Sarà una giornata gelida. Il vento singhiozza in questa alba
livida, le onde fragorose si accaniscono sugli speroni della scogliera.
Farà freddo, oggi: il mare, scaglia a scaglia,
cambierà colore, si tingerà di verde e di blu
elettrico, le nuvole disegneranno ombre scure sulla distesa cangiante
senza fine, la luce bianca divorerà i colori. Quando le
carene variopinte accarezzeranno la spuma bianca con gesto molle e
dolce, perfezionato nei secoli, il mare risponderà
vigorosamente: le chiglie tremeranno avvolte dai flutti il silenzio si
impadronirà dei marinai intenti a scrutare
l’orizzonte. Avranno mare, mare,mare e ancora mare: davanti,
dietro, sotto (come è misterioso il gorgoglio del fondale:
tra conchiglie ed alghe ed ossa è forse nascosto un tesoro?)
e da ogni parte, mare a perdita d’occhio e sopra un cielo
bianco coperto di nuvole pesanti ( è un altro mare attento e
vigile, mobilissimo come il suo speculare compagno e come lui impegnato
in una danza eterna; d’amore, di sfida?). Risucchiati nel
vortice dell’immanente (àncora e reti e cordame e
fatica e sudore), nudi davanti al poderoso spettacolo saranno, ancora
una volta, incapaci di pensare… e questo forse li
salverà dalla follia.
Mi chiamo Fryn, sono figlia del fiordo e dell’oceano senza
fondo. Quando mio padre è scomparso tra i flutti, trascinato
a fondo col suo guscio di noce, le sirene sono venute da me.
“Non piangere, piccola Fryn ” così mi
hanno detto - lo dico sempre a Pietr anche se lui non mi vuole credere-
e mi hanno messo una collana d’alghe intorno al collo. Io non
potevo respirare, per la collana e per i singhiozzi intendo, e
perché tutto era così sottile e terso che un
soffio lo avrebbe portato via; così sono rimasta ferma
guardarle: nel buio della sera, in mezzo agli scogli, i loro occhi
bianchi brillavano come piccole lune.
“C’è una culla per te in fondo al mare,
piccola, una culla di pietra levigata e bianca”, dicevano con
le voci tranquille, “C’è un vestito per
te, fatto di alghe blu e verdi e di conchiglie, ci sono perle bianche e
rosa e perfino nere, per quando saprai cos’è il
dolore” ed era così dolce quel loro accento
musicale, così struggente, che avrei lasciato che
l’onda mi portasse via con se. “Tu sei figlia del
fiordo e dell’oceano senza fondo, Fryn, tua madre era una
sirena dagli occhi azzurri. Il mare, il palazzo di cristallo ti chiama,
bambina” e con un guizzo sono sparite tra le onde.
Quando l’ho detto a Pietr si è fatto triste, ha
fissato i miei occhi azzurri senza vederli veramente, ha cercato
nell’iride un briciolo di umanità ma vi ha trovato
solo il colore stupefacente del mare. Poi si è arrabbiato:
“Ricordati del sole” mi ha detto
“Ricordati della luce e dell’aria” ed
è scappato perché era tardi, perché il
sole era già spuntato. Gli sono corsa dietro (ve lo
immaginate il mare che corre tra le rocce? Sono un torrente montano,
una naiade bambina… e ho gli occhi azzurri di una sirena)
“prendi almeno la giacca pesante di Papà, Pietr,
farà freddo oggi, l’alba, laggiù
all’orizzonte si tinge di rosso” ma lui
è scappato via veloce, è già sulla
spiaggia. La barca entra in mare, i marinai armeggiano con le reti.
Quando tornerai avrai una conchiglia per me, Pietr, e una carezza, lo
so. Ma tu non senti, non ti raggiunge il richiamo del mare. La voce suadente
delle sirene non ti incanta, Pietr, non ti smuovono dal tuo amore per
queste rocce i loro brillanti occhi bianchi (com’è
triste l’amore che non capisce, l’amore
incondizionato e miope).
Il mare mi ha preso e rapito, ridono e mi chiamano pazza. Folle, folle
di spuma e onde. La piccola matta degli scogli.
Portamele quella conchiglia, grande Pietr, fratello, ti prego: stanotte
dormirò ascoltando il rumore del mare. E portami anche una
collana di alghe da mettere al collo, più lunga che puoi, ed
un vestito verde ed azzurro, come il mare, trapunto di perle. Torno a
casa stanotte, Pietr, torno all’urna di cristallo (bella,
bella come un castello fatato) alla bara bianca e nuda, come una culla.
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