Niente è come sembra
«Uff…»
Il giovane Loki
esaminò il livido che aveva sulla spalla. «Sai,
Ikol? Essere picchiati è sempre doloroso, ma essere
picchiati da dei vigliacchi…
È particolarmente
umiliante».
La
gazza, intenta a lisciare le proprie piume col becco, non gli
rispose neanche.
«Se
Thor fosse qui» proseguì il
ragazzino, con una certa amarezza, «si guarderebbero bene dal
mettermi le mani addosso, ma dato che non c’è si
divertono ad utilizzarmi come punching bag».
Si
strofinò il braccio con un sospiro teatrale,
dopodiché recuperò i propri vestiti e procedette
a infilarseli.
Ikol,
dal canto suo, ebbe modo di trovare preoccupante
l’espressione cogitabonda che si era dipinta sul visetto del
giovane dio.
E
quando suddetta aria pensierosa si sciolse nel trionfo di chi ha
avuto un lampo di genio, l’uccello decise di avere il pieno
diritto di allarmarsi.
«Gioisci,
Ikol» lo sollecitò il bambino,
con un sorriso trionfante. «Ho la soluzione ai nostri
problemi: dobbiamo trovare Norman Osborn!»
La
gazza fece schioccare il becco, sbalordita.
Onestamente,
le sembrava che la prima e la seconda parte
dell’ultima frase di Loki fossero un po’ troppo in
contraddizione tra loro.
«E
tu cosa sai di Norman Osborn?» chiese,
prudentemente.
Loki
fece spallucce. «Non molto» ammise.
«Ho letto qualcosina su internet. Ho sentito delle voci. E un
giorno, Thor mi ha portato alla taverna con i suoi amici, e Fandral ha
detto che sarebbe stato interessante vedere come Norman Osborn avrebbe
reagito se io gli fossi capitato davanti come sono ora».
Se
Ikol avesse potuto, avrebbe inarcato un sopracciglio.
«A
quelle parole, però, Thor si è
rabbuiato e ha replicato che invece sarebbe stata una cosa
“nient’affatto divertente”»
concluse Loki.
Sorpreso,
Ikol riconobbe che per una volta era della medesima opinione
del dio del tuono.
«E
nonostante questo, la ritieni una soluzione?»
Loki
si strinse nuovamente nelle spalle. «Norman Osborn
è un cattivo, no? È quello con cui il precedente
me stesso si è alleato per la distruzione di Asgard, giusto?
Be’, se dimostrassi che non ho più nulla da
spartire con lui, la gente si ricrederà sul mio
conto».
“E
come pensi di dimostrarlo senza essere fatto a pezzi,
stupido ragazzino?!” si domandò Ikol, pieno di
irritazione.
«Hai
già cercato di dimostrarlo» gli
fece notare invece. «E qual è stato il risultato?
Smembramento. Morte. Se fossi in te – e in un certo senso lo
sono – io eviterei di farmi ammazzare di nuovo.
Sì, forse non è stato Norman Osborn in persona ad
ucciderti, ma privo di poteri come sei, dovresti evitare uno scontro
con lui. Potresti uscirne molto male».
Loki
sbuffò. «Be’, se non faccio nulla
mi ammazzerà un qualche asgardiano, quindi tanto
vale…»
Si
diede una sistemata alla casacca e si raddrizzò, piegando
il braccio.
«Vieni,
Ikol».
Piuttosto
alterato, l’uccello andò a posarsi sul
polso del ragazzino.
Poco
tempo più tardi, un Loki imbaldanzito e un Ikol
alquanto cupo fecero il loro ingresso nella grotta di Leah.
«Tu
hai un
piano, vero?» stava chiedendo Ikol.
Aveva
la sensazione di somigliare ad un genitore apprensivo, ed era una
cosa che detestava. Avrebbe lasciato quel ruolo a Thor molto
volentieri, ma il dio del tuono era disgraziatamente
deceduto…
«Rilassati,
Ikol» rispose Loki. «Certo
che ho un piano».
La
gazza emise un basso stridio, per nulla rassicurata.
Conosceva
Loki, e sapeva che non era particolarmente scalmanato.
Così
come la sua versione precedente, non aveva una
significativa predisposizione all’arte della guerra, ed era
in grado di starsene chino su un libro – o sul proprio
cellulare – anche tutto il giorno.
