Sommario: Si tratta di una
raccolta di “missing moments” basati sullo sviluppo della relazione tra
Han e Leia, ogni capitolo può essere considerato a sé stante perciò non vi
resta che scegliere il vostro momento preferito!
Cosa ci hanno tenuto nascosto gli
sceneggiatori della trilogia riguardo ad Ord Mantell? Che cosa è successo
veramente tra Han e Leia?
Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Gorge Lucas; questa storia
è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
CAPITOLO 3: Ord Mantell
Sentiva la testa scoppiare, come
se una mano gigantesca avesse deciso di spremerla per far fuoriuscire ogni
traccia di pensiero. Un dolore lanciante la attraversava da una tempia
all’altra e a fatica ricordava la sua identità.
Io sono Leia, Leia Organa.
Ma dove sono? Che cosa mi è
successo?
Per un attimo dall’oscurità
emerse il viso di Darth Vader e lei si
contorse, in preda al panico, cercando di fuggire da quell’orrenda visione.
No, non voglio tornare sulla Morte Nera, non voglio più subire le sue
torture… io sono fuggita da lì, ne sono sicura…
D’improvviso
la maschera nera di Darth Vader si trasformò in quella bianca di un ordinario
soldato imperiale ed il ghigno malefico del signore dei Sith venne sostituito
da un sorriso luminoso contornato da occhi azzurri come il mare.
Luke Skywalker…
Il
ragazzo, accorso a salvarla guidato da un misterioso istinto, non era solo. Con
lui c’era il suo maestro Jedi, un coraggioso contrabbandiere corelliano e il
suo fedele copilota peloso.
Obi-Wan Kenobi, Han Solo, Chewbacca…
Nomi e persone cominciavano a
trovare la giusta collocazione, però ancora non ricordava quello che era
successo nel recente passato e, soprattutto, che cosa gli aveva provocato quel terribile
mal di testa.
Stringendo i denti cercò di
concentrarsi, anche se le fitte di dolore rendevano assai difficile il
tentativo di distendersi e focalizzare l’attenzione su qualcos’altro. Dopo alcuni
minuti la nebbia che attanagliava i suoi ricordi cominciò a diradarsi e
finalmente qualche flashback degli ultimi giorni fece capolino.
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Come
prima cosa ricordò l’imbarazzo provato nel vedere la propria immagine riflessa nel
camerino di un ignoto negozio di Ord Mantell. Inizialmente l’idea di
travestirsi da prostituta di alto bordo non le era sembrata male – sempre
meglio che essere catturata da uno dei tanti bounty killer sulle sue tracce –
ma era pur sempre un’idea di Han e doveva aspettarsi una fregatura da qualche
parte!
«Principessa,
sei veramente tu?!» Han cominciò a girarle attorno, piacevolmente attratto da
ciò che l’abito succinto lasciava intravedere. «Devo ammettere che vestita così
mi metti decisamente a dura prova! Nuove ed interessanti prospettive si aprono
sotto i miei occhi…». Il suo sguardo la accarezzava dalla testa ai piedi ed era
talmente intenso da poterlo quasi avvertire sulla pelle, come il tocco di una
mano gentile e bramosa allo stesso tempo.
«Ti
avverto che da oggi le mie fantasie su di te non avranno più confini» proseguì
con un tono di voce volutamente più basso e malizioso.
«Rimani
con i piedi per terra flyboy e cerca di non farmi pentire di averti dato
ascolto!»
Pur
mostrandosi scontrosa come al solito si sentiva profondamente turbata, quel
travestimento aveva dato inizio ad un pericoloso gioco di seduzione ed in quel
momento tutti i banditi di Ord Mantell la preoccupavano assai meno dell’attento
scrutinio di Han Solo.
«Tranquilla,
è tutto sotto controllo. L’importante è che non ti allontani troppo da me… sai
che sono molto geloso della mia merce». Sul volto del contrabbandiere
comparve il solito sorriso sfacciato, il che aveva un effetto tutt’altro che rilassante.
