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Fandom:
Kamen Rider Fourze
Rating: Giallo
Personaggi/Pairing: Kengo/Gentarou, Kamen Rider Club, Ryuusei
Tipologia: OneShot
Avvertimenti: Fluff
Genere: Malinconico, Triste, Slice of Life
Disclaimer:
Personaggi, luoghi,
nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la
seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Toei Animation e
Shotaro Ishinomori, che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata
scritta a scopo di lucro ed è dedicata al “Maritoh” Ankh e a tutti i miei compagni degli Italian Sentai Subranger.
I WANT TO
KNOW WHAT'S MY PLACE IN THIS WORLD
Migliore amico...
Studente di scambio...
Vendicatore...
Kamen Rider...
“Cosa sono, veramente?” si
chiedeva Ryuusei mentre camminava lentamente tra i corridoi della Subaruboshi,
tenendo lo sguardo basso e le mani strette attorno alla cinghia della tracolla.
Sentiva dietro di sè gli
sguardi preoccupati e inquieti di Shirakawa-kun e Jirou, sapeva che stavano
parlottando alle sue spalle nel tentativo di capire cosa avesse, perchè si fosse
chiuso in sé stesso in quella maniera, perché non si aprisse più con loro.
“Chi sono io?” si chiedeva
continuamente: “Qual è il mio posto nel mondo?” e non sapeva neppure se ci fosse
una risposta, da qualche parte.
Era insicuro, forse lo era
sempre stato ma, prima, la situazione di Jirou era stata prioritaria rispetto ai
suoi effettivi bisogni e alle sue dolorose incertezze, era stato il migliore
amico in tutto e per tutto, aveva sacrificato tanto per lui, si era lasciato
divorare da un desiderio che lo aveva quasi portato sulla via della distruzione
ma che aveva realizzato, pur se con difficoltà, a costo di troppe cose e con un
grande aiuto.
Ma ora che Jirou era
tornato in piedi, che poteva di nuovo camminare con le proprie gambe...
Quei bisogni avevano
deciso di tornare alla carica e sbattergli dritto sul muso il suo disagio,
l'impellente necessità di trovarsi, di sapere cosa fare di sé stesso.
“Chi sono io?” era forse
la domanda più cruda eppure più pressante che gli pendeva sulla testa: aveva
sempre creduto di saperlo, si era sempre aggrappato alla convinzione di sapere
esattamente chi fosse e quale fosse la sua missione, era stata la sua
motivazione più forte nel corso dell'ultimo anno, così potente da annientare
tutto il resto.
Ma ora, aveva perso ogni
velleità, ogni desiderio di lottare.
Anni di deserto affettivo,
gli stessi che lo avevano fatto legare in maniera quasi ossessiva a Jirou, erano
tornati a chiedere soddisfazione delle mancanze.
Anni di solitudine per
quel bambino dai capelli chiari che non aveva neppure ben chiaro chi fosse la
sua famiglia, da dove venisse, un bambino che aveva trovato, nel kung-fu e nella
scuola, un modo per nascondere ciò che lo tormentava, che incanalava la furia e
la rabbia nelle grida che spaccavano il cielo notturno sopra la palestra, quella
stessa rabbia che fungeva da lubrificante per i movimenti già fluidi del suo
corpo mentre imitava forme, pose e mosse negli stessi gesti lenti e affettati,
eppure così letali, all'occorrenza, che il maestro gli mostrava ogni giorno.
Si era aggrappato a quello
sport come se fosse stata la sua ancora, il suo salvagente, aveva messo tutto sé
stesso nel kung-fu per non continuare a sentire la solitudine di quelle notti
insonni, consapevoli che nessuno al mondo lo stava aspettando.
Poi, dopo quindici anni di
solitudine e affetto negato, era arrivato Jirou, il più deboluccio dei nuovi
allievi, quel fratello che non aveva mai avuto e che forse poteva cancellare in
parte quel suo doloroso disagio e alleviare le sofferenze di un cuore bisognoso
di legarsi a qualcuno da proteggere fieramente.
E così era stato.
Poi era arrivato lo
Switch, il buio aveva ghermito quell'unica luce e l'aveva spenta e ciò che aveva
creduto di aver sconfitto, era tornato ancora più cattivo di prima, aggravato
dal senso di colpa e dalla lancinante nostalgia.
