Ciao!
xD
Ehm, non so cosa dire. Che devo dire? Boh. Mi conoscete già,
sono Fabi, e se non mi conoscete: ciao, sono Fabi e mi sto buttando
in questa cosa... dove io scrivo e qualcuno legge. ._. Ok, vi spiego
in breve: sono tornata indietro nel tempo di circa 4 anni e sono
andata a parare al 2008, Vanity Fair, uno dei servizi che amiamo di
più di tutti. Quindi niente. Io l'ho immaginato
così e volevo
condividerlo :)
Spero
vi piaccia, buona lettura.
PS.
E' una OS, non sono brava con le FF, mi partono le scene a random e
scrivo xD
Stand by me
OS
#1. Vanity Fair 2008
Kristen's
pov
Era la mattina dell'11
Novembre 2008 quando la mia vita
cambiò radicalmente.
Ero in una strana roulotte e
circa
sette persone, che avevano impieghi diversi, mi giravano attorno.
Beh, sì. Si trattava di uno di quei photoshoot che rimangono
nella
storia, avete presente? Uno di quelli che i fans ricorderanno a
lungo, uno di quelli che, tra dieci anni, guarderò e mi
chiederò
"Ma ero davvero io?".
E poi era uno dei nostri
primi photoshoot assieme.
La sera prima, a cena con il
resto
del cast, mi aveva rassicurata dicendo che sarebbe andato tutto bene,
che, essendo tutti insieme, la cosa non mi sarebbe pesata
più di
tanto. Era la prima volta che mettevo piede in un vero set per un
servizio fotografico, era la prima volta che avevo un compagno di
"avventura", ero nuova, era un modo nuovo.
Mi sentivo
stranamente piccola, indifesa e spaventata. Tutto quell'andare di
fretta, tutto quel trucco, tutto quel sistemarmi i capelli, tutto
quello che girava attorno a questa nuova vita mi spaventava.
Mi
piaceva rimanere in camera a leggere libri. Decine di libri. Da sola,
mi piaceva stare da sola. Lo amavo.
Adesso non sono sola
quasi mai. Non sono sola neanche quando lo voglio perché
volere o
volare qualcosa da fare: interviste, premiere, photoshoot, incontri,
c'è sempre.
Capite bene che, per
un'attrice alle prime
armi, che fino ad ora aveva girato solo ed unicamente film
indipendenti, film che attraggono al cinema massimo quindici persone,
film sconosciuti, tutto questo caos era davvero l'inferno.
Ma,
ormai, ci avevo messo un piede dentro, dovevo continuare. Dovevo
continuare e passo dopo passo sarei andata avanti, nel bene e nel
male.
Non ero sola. C'era
Robert.
Robert è uno di
quei ragazzi che guarderesti per ore, senza mai stancarti, senza
trovare nel suo volto o nei suoi gesti un piccolissimo
difetto.
Uno
di quelli che lasciano il segno.
Anche lui, in questo genere
di cose, era nuovo. Aveva girato, come film non indipendente, il
quarto film della Saga di Harry Potter: Harry Potter e il Calice di
Fuoco.
Lui era l'affascinante Cedric
Diggory.
L'affascinante-poi-assassinato-Cedric-Diggory.
Tutti
lo conoscevano come il ragazzo dell'ultimo anno della casa del Tassorosso, ma io lo conoscevo come Robert. Robert
Pattinson.
Ragazzo londinese, con uno
strano accento
inglese. Accento inglese che, in realtà, ho sempre
adorato.
Era
alto (più di me sicuramente), occhi celesti e capelli
arruffati,
spesso un'incolta barba biondiccia appariva, mi piaceva quella
barba.
Una delle cose che mi
dispiaceva perdere di lui ogni
volta che, dopo un periodo di pausa dal set tornavamo, era la sua
barba. Gli dava quel tocco di...mistero e fascino, misto a qualcosa
di malinconico e trasandato.
Non so spiegarlo. Mi piaceva
la sua
barba. Vi può bastare?