«Non
preoccuparti, la tua merce sa badare a se stessa!» brontolò avviandosi a
passo veloce verso la cassa del negozio. Quell’uomo riusciva sempre a farle
compiere le cose più assurde facendole passare per sensate. Non sapeva dire se
questo poteva dirsi un pregio o un difetto, ma di certo non aveva mai
conosciuto nessuno prima di lui in grado di farla sentire così.
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Il
secondo flashback la vedeva impegnata nel compito di affittare una camera nel
motel peggiore del pianeta. Anche questa volta aveva assecondato Han, ma subito
dopo aver varcato l’atrio del locale, si era maledetta mentalmente per essersi
lasciata trascinare in quella farsa.
Un
piccolo neon, appeso al soffitto con un semplice fil di ferro, rappresentava l’unica
fonte di illuminazione all’interno della reception. Dopo pochi passi fu colpita
dall’odore di stantio, segno che l’aria e la luce del sole non entravano lì
dentro da un pezzo, sommato ad un forte puzzo di urina, probabilmente derivante
dalla chiazza in evidenza sull’angolo a destra della porta. Ben presto capì che
era meglio guardarsi attorno il meno possibile e pensò che, tutto sommato, la
scarsa illuminazione era un valido aiuto per non dare di stomaco ancor prima di
arrivare al bancone.
Trattenendo
il fiato si avvicinò alla portinaia chiedendo gentilmente se aveva delle camere
disponibili e anticipando il denaro per la caparra.
La
donna la squadrò attentamente. «Sei nuova del mestiere vero?» Sembrava avere
una certa esperienza nel settore ed aveva notato subito la sua aria spaesata.
«Sì»
rispose timidamente, per nulla desiderosa di intrattenere una conversazione in
materia.
«Si
vede» annuì l’altra con il fare di chi la sa lunga. «I tuoi occhi manifestano ancora
una certa curiosità. In tanti ti avranno parlato di quello che succede in posti
come questo… Non sei sicura di quello che ti aspetta, ma tutto sommato speri
ancora che per te il destino sia migliore di quello che ti hanno descritto.»
Ci mancava solo la ficcanaso filosofa! Pensò, aspettando rassegnata che l’altra le
consegnasse le chiavi della camera senza fare commenti.
«Beata
gioventù!» riprese l’altra. «No, non ti voglio spaventare, sia ben chiaro. Se
hai scelto questa strada avrai sicuramente le tue ragioni, ma spero solo che tu
non ti sia fatta troppe illusioni.» Avvicinando il viso al suo aggiunse: «La
cosa più importante è sapersi scegliere i clienti giusti. Certo, all’inizio si
fanno tanti sbagli, ma poi si impara a capire chi evitare e chi cercare…»
Han
era rimasto a parlare fuori dal motel con un losco individuo e le aveva
lasciato i soldi per pagare la camera. Era costretta a fare buon visto a
cattivo gioco, ma la sua pazienza si stava esaurendo velocemente e si chiese per
quale motivo lui ci mettesse così tanto a tornare! La portinaia intanto continuava
a giocherellare con le chiavi e tutte le volte che sembrava sul punto di
consegnargliele faceva marcia indietro, presa dall’irrefrenabile necessità di
dispensarle un nuovo consiglio.
«Dato
che hai la faccia di una sveglia ti darò qualche dritta: ricco o povero che
sia, l’importante è che ci sappia fare! Ci vuole uno che cerca solo divertimento
e che non ti scarichi addosso tutte le sue frustrazioni, nella vita ce ne sono
fin troppi di problemi senza il bisogno di accollarsi anche quelli degli
altri.»
Quando
ormai stava seriamente pensando di strapparle di mano le chiavi per porre fine
a quell’inutile dialogo la donna si bloccò di colpo, spalancando occhi e bocca
contemporaneamente.
Lei
seguì il suo sguardo e con stupore capì che il motivo di tale reazione era Han,
che in quel momento stava entrando nella reception del motel.
«Quello…quello
è il tuo cliente?» balbettò la donna guardando Han come se fosse un essere
soprannaturale.