Era cambiato.
Era cambiato e tale
cambiamento era avvenuto in modo troppo repentino, il gelo era calato su quel
cuore che aveva cominciato ad aprirsi e a riscaldarsi nel sorriso sincero di
quell'amico che, malgrado i lividi o i graffi, sporchi di sabbia e pietrisco,
frutto di innumerevoli cadute in quelle notti stellate , era sempre e comunque
rivolto a lui, come due stelle di un sistema binario che non fanno altro che
guardarsi.
C'era solo la sua ricerca
e basta.
Aries aveva la precedenza
su tutto, anche su quella mano tesa che, intuendo istintivamente - senza
realizzarla appieno - la sua necessità di non essere lasciato solo mascherata da
indifferenza e crudele ironia, era rimasta tale anche dopo che il suo
proprietario era stato freddamente ucciso dai suoi attacchi.
Era diventato un Kamen
Rider, era diventato la Meteora che attraversava lo Zodiaco, eppure ne aveva
equivocato la missione, il significato della lotta.
Era diventato un
assassino.
Eppure, quando aveva
realizzato il suo errore, quel qualcosa che credeva fosse ormai morto in lui si
era fatto sentire forte e chiaro ed era tornato, aveva cercato fino alla fine di
proteggere chi, in quella storia, aveva pagato il prezzo più alto.
E gli era stato restituito
almeno un amico.
Due, contando anche Jirou.
Non aveva perso Gentarou,
non aveva perso il Bu.
Ma gli strascichi delle
sue azioni erano rimasti lì, a ricordargli la sua colpa macchiata del sangue di
Kisaragi, il tradimento di un'amicizia disinteressata che lui aveva affogato
nell'abisso della morte.
In un continuo desiderio
di redenzione mascherato dalla missione come Rider che aveva ormai fatto
propria, Ryuusei si era accorto di stare tendendo all'autodistruzione.
E quando anche l'Alleanza
Anti-Zodiarts aveva esaurito il proprio compito, e l'M-BUS era stato cautamente
riportato a terra, dopo aver liberato le persone, i comandanti, lì ospitati in
animazione sospesa, Ryuusei si era accorto che quello non era il suo posto.
FLASHBACK
Quando, in quel pomeriggio
pieno di sole, il Bu uscì fuori nel cortile dell'Ama con la bandiera che
sventolava fiera al forte vento, l'intera scuola li osservò con curiosità.
Tutti sapevano, le voci
correvano ed erano sempre di più le persone che, in un modo o nell'altro,
avevano avuto a che fare con Fourze e il Bu, quindi nessuno si era stupito più
di tanto nel vedere la bandiera in mano a JK e Tomoko.
Davanti a tutti, stavano
Gentarou e Kengo, le mani si sfioravano mentre i visi affrontavano fieramente il
cielo dipinto di calde tinte arancioni.
Ryuusei era in mezzo al
cortile, seduto sul prato accanto a Shun, che teneva Miu sulle ginocchia mentre
Oosugi e il corpo docente al completo sembravano aspettarli a pochi passi di
distanza dai tre ragazzi.
Incuriositi, non pochi
studenti cercarono di avvicinarsi ma l'intero club di football sembrava fungere
da servizio di sicurezza e si prodigava a tenere lontani gli studenti, che già
mormoravano e facevano congetture.
“I computer della scuola
sono stati utilissimi per creare i radiocomandi e il software.” annunciò Kengo
con serietà, una volta raggiunti i professori.
“Proprio quello che ci si
aspetterebbe da Utahoshi-kun.” replicò Satake: “Avete trovato la giusta
frequenza, quindi?”
“Ci abbiamo lavorato per
parecchio tempo ma sì, l'abbiamo trovata.” disse Yuuki, guardando il cielo con
un sorriso: “Possiamo tirarli giù in ogni momento.”
Shun annuì: “Faccio
sgombrare il cortile?” chiese, pronto a fare un cenno a Miura.
“Secondo i dati forniti
dal progetto, la porzione di terra che và dalle panchine a quel punto lì.” e JK
indicò i gradini di accesso all'edificio principale della scuola: “Ci daranno
abbastanza spazio per far atterrare quel coso.”