Purtroppo,
però, sotto quella superficie di
placidità, il ragazzino fremeva.
Era
irrequieto, e la sua irrequietezza vibrava ogni volta che si
trovava a dover affrontare l’ostilità di chi lo
circondava, di chi lo vedeva come una minaccia.
Ikol
gli aveva rimproverato la sua impazienza, lo stesso Thor lo aveva
ammonito al riguardo.
Ma
per Loki era difficile aspettare. Anelava al perdono, e pareva lo
volesse immediatamente.
E
dopo la morte del fratello, il senso di inadeguatezza e la smania di
riscattarsi che spingevano il ragazzino a fare idiozie…
Be’, si erano ingigantite, secondo l’opinione di
Ikol. L’ultima trovata di Loki ne era la prova lampante.
Leah
si girò verso di loro. Sino ad un attimo prima stava
fissando il vuoto, eppure ora guardò il dio degli inganni
con aria disgustata, come se il giovane avesse interrotto
un’operazione estremamente importante.
Thori,
da parte sua, accolse il padroncino ringhiando minacciosamente.
«Morte? Distruzione?»
Loki
si chinò con l’intenzione di accarezzarlo, ma
dovette ritirare di scatto la mano quando il cucciolo infernale
cercò di morderlo.
Scosse
la testa e si rivolse alla servitrice di Hela.
«Rallegrati,
Leah!» esclamò,
solennemente. «Ho un incarico per te!»
Ikol
si mosse sul suo braccio, tentando di reprimere il proprio
fastidio e allo stesso tempo di escogitare qualcosa che impedisse al
suo protetto di fare una fine estremamente dolorosa.
L’ancella
infernale lo guardò senza interesse.
«Sarebbe?» s’informò.
In
poche parole, Loki le delineò il suo progetto:
«Nella mia vita precedente, mi ero alleato con un malvagio
midgardiano… Ora, lui è detenuto in una prigione
di massima sicurezza, e io intendo andare da lui, per poi affrontarlo e
conciarlo per le feste, così che tutti capiscano che non
sono la minaccia che credono».
Si
fermò un istante per prendere fiato.
«È
un piano brillante» concluse poi, con
l’aria più soddisfatta del mondo.
«Piano
brillante» pronunciò Ikol,
sprezzante. «Missione suicida, vorrai dire».
Leah,
che aveva assunto un’aria scettica durante il racconto
di Loki, lanciò un’occhiata alla gazza prima di
rivolgersi al giovane dio.
«Dunque
cosa vuoi che faccia?»
«Raggiungiamolo!
Scortichiamogli la faccia!»
ruggì Thori, inarcando la schiena e agitando la coda con
fare esuberante.
Loki
sembrò un po’ turbato dall’opzione
proposta dal cucciolo.
Notandolo,
Ikol avrebbe voluto beccarlo con forza: come credeva di
poter fronteggiare Norman Osborn, se impallidiva al solo suono di una
proposta macabra?
Eppure,
quando si era trattato di aiutare Thor, aveva dimostrato di non
cavarsela affatto male, con le minacce…
«Loki?»
incalzò Leah.
Il
ragazzino si riscosse. «Ah, giusto. Tu devi solo trovarlo,
e portarmi da lui».
L’ancella
annuì gelidamente, quindi si
chinò a passare un dito sul capo nero di Ikol.
Lo
guardò con una certa intensità, e
l’uccello ebbe la remota sensazione di avere
un’alleata contro l’incoscienza di Loki. Ma doveva
essersi ingannato, poiché un momento dopo la ragazza si
raddrizzò e disse con calma: «Molto
bene».
Si
concentrò, poi allargò le braccia e
iniziò a preparare un portale.
Thori
ringhiò selvaggiamente davanti alla luce verde che
andava sprigionandosi dalle mani della ragazza, e arretrò di
qualche metro. «Morte! Morte agli esseri di ogni
dimensione!»
Ikol
si rivolse a Loki in tono eloquente: «Lui non lo
portiamo».
Il
ragazzino, però, non fece in tempo a rispondere,
poiché Leah annunciò: «Il portale
è pronto. Attraversalo, e ti troverai davanti Norman
Osborn».
Loki
si ricompose in un sorriso smagliante, mentre Ikol si irrigidiva.