Continuavo a fissare la
strana e arida
radura che si apriva davanti a me, mentre Kate continuava a
sistemarmi i capelli.
La cosa positiva di questo
photoshoot?
Eravamo liberi. Non avevamo restrizioni, vestiti strani, vestiti
importanti, eravamo noi. Eravamo casual e poco eleganti. I nostri
vestiti e il nostro aspetto rispecchiava quello che, al di fuori
delle premiere e degli eventi pubblici, eravamo davvero.
Jeans,
maglietta e converse, per Robert.
Un vestito nero, che
sfiorava
metà delle mie cosce e un paio di converse, per
me.
La
prima parte del servizio era destinata alla copia Edward e Bella,
quindi alle 10.30, circa, sul set c'eravamo solo io e
Robert.
Toc-toc.
"Sì?", chiesi.
"Sono
io, apri!", era Robert.
Kate cercò di
velocizzare il
suo lavoro, aggiustando qualche ciocca qui e lì e cercando
di farli
sembrare del tutto naturali.
"Entra Rob, è
aperto".
"Oh,
sono educato e mi piace bussare, scusami eh.", rispose mentre
aprì la porta ed entrò dentro.
"Sono tredici secondi che
sei qui e già non ti reggo più, vedi di
calmarti", risposi
facendo la finta offesa.
"Ah, ok. Allora le due
ciambelle
posso mangiarle io, ciao", fece per andarsene.
"No! Dove
vai? Dammi la mia ciambella!", cercai di avvicinarmi a lui con
la sedia ma Kate mi lanciò uno di quegli sguardi...
agghiaccianti,
della serie: "sto facendo il mio lavoro, non rendere le cose
difficili".
"Kate, potresti lasciarci
dieci minuti
per far colazione? Ti prometto che poi sarà di nuovo tutta
tua",
chiese Robert in modo educato, sfoggiando uno di quei sorrisi a
quarantasette denti che non avevo mai visto prima d'ora sul suo
viso.
"Certo Signor Robert, non
c'è problema. Ci vediamo tra
poco Signorina Kristen".
Le avevamo ripetuto diverse
volte
che, davanti ai nostri nomi, non andava quel "signore" o
quella "signorina", poteva chiamarci Robert e Kristen.
Kristen e Robert. Stewart e Pattinson. Come credeva, insomma. Ma lei
non ne voleva sapere.
Chiuse la porta e ci
lasciò da
soli.
"Allora, questa è
tua", indicò quella più
piccolina, "e questa è mia", indicò quella
più
grande.
"Sei uno stronzo, il caso
è chiuso",
risposi ridendo.
"No, ho solo fame, Kristen!",
quasi
urlò.
"Va bene, te lo concedo. Dai,
sediamoci. Vuoi qualcosa
da bere? Ehm, in realtà non è casa mia quindi non
so cosa ci sia
nel frigo bar, però possiamo vedere...", mi diressi verso il
piccolo frigo bar bianco nella zona cucina della roulotte.
"Ahm,
ce l'hai un' Heineken?", chiese spensierato.
"L'Heineken?",
chiesi sorpresa. Erano le 10.30 del mattino, per Dio!
"Sì.
Sposa bene con le ciambelle la mia Heineken.", rispose tutto
fiero.
Presi la bottiglia verde
dell'Heineken dal frigo e la posai
sul tavolino. Mi sedetti di fronte a lui e iniziai a mangiare la mia
piccola ciambella.
Lui mi fissava. Continuava a
fissarmi e no, non
ho occhi ovunque, semplicemente sentivo i suoi su di me, fissi, che
scrutavano ogni movimento, che percepivano tutto, che respiravano. I
suoi occhi mi stavano respirando. Era possibile?
Si accorse
del minuto interminabile di silenzio e iniziò a canticchiare
una
canzone mentre apriva la bottiglia.
"Isn't she
looooveeeelyyy? Isn't she woooonderfull? Isn't she preeeecious?",
continuò fischiettando la melodia della canzone che,
ovviamente,
avevo riconosciuto.
Isn't She Lovely - Stevie
Wonder.