Con cura, Tomoko piantò la
bandiera nel punto in cui si trovava poi si spostò di qualche passo per
raggiungere Ryuusei e gli altri.
Gentarou annuì: “TIRIAMOLI
GIU'!” esclamò con entusiasmo, voltandosi prima verso Yuuki, poi verso Ran e
Haru e infine sorridendo a Kengo: “Facciamolo.”
Kengo annuì,
inginocchiandosi sull'erba per aprire la valigetta mentre i due kohai, con due
telecomandi gemelli, stavano in attesa di ordini.
C'era un insolito clima di
attesa, nessuno capiva le stranezze del Bu a parte il Bu stesso o chi aveva
avuto abbastanza a che fare con loro per comprenderne i processi mentali, e
tutta quella storia pareva così assurda...
Solo la presenza dei
professori sembrava dare un alone di serietà alla cosa.
Miura, coadiuvato da tutto
il club di football, sgombrò parte del cortile come aveva concordato con il
senpai mentre i tre armeggiavano con i loro strumenti elettronici, scambiandosi
dati e istruzioni.
Ryuusei li osservava,
incerto se essere felice o meno.
Dopotutto, l'M-BUS era
parte della sua eredità come Meteor, era la base da cui Tachibana gli dava
istruzioni...
Sapeva che la
responsabilità della loro presenza lì non era sua, che erano stati salvati da
Tachibana, eppure il senso di colpa lo pungolava.
Mezz'ora dopo, nel cielo
comparve qualcosa...
“Ha superato la
stratosfera, le placche di protezione reggono alla pressione, non rilevo alcuna
variazione di sorta nelle apparecchiature interne.” disse Kengo con voce tesa.
“La gravità è sotto
controllo.” assicurò Haru, sbirciando lo schermo di Ran: “Letture regolari come
nelle simulazioni.” asserì lei.
“Preparati all'henshin,
Gen-chan.” sussurrò Yuuki all'orecchio dell'amico: “Tra poco devi entrare in
azione tu.”
“Non preoccuparti, sono
pronto!” la rassicurò Gentarou.
Quando ormai la sagoma del
satellite fu distinguibile ad occhio nudo, molte delle studentesse si lasciarono
scappare gridolini eccitati o sorpresi mentre i ragazzi, agitati e inquieti,
cercavano di districarsi dalla copertura che il club di football teneva sulla
folla.
Ma tutti esultarono per la
gioia nel vedere Fourze schizzare in aria col Rocket, posizionarsi sotto il
satellite in discesa e rallentarne la caduta sfruttando la spinta inversa dello
Switch.
“Ripiegare i pannelli
energetici!” ordinò Kengo.
Haru eseguì e il satellite
sembrò un enorme uccello metallico nel mentre dell’azione.
Quando infine l'M-BUS fu
atterrato e Gentarou ebbe annullato l’henshin, sia il Bu che il corpo docente si
avvicinò all'accesso: “E ora?” chiese Satake.
“Ora ci penso io.” disse
Ryuusei serio, poggiando una mano sul piccolo pannello di apertura che c'era sul
fianco del satellite, digitò alcune cifre, mostrò la pupilla...
Uno scampanellio, unito al
chiaro rumore di una porta a tenuta stagna che si sganciava, aprendosi, fu ciò
che attendevano.
“Ora tutti i dispositivi
di sicurezza sono stati disinseriti, il sistema di raffreddamento ha già
provveduto a entrare in azione per riequilibrare la temperatura della copertura
esterna. A breve, potremmo tirarli fuori.” annunciò Sakuta.
“Tachibana-san doveva
avere avuto sentore che qualcosa sarebbe andato storto, altrimenti non avrebbe
mai cambiato le impostazioni di sicurezza.” fece notare Miu: “Per fortuna che è
stato così, altrimenti non avremmo mai potuto tirarli fuori.” aggiunse Tomoko,
sorridendo appena all'indirizzo di Ryuusei.
Ma questi non ricambiò.
Si sentiva così fuori
luogo...
“Temperatura normale.
Sakuta, tocca a te.”
Le istruzioni di Kengo
toccarono solo marginalmente Ryuusei, che aveva già provveduto ad aprire il
portellone e ad entrare all'interno, seguito rapidamente da Gentarou.