«Grazie, Leah!»
Poi
il dio fece un passo, e attraversò il portale.
Colpita
dalla luce del sole, la gazza traballò sul braccio
del suo padrone.
Loki
sbatté le palpebre, sorpreso, mentre il portale dietro
di lui si richiudeva e scompariva senza lasciare traccia.
Il
ragazzino si guardò attorno, enormemente perplesso.
Si
era aspettato di ritrovarsi in una lurida prigione, in una cella di
massima sicurezza… E invece era nel curato giardino di una
casa dall’aria graziosa.
«Leah
ha sbagliato indirizzo?» si chiese ad alta
voce, attonito.
Per
tutta risposta, Ikol volò sulla cassetta delle lettere,
che mostrava il nome OSBORN
a caratteri cubitali.
«Bizzarro»
commentò Loki.
Se
non ricordava male le proprie esplorazioni su Google Earth, dovevano
trovarsi nel New Jersey.
In
quel momento, un rumore attirò la sua attenzione, e il
dio si voltò di scatto.
A
ricambiare il suo sguardo, però, non fu un uomo folle e
minaccioso, ma un bambino più basso di lui di almeno due
teste.
Sempre
più sconcertato, Loki lo osservò.
Il
bimbo aveva una massa di riccioli ramati e un paio di grandi occhi
azzurri, che lo fissavano diffidenti. E, quando parlò, la
sua voce infantile era altrettanto sospettosa: «Ciao. Tu chi
sei?»
Per
il momento, Loki decise di mettere da parte lo stupore e
cercò di ergersi in tutta la sua altezza. «Io sono
Loki, figlio di Laufey, adottato da Odino» rispose, con
grande solennità.
Era
strano presentarsi in quel modo, non sentendo come un padre
né Laufey né Odino, ma suonava comunque meglio di
«Sono Serrure, figlio di non so chi».
Il
bambino non parve molto impressionato, ma aggrottò la
fronte.
«E
tu?» aggiunse Loki.
Avrebbe
voluto modulare la domanda con un tono imperioso, a beneficio
della propria immagine, ma piuttosto gli venne fuori una voce gentile e
cantilenante, forse a causa della statura ridotta del suo interlocutore.
«Io
mi chiamo Norman Osborn» replicò il
piccolo, con noncuranza, prendendo ad armeggiare col modellino di carro
armato che aveva in mano.
Loki
si girò verso la cassetta delle lettere per lanciare a
Ikol uno sguardo allibito. «Ti sei dimenticato di dirmi che
anche Norman Osborn è morto e si è
reincarnato?»
La
gazza arruffò le piume. «Non è
così».
Il
dio degli inganni si girò verso il bambino e si
accigliò. «Allora Leah ha deciso di spedirci anche
indietro nel tempo?» ipotizzò.
Senza
attendere che la gazza esprimesse la sua opinione, si diresse a
grandi falcate verso il bambino.
Quest’ultimo
si era accucciato sul prato e stava obbligando
il carro armato a farsi strada tra gli steli d’erba.
Loki
si accovacciò alla sua altezza. «Norman, devi
ascoltarmi!» disse, colto da un’ispirazione
improvvisa.
Il
bimbo sollevò gli occhi azzurri su di lui, senza
entusiasmo. E, più che alle parole del giovane dio, parve
interessarsi al cerchio dorato che gli cingeva la fronte.
«In
futuro» annunciò Loki, con aria
saggia, «ti si presenterà l’occasione di
compiere diverse azioni malvagie. Ebbene, non dovrai farlo!»
Il suo tono si fece decisamente melodrammatico mentre continuava:
«Perché la stessa spietatezza che ti
porrà in cima al mondo, ti precipiterà poi ai
suoi livelli più bassi!»
Il
bambino scrollò la testolina e si chinò
nuovamente sul suo modellino.
Loki
lo richiamò: «Mi stai ascoltando?»
«La
mamma dice che non si parla con gli estranei»
replicò il piccolo, con inoppugnabile
perentorietà, senza mettere in conto che lui stesso aveva
appena fornito nome e cognome allo sconosciuto che gli stava davanti.
«Uhm,
tua madre ha ragione, te lo concedo» rispose
Loki. «Però scommetto che ti dice anche che devi
fare il bravo».
