Bombe e menzogne
A te,
che mi hai spezzata.
Bombe e menzogne.
«Me ne vado.»
Distogli lo
sguardo dal libro di storia, gli occhi arrossati dalle troppe ore di
studio si spostano automaticamente verso l’orologio della
biblioteca. Mentre tenti di mettere a fuoco l’ora, uno
sbadiglio
ti costringe a sciogliere le braccia e a coprirti la bocca. Con un
sorriso e qualche lacrima di stanchezza pensi che tre ore di studio
bastano e avanzano.
«Mi riporti a casa?», chiedi mentre inizi a
raccogliere le tue cose sparse sul tavolo della sala studio.
Lui resta in
silenzio,
osservando i movimenti impacciati che ti contraddistinguono da sempre.
Qualche foglio pieno di appunti ti sfugge sotto il tavolo e, quando ti
chini per recuperarli, trova il coraggio di risponderti.
«Me ne vado da qui. Da questa città.»
La
tua mano si
blocca a metà strada tra un respiro e un singhiozzo. Ti
agiti
sotto il tavolo mentre fai finta di voler riacciuffare un foglio.
Quando torni
a guardarlo
sul tuo volto non c’è la benché minima
traccia di
tristezza. Solo una fastidiosa finta indifferenza e un velo di rossore,
dovuto forse al tuo stare a testa in giù – o alla rabbia che sembra volerti
divorare i nervi-.
Aspetti
ancora qualche
secondo prima di parlare: non vorresti mai che la tua voce tradisse
quello che ti agita lo stomaco e la testa. Impili con calma i libri
prima di guardare i suoi occhi verdi: i tuoi ancora non si sono
asciugati.
Spesso
veniva a casa tua,
si sdraiava senza invito sul tuo letto e ripeteva quella frase. Mai,
come quella volta, la sua voce era stata priva di rabbia e
frustrazione, desiderio e aspettativa. Quella frase semplicissima,
pronunciata con la massima calma, era una bomba silenziosa che
aspettava di esploderti nel petto.
«Quando?»
Vorresti
fare un applauso alla gelida cortesia con cui hai impregnato quelle sei
lettere.
Sembra aver
capito il tuo gioco, infatti incurva le labbra e chiude il libro. Quel
sorriso non raggiunge nemmeno gli zigomi.
«Mercoledì.»
Nascondi gli
occhi
sgranati infilando, con gesti meccanici e fin troppo puliti, i libri
nel tuo zaino. Se non avessi concentrato ogni singola parte del tuo
cervello nel renderti conto che oggi è lunedì,
forse
avresti fatto cadere qualcosa.
Fai un verso
di
comprensione e molleggi un po’ la testa, affettando
un’espressione pensierosa mentre ti alzi per infilare la
giacca.
Una giornata di pioggia settembrina è appena diventata il
tuo
incubo.
Anche lui
imita i tuoi movimenti, prendendo la sua giacca e infilando lo zaino su
una spalla.
Sembra
aspettare una tua reazione con circospezione. Inesorabilmente attende
la tua prossima domanda.
Salutate il
bibliotecario con un cenno per poi abbondare l’edificio in
silenzio.
Improvvisamente
ti fermi sotto il colonnato che vi ripara ancora per qualche istante
dalla pioggia che scende lenta.
Si ferma e
aspetta la tua prossima mossa. Non si aspettava la domanda piena di
curiosità che gli rivolgi.
«Dove hai deciso di andare?»
Meriti un
oscar, non fai
che convincertene. I tuoi occhi sono aperti abbastanza da accentuare
quella domanda innocente e le labbra leggermente socchiuse tradiscono
un’aspettativa che non provi davvero.
Esita
qualche istante, le sopracciglia contratte.
«Rimini. Vado a Rimini.»
Ora la sua
voce tentenna. Ti guarda in un modo strano e non riesci a capire
perché.