Non ricordava il periodo
trascorso lì dentro - anche lui era stato messo in animazione sospesa - ma
qualcosa, nel suo cuore, gli urlava che dovevano sbrigarsi, che quel posto non
era fatto per loro.
Nel ronzante buio appena
appena rischiarato dai led colorati dei macchinari, Ryuusei distinse l'impianto
di contenimento.
Muovendosi a fatica nel
poco spazio disponibile, tirò fuori la torcia tascabile, facendo cenno a
Gentarou di fare lo stesso.
“Sono-chan!” gridò
Kisaragi all'improvviso, dopo aver visto il volto privo di sensi della propria
ex professoressa all'interno di una delle cabine che, fremendo, Ryuusei aveva
scambiato in un primo tempo per macabri loculi di vetro ammassati gli uni sopra
gli altri in un angolo ingombro di cavi.
“Fai attenzione nel
tirarla fuori.” lo avvertì, inginocchiandosi per raggiungere quello che ospitava
Kijima: “Chiama Daimoji-senpai per aiutarci a portarli fuori. C'è ancora
Sugiura.”
E mentre Gentarou parlava
nel MagnetPhone, mentre Shun si precipitava all'interno per prendere in consegna
Sugiura e tutti e tre uscivano da lì dentro per venire accolti dalle grida
festanti dei compagni per aver salvato i prigionieri, Ryuusei capì che quella
felicità non gli apparteneva, che i successi del Bu non erano ANCHE i suoi
perchè lui non ne era parte davvero.
Perchè ci sarebbe sempre
stato qualcosa che l'avrebbe differenziato, che l'avrebbe allontanato, e lui non
poteva farci nulla.
Così, dopo aver depositato
con cautela Kijima sulla barella che lo avrebbe portato in infermeria,
semplicemente raccolse le proprie cose e se ne andò, senza degnare di uno
sguardo chicchessia, sordo ai richiami di Gentarou che, nonostante tutto, con le
braccia occupate da Sonoda-sensei, non poteva fare altro che lasciarlo andare,
ripromettendosi di correre a cercarlo appena possibile.
FINE FLASHBACK
Ed erano passati ormai un
paio di giorni, giorni durante i quali lui aveva deciso di chiudersi
definitivamente, di tornare a essere il Ryuusei cupo e silenzioso che era stato
per tutta l'infanzia e l'adolescenza.
Aveva smesso pure col
kung-fu, aveva deciso di dare un taglio ad ogni cosa nel tentativo di azzittire
quella paura e quel bisogno che non poteva assolutamente esaudire né cancellare.
Cosa poteva mai, lui,
offrire? Che amico poteva essere? Che persona poteva essere?
Non sapeva quale fosse il
suo posto nel mondo, non sapeva come comportarsi e anche solo chiedere aiuto,
invocare quell'affetto che sentiva necessario gli pareva inutile e patetico.
Tutto quello che aveva
sempre fatto era stato distruggere con le proprie mani ogni cosa.
Lui, che non sapeva amare,
che sapeva solo possedere ossessivamente, come poteva presentarsi davanti a
Gentarou, instabile com'era, davanti all'intero Bu che aveva faticosamente
imparato a definire “famiglia”, la stessa che gli era sempre mancata, e
implorarli di non lasciarlo solo?
Era più comodo chiudersi e
tagliare il mondo fuori...
Uscito nel cortile
dell'istituto, semplicemente sparì dietro l'angolo al di là del cancello.
§§§
“Cosa vuol dire che Ryuusei è sparito?!”
Gentarou aveva lasciato il
proprio numero di telefono a Jirou qualche mese prima, dopo aver accompagnato
Ryuusei a trovarlo in ospedale e convinto di poter costruire una bella amicizia
con il ragazzo, ma non si sarebbe mai immaginato di ricevere una sua telefonata
completa di richiesta di aiuto.
Era nel corridoio che
portava all'infermeria, era di turno per stare con Kijima, l'unico tra i
ricoverati che ancora si trovava lì.
Sia Sonoda che Sugiura
erano tornati a casa, in riposo forzato, Kijima si era svegliato da poco meno di
mezz'ora e non era ancora abbastanza stabile per essere rimandato a casa.
Toccava a tutti loro
rimettere assieme quegli ultimi cocci della storia degli Zodiarts.