«Il
bravo bambino, sì» ammise il piccino.
Ikol,
dall’alto della cassetta delle lettere, cominciava ad
avere l’impressione che quella conversazione stesse divenendo
un po’ troppo assurda.
«Perfetto!»
Loki si illuminò.
«Sai, devi proprio ascoltare tua mamma. E non dovrai
dimenticare i suoi insegnamenti nemmeno quando sarai grande».
«Loki…»
gracchiò Ikol.
«Essere
bravi è bene, essere cattivi è
male» continuò il giovane dio
dell’inganno.
«Loki…»
insistette Ikol, agitandosi.
«E
fare del male alla gente e distruggere è da
cattivi» concluse il ragazzino.
«Loki!»
Ikol si alzò in volo e raggiunse
il padroncino, affondando gli artigli nel suo braccio con forza
eccessiva.
Loki
girò di scatto la testa verso l’uccello.
«Ehi!» protestò.
Il
bambino, invece, contemplò l’animale con un
certo interesse. «Parla» commentò.
«Tu,
ragazzino» lo apostrofò la gazza,
«come si chiamano i tuoi genitori?»
A
quanto pareva, la madre del piccolo lo aveva sì messo
all’erta nei riguardi degli estranei, ma non gli aveva mai
suggerito di diffidare degli animali parlanti, poiché il
bambino rispose senza problemi.
«Mia
mamma si chiama Liz, mio papà
Harry».
Si
rabbuiò un po’, nominando il secondo, ma Loki
non lo notò.
Ikol,
infatti, gli aveva appena assestato una dolorosa beccata sulla
nuca.
«Ahia,
Ikol!» protestò il ragazzino,
alzando un braccio a proteggersi il viso. «E questo per che
cos’era?»
«Per
farti presente che hai sbagliato su ogni
fronte» replicò l’uccello, con grande
dignità.
Loki
lanciò uno sguardo imbronciato al bambino. «E
questo cosa vorrebbe dire?»
«Harry
Osborn» gracchiò Ikol.
«Questo è il figlio di Harry Osborn. È
il nipote
di Norman Osborn».
Loki
sbatté le palpebre, assimilando la notizia, e
sentì una strana, improvvisa affinità con quel
bimbo, poiché entrambi portavano un nome che implicava una
storia molto più grande di loro.
«Oh,
diamine» disse. «Non sapevo che
Norman Osborn fosse nonno! O che avesse un nipote che si chiama come
lui…»
“Questo
ti insegni che non puoi sapere tutto dopo una
semplice ricerca su internet” pensò Ikol, stizzito.
A
dirla tutta, era sollevato che le cose fossero andate
così. Che Loki non si fosse trovato a fronteggiare Norman
Osborn, ma il suo innocuo nipotino.
«Oh,
bella!» Loki scosse il capo. «Io
credevo di aver fatto un viaggio nel tempo, e invece si tratta di un
caso di omonimia». Fece una smorfia. «Leah deve
essersi divertita molto, a spedirmi dalla persona sbagliata».
«Faremmo
meglio a tornare…»
osservò Ikol.
«Hai
ragione». Il giovane dio si alzò in
piedi, con un sospiro. Diede un’occhiata al bambino che
giocava col suo carro armato e si chiese se avrebbe dovuto dargli un
qualche avvertimento sulla diffidenza delle persone. Alla fine,
però, scrollò le spalle.
«Be’, Ikol. Come dicono i mortali, prevenire
è meglio che curare».
La
gazza lo fissò. «E cos’avremmo
prevenuto, di grazia?»
Loki
incrociò per un momento gli occhi del bambino
– iridi verdi in iridi azzurre –,
accennò un sorriso e si mise in marcia. «Che
Norman Osborn jr segua le orme del suo caro
nonnino…»
“Oh,
sì, sicuro” pensò Ikol,
ironico, guardando scettico verso il bimbetto che sembrava
già aver perso ogni interesse per loro.
“Perché certamente, prima di incontrare noi, non
voleva altro che diventare il futuro re del caos…”
Quella
sera, quando entrambi furono al sicuro nella camera di Loki, il
ragazzino si accovacciò in un angolo con un libro sulle
ginocchia.