«Sì,
perché?» Non capiva il motivo di tanta estasi.
«Un
corelliano…» rispose la portinaia con aria sognante. «Però! Sei una ragazza
fortunata!» esclamò prima di tornare ad incrociare il suo sguardo.
«In
che senso???» Ormai non sapeva più che altro aspettarsi.
«Beh,
penso che lo scoprirai presto... Hai tra le mani quanto di meglio ci sia sul
mercato!» le bisbigliò con fare complice mentre finalmente le consegnava le
chiavi. «Domani mattina mi dirai se mi sono sbagliata oppure no» terminò
facendole l’occhiolino.
«Buona
notte signora», si affrettò a dire prima di afferrare il braccio di Han,
trascinandolo in camera quasi a forza.
Lui
non protestò più di tanto, anzi, rimase colpito da quell’improvvisa urgenza.
«Ehi
tesoro, tranquilla! Sono a tua disposizione per tutta la notte, non pensavo
fossi così impaziente…»
«Prima
ci allontaniamo da quella donna indiscreta e meglio è… già mi sono pentita
amaramente di averti dato retta!» Mentre lo spingeva si lanciò qualche occhiata
dietro le spalle, per accertarsi di non essere più udibile dalla portinaia.
«Ma
che ti ha detto di così sconvolgente? Sono rimasto fuori solo qualche minuto…»
“Un corelliano… sei una ragazza fortunata!”
Aveva
capito fin troppo bene l’indelicata allusione della signora e scosse rabbiosamente
il capo per allontanare la fantasia che quella stupida frase aveva
involontariamente innescato.
«Lasciamo
stare!» Rispose in tono secco, cercando di non stimolare ulteriormente la
curiosità di Han.
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«Queste
stanze non sono controllate vero? E se ci fossero telecamere o microfoni
nascosti da qualche parte?» Non si sentiva per niente tranquilla ed aveva il
terrore di essere riconosciuta e derisa pubblicamente presso l’intera Galassia.
Vestita come una prostituta, nella camera di un motel, in compagnia di
Han Solo…
Non potrei scendere più in basso di così nell’opinione pubblica!
«I
clienti dei motel amano rimanere nell’anonimato, non è nell’interesse di
nessuno mettere delle spie qua dentro». Han non sembrava per niente preoccupato.
«Sarà,
ma preferisco controllare… a differenza di te ho una certa reputazione da
difendere!»
«Ti
sbagli invece, anch’io ho una reputazione da difendere…» Come spesso accadeva,
quando lui non riusciva a tranquillizzarla in altro modo, allora cercava di
distogliere la sua attenzione, stuzzicandola con le sue battute. «Certo, se si
dovesse sapere in giro che passerò la notte sul pavimento accanto al tuo letto la
cosa non gioverebbe molto alla mia immagine!»
«A
volte mi sorprendi con la tua perspicacia. Il pavimento era proprio la
sistemazione che avevo pensato per te».
«Oltre
alla perspicacia ti potrei sorprendere con molte altre mie doti, nel caso
faticassi a prendere sonno… Non ti rendi conto di quanto sei fortunata?»
«Certo!
Me l’ha già fatto notare la portinaia poco fa...» ma si bloccò di colpo
rendendosi conto che stava per dirgli ciò che assolutamente non doveva sapere.
Troppo tardi! Pensò
vedendolo sorridere sornione.
«Ho
molto sonno… buonanotte». Per nascondere il violento rossore che le copriva il
viso si affrettò a spegnere la luce mentre ancora lui stava sistemando le sue
coperte per terra.
«Buonanotte»
rispose sogghignando e continuando il suo lavoro a tentoni.
Dopo
qualche minuto la vista si abituò all’oscurità e lei sobbalzò sul letto vedendo
Han sfilarsi la camicia ed apprestarsi a fare lo stesso con i pantaloni.
«Ma
che fai???»
«Mi
tolgo i vestiti, perché?»
«Ma
sei pazzo?! E se ci fosse la necessità di fuggire improvvisamente? Che fai,
scappi in mutande?»