“E' sparito, ieri è uscito
da scuola ma all'istituto dove sta mi hanno detto che non è tornato, ho provato
a cercarlo ma nulla, il maestro ha detto che si è ritirato dalla palestra e ho
esaurito le idee...” ammise Jirou nel panico.
“Aspettami davanti a
scuola, arrivo!” sbottò Kisaragi, facendo irruzione all'interno della stanza:
“Scusami, Kijima, ma devo scappare!” esclamò, afferrando la giacca e la
valigetta, “Mando Yuuki o Kengo a stare con te, d'accordo?”
“Sakuta-kun ha deciso di
sparire?” chiese lui con voce debole, era pallido, col volto segnato e aveva una
flebo attaccata al braccio.
“Sì, è uno stupido!” inveì
il moro.
“Non è uno stupido...”
sussurrò Cancer, bloccandolo sul posto: “E' un bugiardo come me, so come
funziona la sua mente... Troppe bugie, agli altri ma soprattutto a sé stessi,
non fanno bene... E lui ha bisogno di aiuto... Molto più di me... Ha bisogno di
te. Vai da lui, io non me ne andrò di qua, non preoccuparti. Prova a cercarlo in
posti che non penseresti mai che possa frequentare... Ti stupirà.” sussurrò,
prima di addormentarsi di nuovo.
"Kisaragi!"
Gentarou era corso fuori a
tutta velocità, incurante del fatto che potesse o meno finire addosso a qualcuno
o cadere lui stesso, venendo bloccato dalla voce di Kengo una volta giunto nei
pressi del cancello.
Utahoshi era lì, seduto su
una panchina assieme a Yuuki, Haru e Ran.
"Dove stai andando?! Non
toccava a te stare con Kijima?!" domandò Utahoshi, squadrandolo: "É successo
qualcosa?" lo osservò attentamente negli occhi.
"Ryuusei é sparito, Jirou
mi ha chiesto di aiutarlo a cercarlo."
"Dobbiamo cercarlo anche
noi!" esclamó Joujima con veemenza: "Se un kohai é nei guai, un senpai deve
aiutarlo." a sorpresa, anche Miu li aveva raggiunti con Shun, e dietro di loro
venivano Tomoko e JK.
"Qualche idea?" tagliò
corto Kengo, fissando Gentarou con un velo di preoccupazione: conosceva fin
tropo bene il suo fidanzato per non sapere che il panico poteva offuscarne la
già scarsa capacità di giudizio.
"Jirou mi aspetta davanti
alla Subaruboshi. Partiremo da lì." rispose Kisaragi con urgenza.
"Andiamo allora." comandò
Utahoshi, afferrandogli la mano: "Sakuta ha bisogno di aiuto."
§§§
Rientrando a casa, quella
sera, con la giacca sudata e impolverata, i piedi che si rifiutavano di muoversi
per la stanchezza, Gentarou si sentiva frustrato e preoccupato.
Di Ryuusei, alcuna
traccia, benché avessero unito le forze con Jirou, benché avessero cercato
ovunque, benché avesse seguito il consiglio di Kijima, non aveva concluso nulla.
E sentiva di averlo
tradito per questo, di averne tradito l’amicizia e di non averne capito i
bisogni, di aver ignorato le sue lacrime e la sua paura.
Jirou gli aveva raccontato
a grandi linee cosa fosse successo, aveva esternato i suoi dubbi e le sue ansie,
aveva raccontato loro con dolore dell’infanzia che Meteor aveva avuto e di
quelle confidenze che lo stesso gli aveva fatto.
Non era stato giusto, un
segreto è pur sempre un segreto, ma volevano salvare Sakuta dal suo abisso di
disperazione, avevano bisogno di ogni indizio, di qualunque cosa fornisse loro
anche il più piccolo indizio per ritrovarlo.
Si erano divisi, avevano
frugato la città, ma erano stati sconfitti.
Sospirando, Kisaragi entrò
nel piccolo garage del nonno immerso nella penombra.
Non appena accese la luce,
la voce dell’anziano gli giunse agitata dal piano superiore: “Gen, sei tu?!”
chiese lui, il moro ne sentì i passi veloci e ansiosi scendere le scale e
l’uomo, pallido, comparve sulla soglia.
“Che succede?” chiese
Gentarou con tono velatamente inquieto.
