulenta. Seguì
l’agente
Carter fino al divisorio della cucina e si mise e mangiucchiare un
biscotto alla cannella.
- La missione.
- Non sono autorizzato a dare ulteriori informazioni.
- Ma non serve che parli, agente: facciamo finta che io stia
giocando a, diciamo così, Cluedo. Allora, cominciamo dal
colpevole… Intanto non è un agente addestrato.
Una spia
non scriverebbe mai un piano su un tavolino di un luogo pubblico.
Però ha libero accesso a questo locale, e una confidenza
tale
con me che presuppone io spenda dei soldi per riarredarle la casa.
– Tony sbirciò il volto dell’agente in
cerca di un
anche minimo cambiamento, ma nulla. – Oppure, il colpevole
vuole
ottenere una cosa per cui sa che io spenderei energie, o almeno dei
soldi per un completo sexy. Quindi, colpevole che viene qui spesso, mi
conosce bene, vuole una cosa che in un certo senso voglio
anche
io, per ottenere la quale serve un completino sexy. Escluderei Banner e
pure Barton, e direi anche Fury e la Romanoff. La prego mi dica che non
è l’agente McCallan! No, ma non ho così
tanta
confidenza con il buon Bree. Beh, è inutile girarci troppo
intorno: dico che il colpevole è… la cameriera!
L’agente Carter si era chinato per togliere una
teglia di
muffin dal forno. Tony interpretò il suo sbattere il
portello un
po’ più forte come un indizio che era sulla strada
giusta.
- Il luogo, beh, il luogo è facile. Qui si parla
di un appartamento
che non può che appartenere alla scrivente, cioè
alla
suddetta cameriera. L’arma del delitto è
altrettanto
facile. Se non sarà il completino già citato,
sarà
comunque la seduzione.
L’agente stava disponendo i muffin in una
graticola. Nulla nei suoi gesti faceva trapelare del nervosismo.
- Però in Cluedo è più
facile, la vittima
è data per scontata all’inizio della partita,
mentre
qua… Oh avanti Carter! Io cerco di stare al gioco ma lei non
mi
dà corda per nulla!
Il dlindlin della campanella distolse lo sguardo di Tony
dall’agente, che stava stappando una latta di pesche
sciroppate
sempre senza degnarlo di attenzione, e lo convogliò sulla
porta
di ingresso, spalancata dall’agente March sottobraccio a
Rogers.
Facce stravolte ed esultanti, vestiti del giorno prima
rimessi in
fretta e furia, un insolito e sospetto punto luce
sull’anulare
sinistro di lei. Forse nelle sue ipotesi di Cluedo andavano invertiti
vittima e colpevole.
O forse erano semplicemente interscambiabili.
- Caspita, le zone costiere sono state flagellate! Tony,
leggi
qua. – la voce di Pepper gli arrivò da dietro le
spalle.
- Dopo, ho un’altra notizia mooolto interessante.
- Mh?
- Pepper, ti prego di assumere un’aria solenne.
- Ecco, sono solennissima.
- Forse abbiamo scongelato il ghiacciolo.
La tana di Otto
Capita che gli scrittori di fanfiction abbiano degli amici che si
prendano a cuore le sorti di personaggi di cui scrivi, e ti lancino
anche non proprio velate minacce se li trascuri per un po' di tempo. Di
conseguenza, Tony Stark aveva cominciato da tempo ad avvertirmi, e
nell'ultima settimana un minaccioso cartello sulla porta mi avvisava
che sarebbe stato gradito un mio intervento riguardo lo svezzamento di
capitan America con una
certa cameriera di diner.
Anche, perché, e sono emozionata nel dirlo, la mia ship
è STAN
LEE APPROVED. Sapevatelo.
Ciao corvacce, dico a voi due, ovvero le mie sempre più sexy
assistenti Dragana
e Vannagio,
che come sempre si sono sobbarcate anche le letture in progress della
storia. In particolare, grazie a Vanna per avermi aiutato con
l'idea di ambientare la storia durante l'uragano Sandy, e a Dra per
aver suggerito a Tony la sua battuta finale.
Un altro ringraziamento al Consulente, che vuole rimanere anonimo, per
come mi ha aiutato a delineare la psicologia di Steve in una situazione
come questa.
Noticine sparse:
- l'uragano Sandy ha colpito New York il 29 ottobre verso le
otto
di sera. Come conseguenza, ci sono stati blackout diffusi, allagamenti
di tunnel e metropolitane, molti danni sulle coste. I grandi quartieri
residenziali di New York sono formati per la maggior parte da villette
monofamiliari prefabbricate e con allacci della luce, diciamo
così, creativi. Questo ha causato non pochi problemi e anche
la
necessità per molte famiglie di sfollare. Il centro di
assistenza dove ho mandato Jo è uno dei numerosi che sono
stati
preparati in vista dell'uragano. Purtroppo il New York University
Hospital non aveva a disposizione il reattore Ark, quindi è
stato evacuato nei giorni precedenti il 29 ottobre.
- il gelato American Flag esiste davvero. E' una delle cose
più
chimiche che abbia mai mangiato, dopo i biscottini rossi e blu
dell'uomo ragno (America, ti adoro quando inventi certe cose), ma le
stelline di cioccolato sono buone. Il Pulled Pork Jelly, invece, spero
rimanga una cosa che è giusto non esista.
- Elephant Love Medley è il nome di una canzone di Moulin
Rouge.
La stanze dell'elefante è quella dove Satine dovrebbe
sedurre il
duca, e invece si ritrova a innamorarsi di Christian.
- il difficile rapporto del genere maschile con i pois è
cosa confermata dalla scienza. Anche il Consulente conferma.
- la battuta "Esiste un solo Dio, e di certo non si veste in quel modo"
la pronuncia Cap nel film Avengers, e la trovo semplicemente perfetta
sotto ogni aspetto.
- il quinto senso e mezzo di solito è prerogativa di Dylan
Dog,
qui l'ha preso in prestito Tony, che può perché
è
Iron Man.
- la bella lavanderina la potete trovare di
qua,
date un occhio che ne vale la pena. E se volete sapere cosa
è
successo davvero tra lei e Bruce, finita l'emergenza Sandy, date
un'occhiata alla pagina delle recensioni che vi risponde Jade in
persona!
- devo spiegare cosa sia e come funzioni Cluedo? Ditemi di no che
sennò mi sento vecchia quasi come Steve.
E alla fine delle note che non finiscono mai, un grazie gigante a
chiunque passerà di qui.
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