"Devi
farmi qualche accordo con la chitarra, mi piace questa canzone",
spiegai.
"Certo! Ce l'ho nella
roulotte, magari dopo la
prendo".
Continuammo beati a mangiare
le nostre ciamebelle
infinite.
Il tempo con Robert non
trascorreva mai. Era come se si
fermasse.
Probabilmente volevo che si
fermasse.
Non
dovevo pensarle queste cose, Dio.
Eppure, quel giorno, da
quando
avevo aperto gli occhi il mio pensiero fisso era Robert.
Non Mike.
Non il mio ragazzo. Non-Mike-il-mio-ragazzo. Ma Robert. Robert il mio
collega.
Mi vergognavo ma cosa potevo
farci?
Giuro,
non era una cosa volontaria. Di solito i pensieri non sono mai
volontari. Quelli che albergano nella tua mente, che non escono dalla
tua bocca perché, se escono dalla tua bocca diventano
pensieri
pensati e razionali, quindi i miei sicuramente non erano pensati e
razionali. Ma era comunque più forte di me.
Trascorrevo con lui
quasi dodici ore della mia giornata e il mio ragazzo lo vedevo su per
giù una volta a settimana. Avevo nella mia mente una strana
visuale
di questa situazione.
Robert era il
Lunedì, il Martedì, il
Mercoledì, il Giovedì, il Venerdì, il
Sabato. Mike era la
Domenica.
E' strano, vero? Non avrei
mai immaginato che da
lì a poco Robert sarebbe diventata la mia
quotidianetà.
"Posso
andare in bagno?", chiese come se fossimo a scuola.
"Robert,
non siamo a scuola. Puoi fare quello che ti pare", risposi
sorridendo e prendendo dal frigo una bottiglietta di acqua.
"Non
mi piaceva andare a scuola, la odiavo", disse fissando il tavolo
a mo' di bambino offeso.
"Scusa, non volevo urtare la
tua
indole, piccolo", gli dissi senza degnarlo di uno
sguardo.
Sentii i suoi passi vicini,
si avvicinavano sempre di più
e sentii il suo respiro su di me, lo percepivo.
"Vado in
bagno, Kristen", disse con quella voce da... oddio, non so
esattamente a cosa associarla. Ma era una bella voce. Ehm.
Non
risposi. Rimasi immobile. Neanche l'acqua scendeva più nella
mia
gola. Si era fermato tutto.
Non era la prima volta che
succedeva una cosa del genere, non era assolutamente la prima volta e
il fatto che, quasi sempre, la mia reazione era questa mi spaventava,
mi spaventava davvero.
Sentii lo scarico del water
provenire dal
piccolo bagno in fondo alla roulotte e mi sedetti al tavolo.
Erano
le 11.05, tra quindici minuti avremmo iniziato il servizio.
Uscì
dal bagno mentre si sistemava la maglia nera che gli fasciava il
busto magro e mi lanciò una delle sue occhiate.
"Ciao",
disse ridendo.
"Ciao anche a te", risposi
continuando a
fare dei sorsi da quella maledetta bottiglietta di acqua che aveva
appena assistito al fascino da cantante trasandato e frustato di
quello stronzo di Robert Pattinson.
I nostri occhi non si
staccarono neanche un secondo. Mi fissava. Lo fissavo.
Non la
smettevamo, non era una cosa voluta, probabilmente.
Era, non lo
so, attrazione?
Probabilmente.
Qualunque cosa fosse mi
piaceva e mi sentivo piena.
Si sedette di fronte a me.
"Tra
meno di quindici minuti dobbiamo essere fuori di qui, Kristen".
"Lo
so, Rob", risposi.
"Perché bevi
l'acqua?", mi
chiese.
"Beh. Perché sono
le 11:00 del mattino e non mi
chiamo Robert Pattinson. La birra non sposa per un cazzo con le
ciambelle", risposi acida.
"Neanche l'acqua sposa con le
ciambelle", disse.