Per tutta risposta, il
nonno lo afferrò per il polso, tirandolo verso le scale: “E’ quel tuo amico,
quello vestito di chiaro!” disse con urgenza, trascinandolo al piano superiore
senza neppure curarsi di spegnere la luce.
Sbucati nel salotto di
casa avvolto da una luce soffusa, Fourze sentì il cuore balzargli in gola.
L’espressione semi-priva
di colore e di vita di Ryuusei sdraiato nel futon del nonno l’aveva
terrorizzato.
“C-Cosa ci fa qui?!”
chiese subito, correndogli accanto e tirando fuori di tasca il MagnetPhone.
“L’ho trovato fuori dalla
nostra porta, ha la febbre, continuava a urlare il tuo nome…” cercò di spiegare
l’uomo: “Ho cercato di contattarti ma non sapevo come fare.” ammise, vedendo le
mani tremanti del nipote mentre cercava di aprire quello strano dispositivo di
cui non comprendeva l’utilità.
“Kengo! Ryuusei è qui da
me!” gridò all’improvviso il ragazzo, facendolo sobbalzare, lo osservò muovere
vorticosamente le mani mentre cercava di parlare con il suo interlocutore al di
là della linea e al contempo di fare qualcosa per alleviare la sofferenza della
malattia per l’amico a terra.
“Jii, Kengo e gli altri
possono restare qui? Ryuusei ha bisogno di noi.”
Gli occhi di Gentarou
erano limpidi e decisi, così come decisa era la sua stretta sulla mano di
Ryuusei.
Il vecchio sospirò: sapeva
della relazione tra il nipote e Utahoshi, non aveva mai giudicato negativamente
la cosa, aveva sempre appoggiato quella storia, anche perché vedere quel
mocciosetto che aveva cresciuto alle prese con l’amore era un’esperienza
discretamente divertente ed esilarante, dati i modi di fare del moro.
Aveva sempre visto quegli
amici di Gentarou come persone a posto, degne di fiducia e aveva intuito quel
loro legame come più forte della morte.
“Resterò in piedi a
lavorare di sotto, chiamatemi se vi serve qualcosa.”
§§§
Con mano delicata, Miu
passò la pezza umida sulla fronte ancora bollente di Ryuusei, osservando con un
misto di malinconia e inquietudine la ciotola ancora piena di zuppa di miso
abbandonata accanto al letto.
Erano riusciti a fargli
ingurgitare solo pochi sorsi, era già qualcosa dopo i due giorni di evidente
digiuno del più giovane, ma erano comunque poco rispetto al necessario.
Timidamente, Yuuki sbucò
dalla porta, portando in mano una tazza di thè.
“Gli altri?” chiese la
Queen.
“Sono andati a parlare con
Iseki-kun e Shirakawa-kun…” pigolò lei, sistemando la coperta a una Tomoko
addormentata nell’angolo: “Dovrebbero essere ormai di ritorno…” sussurrò lei,
spiando con aria triste il volto del ragazzo.
“Non preoccuparti per
lui.” cercò di mostrarsi ottimista Miu: “E’ solo un po’ di febbre, presto
tornerà in piedi.”
“Perché si è arrivati a
tanto?” mormorò Joujima, sembrava non aver neppure udito le parole della sua
senpai: “Perché non si è confidato con Gen-chan, con uno qualsiasi di noi? Siamo
amici, no?” chiese con espressione sperduta mentre si sedeva accanto alla
ragazza più grande.
Quest’ultima la abbracciò:
“Appena si sveglierà, ci faremo spiegare ogni cosa. Vedrai.”
La porta cigolò, facendole
voltare di scatto.
Come se fossero stati
evocati, Gentarou e gli altri erano rientrati.
“Com’è andata?” chiese Miu
a bassa voce.
“Jirou ha detto che ci
penserà lui a informare la scuola e il loro maestro.” Shun si era seduto accanto
a lei con aria stanca: “E Shirakawa ha detto che proverà a passare domani se
Ryuusei si sentirà meglio.” si era aggiunto Gentarou, “Come sta?!”
“Dorme ancora, anche se la
febbre non è così alta come prima…” Miu si era allungata a prendere il bicchiere
d’acqua: “Aiutatemi ad alzarlo.”