«Non
sarebbe la prima volta…comunque se la cosa ti turba così tanto terrò i
pantaloni, ok?»
«Argh!
Fai come ti pare!» esasperata strattonò tutte le coperte e si girò dall’altra
parte.
Lui
attese che ci fosse di nuovo silenzio e poi commentò beatamente: «Non è colpa
mia se sono corelliano… E comunque non sono tutti così…»
Se
prima aveva qualche dubbio ora era sicura che lui aveva colto appieno la natura
del suo colloquio con la portinaia, su certi argomenti era incredibilmente
acuto.
Stavolta
però non sarebbe caduta nella sua trappola quindi, seppur curiosa di scoprire
maggiori dettagli in merito, si limitò a dire: «Han? Non penso di volerne
sapere di più. Di nuovo buonanotte!»
«Buonanotte,
principessa.»
Anche
senza luce poteva immaginare il suo ghigno compiaciuto e, sentendosi frustata
da quella situazione, gli lanciò uno dei due cuscini prima di mettersi a
dormire definitivamente.
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«No!
Alderaan è un pianeta pacifico, non abbiamo armi. Lei non può...»
«Dantooine
è troppo distante dai centri abitati dell'Impero per servire da esempio per una
dimostrazione efficace. Ma non tema. Mi occuperò dei suoi amici ribelli quanto
prima.»
«No…
Alderaan che c’entra con tutto questo?! Aldeeraaan… NOOO!»
Seduta
sul letto aveva urlato ad alta voce il suo ultimo e disperato appello al
Generale Tarkin. Negli occhi aveva ancora l’immagine di quella tremenda esplosione,
del suo pianeta natale ridotto ad una nuvola di asteroidi, di tutte le vite
innocenti spezzate in un solo istante e del volto sofferente di suo padre che
diventava via via sempre più lontano. Riviveva spesso quell’incubo nella
solitudine delle sue notti e soffriva versando lacrime silenziose finché il
giorno non tornava a riempire la sua vita di colori, relegando quell’enorme senso
di vuoto nella parte più nascosta della sua anima.
Ormai era abituata a quel sogno e
sapeva che avrebbe passato il resto della notte ad autoaccusarsi di fronte al
più spietato dei tribunali, se stessa. Si sentiva in colpa per quello che era
successo e mille volte aveva immaginato un finale diverso, ma nulla era servito
per alleviare il dolore di quella perdita.
Quella notte però era diverso…
quella notte non era sola.
Sentendo ancora il cuore batterle
in gola si accorse che Han non era più disteso sul pavimento, ma era seduto
vicino a lei, sul letto, e la cingeva dolcemente tra le un braccia. Si sentì
vulnerabile e provò un po’ di vergogna per aver mostrato proprio a lui la sua
parte più debole, temeva che ne avrebbe approfittato per deriderla, ma si stupì
vedendo il suo sguardo serio e preoccupato.
«Scusa, non volevo svegliarti». Faticava
a parlare e respirava ancora con affanno.
«E’ stato terribile vero?» Han
conosceva il peso che si portava dentro e non aveva bisogno di tante
spiegazioni. Lei si limitò ad annuire abbassando lo sguardo.
«Fai spesso questo incubo?»
«Ogni tanto… ma non importa, ora
è passato». Raccolse le coperte che aveva scaraventato via e se le avvolse
attorno. Lui sciolse l’abbraccio e la lasciò fare, continuando però ad
osservarla attentamente.
«Ne hai mai parlato con qualcuno?»
«Non vedo cosa ci sia da dire».
Le intenzioni di Han erano buone, ma non poteva correre il rischio di aprirsi
proprio con lui…
«Non è stata colpa tua, Leia».
«Non ne sono così sicura»
commentò evitando ancora il suo sguardo. Fu sorpresa però nel notare che lui aveva
usato il suo vero nome, cosa che accadeva di rado.
«Di cosa ti senti colpevole? Di
essere riuscita a resistere alle torture di Darth
Vader? Di aver mentito al generale Tarkin? Di essere rimasta fedele alla tua
causa anche quando tutto sembrava perduto?»