Fai
l’ennesimo cenno con la testa, ma sembra più un
tic nervoso.
La pioggia
sembra rallentare fino a fermarsi del tutto e voi potete raggiungere
velocemente la macchina.
Per cinque
minuti riesci
a guardare fisso davanti a te, aspettando da un momento
all’altro
il comparire di uno zombie, o di un omino grigio dagli occhi enormi. Ti
andrebbe bene anche un unicorno color arcobaleno, purché ti
faccia capire che la cena ti è rimasta particolarmente
difficile
da digerire.
Prendi in
considerazione
l’idea di tirare fuori una monetina e farla girare sul
parabrezza
nella speranza che continui a girare, come fanno in quel film di cui
non ricordi il nome. Purtroppo sai che è tutto vero, e che
nemmeno nel peggiore degli incubi, la tua mente ti avrebbe giocato
questo brutto scherzo.
Un semaforo
rosso prolunga quel viaggio imbarazzante e senti gli argini prossimi
alla rottura.
Con la coda
dell’occhio osservi il tuo amico concentrarsi sulla strada e
pensi a quanto vorresti prendergli il collo e soffocarlo per averti
fatto una cosa del genere.
«Avevi intenzione di dirmelo una volta arrivato a Rimini, per
caso?»
Entrambi
sobbalzate. Se lui a causa dell’improvvisa domanda, tu per il
tono aspro con cui l’hai posta.
Casa tua
è vicina e sembra considerare l’ipotesi di
accelerare per terminare quanto prima quella tortura.
«No… Non me ne sarei mai andato senza
dirtelo.»
Sbuffi.
Senti le palizzate della tua rabbia scricchiolare pericolosamente.
«Te lo dovevo.», aggiunge.
Crash.
Le tue mani
hanno uno spasmo.
«Me lo dovevi?» Un ringhio, una minaccia.
Pensi a
tutte le volte in cui si era dato del codardo e improvvisamente ti
rendi conto che ti ha sempre mentito.
Ti ha
mentito quando ti ha detto che la vera amicizia l’aveva
conosciuta con te.
Ti ha
mentito quando ti
ha detto che avrebbe affrontato l’università con
te,
perché non voleva perdersi quell’esperienza senza
le tue
battute e le tue crisi pre-esame.
Ti ha
mentito anche
quando ti disse che forse un motivo per restare l’avrebbe
trovato
sempre, perché aveva paura di quello che avrebbe trovato
fuori
da quel mondo ottuso che a lui stava stretto.
Non ti
accorgi che siete arrivati finché non senti la macchina
spegnersi.
Ti guarda e
aspetta.
«Perché ora?»
Senti una
guancia prudere
e porti il dorso della mano a strofinare la pelle. Con orrore ti
accorgi delle lacrime che scivolano silenziose verso il tuo mento.
Non
c’è traccia di tristezza in lui, solo
rassegnazione.
«Non c’è più niente che mi
trattiene qui.»
Silenzio.
Pensi che
sia davvero strano tutto quel silenzio.
Di solito le
bombe, quando esplodono, fanno rumore.
«Non c’è…niente.»,
ripeti come in trance.
Dentro di te
una voce protesta.
“Ci sono io! Io! C’è la nostra
amicizia!”
«Niente.», ripete lui.
E
improvvisamente capisci
che quelle risate e quelle confessioni non erano altro che
l’ennesima menzogna di un’amicizia che non era mai
esistita, se non nella tua mente ingenua.
«Fai buon viaggio.»
Ti ritrovi
nel tuo palazzo senza neanche accorgertene, la pioggia fin dentro le
ossa.
Scivoli a
terra e finalmente sei libera di spezzarti senza remore.
Ci avevi
creduto.
Per
l’ennesima volta ti sei fatta ingannare.
Ora resti
immobile, le gambe incrociate e le braccia abbandonate. Non senti nulla.
Solo
l’ennesimo amico che ti abbandona.
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