Cercando di essere il più
possibile delicati, Shun e JK misero seduto Ryuusei, così da permettere a Miu di
fargli bere qualche sorso d’acqua; a fatica, Sakuta ne ingoiò metà bicchiere ma
i suoi tentativi di divincolarsi si erano fatti talmente disperati che, per
paura di fargli del male, ambedue lo fecero nuovamente sdraiare.
A sorpresa, però, egli
aprì debolmente gli occhi velati di lacrime, aprendo e richiudendo
alternativamente la bocca nel tentativo di parlare, senza però riuscirci.
D’istinto, afferrò la mano
di Gentarou, che gli era accanto, nei suoi occhi Fourze lesse solitudine, tanta
solitudine.
Non sapendo che dire, si
limitò a stringergliela forte.
Tutti gli altri, in
silenzio, si strinsero attorno a lui, Tomoko gli mise addosso la coperta in cui
era stata ella stessa avvolta fino a poco prima, voci basse gli mormoravano
all’orecchio parole dal tono rassicurante, qualcuno gli sorrideva ma lui era
concentrato solo sul mondo che i suoi occhi febbricitanti vedevano, un mondo
oscuro, di solitudine, dove quella piccola luce che stava per spegnersi era
rappresentata dalle schiene dei membri del Bu che si allontanavano, lasciandolo
lì.
Non aveva riconosciuto
Gentarou, aveva solo bisogno di non sentirsi così solo, di aggrapparsi a
qualunque cosa potesse infondergli il tepore necessario per non congelare nella
paura.
“Non lasciatemi solo…”
aveva rantolato nel delirio della febbre e della stanchezza, osservando con gli
occhi pieni di lacrime tutti loro: “Non è il mio posto ma non voglio andarmene…”
Col cuore pesante, Miu gli
asciugò le lacrime, cercando di sorridere: “Nessuno ti obbligherà ad andartene,
nessuno di noi vuole lasciarti…”
Pallido, col pigiama di
Gentarou che praticamente gli faceva da cappotto e le maniche che superavano le
mani, Ryuusei pareva tanto un bambino sperduto, Kengo aveva raccolto la coperta
e gliela aveva messa sulle spalle, stringendo i pugni, impotente nel vederlo
così indifeso…
Non lo riconosceva come il
Ryuusei che era arrivato nella loro classe sei mesi prima, come la recluta poco
gradita nel Club, come il Meteor che aveva ricordato nella lettera…
“Ryuusei-kun…” mormorò
Yuuki, sporgendosi in avanti: “Non fare così…”
Allo stesso modo, neppure
gli altri sapevano che fare, non immaginavano che avesse sofferto così tanto…
Quella voce così
spaventata, così debole…
Gentarou fece l’unica cosa
sensata che il suo cuore gli suggeriva.
E mentre il malato,
rannicchiato col viso in grembo a una Miu addolorata, delirava, cercando quel
posto nel mondo che non riusciva a trovare, cercando quella famiglia che lo
circondava senza che lui riuscisse a vederla, lo tirò bruscamente seduto,
abbracciandolo con tutta la forza di cui era capace.
“Non te ne andrai… Non
vogliamo che tu te ne vada… Il tuo posto è qui… Con noi.”
Kengo annuì, poggiando la
testa contro la spalla di Kisaragi e allungando la mano a toccare la spalla
sussultante di Sakuta.
“Nessuno se ne andrà… E’
una promessa…” Miu gli stava bagnando le labbra screpolate: “Resteremo con te…”
Forse troppo esausto per
stare sveglio o forse le loro parole rassicuranti l’avevano raggiunto,
convincendolo che fosse al sicuro, con un singhiozzo appena appena accennato,
Ryuusei crollò, addormentandosi tra le braccia di Kisaragi.
Avrebbero montato la
guardia per tutta la notte, non avrebbero neppure dormito se necessario.
Se il posto di Sakuta era
dentro il loro cuore, nella loro famiglia, il loro era accanto a lui.
Avrebbero combattuto per
fargli capire quale fosse il suo posto nel mondo, per cancellare quel buio che
lo attanagliava, più potente di qualunque Switch, più spaventoso di qualunque
Zodiarts.
Il Bu sarebbe andato fino
ai limiti dell’universo per un amico, e lui non faceva eccezione.
“Quando ti sveglierai, noi
saremo qui…” la voce di Yuuki era come una carezza.
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