Ikol
gli svolazzò un po’ intorno. Dentro di
sé, approvava il fatto che il giovanissimo dio si stesse
dedicando a un simile passatempo, e avesse momentaneamente accattonato
il suo telefonino e – soprattutto – i suoi piani
suicidi.
Il
clamoroso fraintendimento in cui era inciampato e il sorrisetto con
cui Leah li aveva accolti, domandando se era andato tutto bene,
infatti, lo avevano spinto a rinunciare al progetto di far visita a uno
dei maggiori criminali del pianeta.
Ad
un certo punto, l’uccello venne colpito da un pensiero
improvviso.
«Ora
puoi dirmi cosa avresti fatto, se ti fossi trovato
davanti il Norman Osborn che volevi incontrare?»
Loki
sollevò gli occhi. Chiuse il libro e lo mise da parte,
dopodiché scrollò le spalle.
«Niente».
Ikol
lo guardò male – in effetti, possedeva
un’ammirevole capacità d’espressione,
per essere un uccello.
«Lo
giuro, niente» ribadì il bambino.
«Volevo solo vederlo».
La
gazza aprì il becco con uno schiocco. «E questo
come avrebbe potuto metterti in buona luce?»
Il
ragazzino esitò, muovendo nervosamente le dita. Poi, con
l’aria di chi sta sostenendo una grande prova,
confessò: «Spingere gli asgardiani a ricredersi
sul mio conto non era il mio vero scopo… So che nessun
incontro avrebbe mai potuto convincerli che non sono una
minaccia».
Ikol
era allibito. «Allora perché
volevi
vederlo?»
Loki
arrossì. «Io… È una
cosa stupida, lo so» farfugliò, «ma
pensavo che se avessi visto Norman Osborn, se avessi visto che tipo di
persona era… Se avessi visto con che tipo di persona mi ero
alleato nella mia vita precedente… Sarei riuscito a capire
qualcosa di più sul mio passato. Sul nostro
passato».
L’uccello
lo fissò, ancora non del tutto persuaso.
«In tal caso… perché alla fine hai
rinunciato?»
Loki
si strinse nelle spalle in maniera un po’ impacciata.
Poi, però, i suoi occhi verdi guardarono seri in quelli di
Ikol. «Perché quel bambino… Sono pronto
a scommettere che non si domanda niente su suo nonno, per questo riesce
ad essere completamente diverso da lui. E io voglio essere Loki, certo,
ma voglio esserlo a modo mio».
La
gazza era senza parole.
«Sì,
Ikol, lo so» borbottò il
giovane dio degli inganni, distogliendo lo sguardo. «Sono uno
stupido impudente, eccetera eccetera…»
«No»
lo corresse l’uccello, riluttante,
«pensavo solo che sei meno ingenuo di quanto
sembri».
Loki
inarcò un sopracciglio. «È un
complimento?» domandò, quando riuscì a
riprendersi, accennando un sorriso impertinente.
«Non
montarti la testa, ragazzino!»
Ikol
si sollevò in volo ed andò a posarsi sul
davanzale della finestra.
In
ogni modo, però… Era davvero un complimento.
Quella
mattina, aveva creduto che Loki fosse impazzito, e che si
fossero salvati la pelle solo grazie a Leah, che aveva pensato bene di
mandarli nel luogo sbagliato.
Ora,
scopriva che il ragazzino era assetato di conoscenza, non di
fantomatiche glorie. Che non aveva mai favoleggiato di compiere
chissà quale impresa contro Norman Osborn e di venire
accettato tra gli asgardiani in virtù di essa.
No,
il ragazzo aveva mentito,
ostentando con successo
un’estrema ingenuità.
Forse
Thor l’avrebbe trovata una cosa triste, ma Ikol
riusciva solo a pensare, soddisfatto, che il nuovo Loki non era uno
sprovveduto.
Che,
in fondo, avrebbe potuto cavarsela.
Note:
Normie Osborn è un personaggio del fumetto di Spider-Man, ed
è figlio di Harry Osborn e Liz Allen… Non
è esattamente quel che si dice un bambino normale, e da
lì ad associarlo a kid!Loki il passo è stato
davvero breve.
Spero di non aver scritto un’assurdità
^^”
So di aver sfiorato più volte la demenzialità, ma
spero di non essere sprofondata nell’OOC.
(Tanto di cappello a chi è riuscito a leggere tutto!)
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