"Sempre meglio della tua
Heineken,
ubriacone", dissi facendo un altro sorso e continuando a fissare
i suoi occhi, fermi sui miei.
"Ascolta, non sono un
ubriacone. Prima di tutto questo trascorrevo quasi ogni
venerdì sera
devastato da qualche super sbronza con degli amici, ma questo non fa
di me un ubriacone!", rispose gesticolando con le mani.
"Ah,
no? Quindi sei astemio, giusto?", chiesi con fare serio.
"Certo
che no! Ma almeno se bevo non guido", rispose cercando di
cambiare argomento.
Ah-ah. Non ero una di quelle
tipe.
"Rob,
non cercare di cambiare argomento. Accetta la realtà. Sei un
ubriacone!", glielo urlai in faccia e scoppiai a ridere. Lui
scoppiò con me.
Lasciai la bottiglietta sul
tavolino.
Posai
i gomiti e mi misi la testa fra le mani. Mi stavo letteralmente
"mantendo la testa".
Lui continuava a fissarmi
divertito
ed io continuavo a scuotere la testa in senso in
disapprovazione.
"Non ce la posso fare con te,
davvero", gli dissi.
"Neanche io con te, ma chi ti
conosce? Ma chi sei? Esci fuori dalla mia roulotte!", rispose
alzando un po' la voce, imitando quella del secondo regista con cui
avevamo lavorato spesso negli ultimi giorni.
Scoppiai a ridere,
non riuscivo a controllarmi. Iniziò a farmi male la pancia
per il
troppo ridere e lui continuava a fissarmi con fare serio, arrabbiato,
era come se lo stessi sfidando.
"Rob, la roulotte
è mia, ma
va beh", gli dissi tra una risata e l'altra.
"Dettagli,
Kristen, dettagli".
Rimanemmo a fissare la radura
davanti a
noi, spiavamo dalle tendine della roulotte e facevamo commenti sulle
varie persone presenti sul set.
Ci stavamo
divertendo.
Ci
divertivamo sempre.
Arrivano le 11:15 e qualcuno
bussò alla
nostra porta.
Era Kate.
"Signorina Kristen, credo che
i
suoi capelli non debbano più essere toccati, quindi ci
vediamo
quando vi concedono una pausa. Posso prendermi una pausa?",
chiese senza entrare.
Mi alzaii e andai vicino la
porta, la aprii
e trovai la piccola signora giapponese.
Era giapponese. Capelli
scuri, occhi scuri, pelle olivastra. Era carina. Mi piaceva il taglio
dei suoi occhi.
Era una bellissima donna di
cinquant'anni circa e
sapeva fare in modo eccellente il suo lavoro.
"Certo che puoi
prenderti una pausa, Kate. Ma, davvero, puoi chiamarmi Kristen",
le dissi per la centesima volta.
"Ehm, grazie mille,
Kristen!", rispose e si allontanò.
Chiusi la porta e
mi trovai Robert in piedi, davanti a me.
Mi fissava
divertito.
"Ti chiama Kristen, a me
continua a
chiamarmi Signor Robert. Sembro così vecchio?"
"Probabilmente
sì, Rob! In effetti sei più vecchio di me",
risposi.
Si
avvicinò e poggiò la sua mano sinistra sul mio
fianco
sinistro.
Avvicinò i nostri
bacini e annusò il profumo del mio
shampoo alla pesca.
"Rob...", dissi come se fosse
un lamento.
"Sssh, Kristen", disse a
bassa voce.
Seguii
il suo consiglio e rimasi in silenzio.
Il battito dei nostri cuori
che aumentava ogni secondo faceva già troppo
rumore.
"Kristen",
disse abbassandosi un po' e avvicinandosi al mio orecchio.
"Mh?",
risposi.
"Sai cosa si sposa oltre
l'Heineken e le
ciambelle?", mi chiese, spostando una ciocca dietro l'orecchio
destro.
"No, cosa?", chiesi incantata.
"Le mie
labbra sulle tue", rispose lentamente.
Non so esattamente
quanti secondi passarono o se aggiunse altro.
Mi baciò.
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