Con
gentilezza lui le posò una mano sulla spalla, per incoraggiarla e per farle
capire che le era vicino.
«Non
sono riuscita a salvare Alderaan, questa è la mia colpa». Ora lo guardava
dritto negli occhi e nonostante l’amarezza delle sue parole finalmente stava
cominciando a reagire.
«Purtroppo
in periodi di guerra tutto è lecito, soprattutto se si tratta dell’Impero. Se
non fosse toccato ad Alderaan, un altro pianeta sarebbe stato distrutto al suo
posto. Tarkin voleva fornire una dimostrazione di potere ed il bersaglio doveva
essere prestigioso.»
«A
volte mi chiedo se ne è valsa la pena. Per salvare la Ribellione ho perso
Alderaan e con esso la mia famiglia… Se fossi morta prima della cattura forse
la base di Yavin 4 sarebbe andata distrutta, ma mio padre avrebbe comunque
trovato il modo per riorganizzare i ribelli.»
«Se
tu fossi morta nessuno sarebbe stato in grado di fermare la Morte Nera. Tuo
padre sarebbe stato fiero di te e probabilmente avrebbe fatto lo stesso.»
Era vero.
Quella
decisione aveva cambiato per sempre la sua vita, ma non aveva avuto altra
scelta. Han era riuscito a farla ragionare in un’ottica diversa ed ora, fermo
restando il profondo dolore per la perdita del suo pianeta e dei suoi cari, si
sentiva meno oppressa dai sensi di colpa.
«Vorrei
che fosse ancora qui per dirmelo» concluse coricandosi e rimboccandosi le
coperte.
Anche
se aveva girato le spalle ad Han sapeva che lui la stava ancora guardando, era
una sensazione che avvertiva anche ad occhi chiusi e che andava al di là del
semplice istinto.
Dopo
un po’ lo sentì stendersi accanto a lei invece di tornare al suo giaciglio. Anche
se la cosa la turbava profondamente non ebbe il coraggio di protestare, in
fondo le piaceva averlo vicino, soprattutto in una notte come quella.
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Quando
riaprì gli occhi, il mattino seguente, impiegò un po’ per ricordarsi dov’era,
ma presto realizzò che durante il sonno doveva essersi girata dall’altra parte ed
ora il suo volto era a pochi centimetri da quello di Han. Subito ebbe l’impulso
di allontanarsi, ma, dato che lui dormiva ancora profondamente, cercò di
trattenersi e decise invece di approfittare della situazione per studiarlo a
fondo, come non aveva mai avuto il coraggio di fare in passato.
I
loro corpi erano leggermente in contatto, il braccio di lui le passava sotto le
spalle in un tenero abbraccio mentre la mano di lei era posata sul suo petto e
seguiva dolcemente il ritmo del suo respiro. Quando focalizzò quel particolare
si sentì avvampare ed ebbe ancora l’impulso di spostarsi, ma si dominò, paralizzata
dalla spontaneità di quel gesto involontario.
Sentiva
il cuore di lui battere tranquillo nel sonno, al contrario del suo che era
decisamente agitato. Era attratta dal calore del suo corpo e dal profumo della
sua pelle e quasi senza rendersene conto avvicinò la testa all’incavo del collo
per coglierne meglio l’essenza. Così facendo però si era accostata ancora di
più ed ora aveva gli occhi all’altezza della sua bocca.
Lo
aveva sempre trovato un uomo affascinante. Certo, aveva un carattere difficile
che spesso contribuiva a raffreddare i suoi sentimenti e a tenerla a distanza,
ma ora, mentre appariva così sereno e indifeso, sentiva forte la tentazione di
baciarlo. Le labbra di lui, leggermente socchiuse, sembravano invitarla a
condividere quel momento di innocente distrazione, ma temeva che il contatto
spezzasse di colpo la magia.
Aveva
paura che lui aprisse improvvisamente gli occhi, sorprendendola mentre era
intenta a contemplarlo a distanza così ravvicinata. Se lui l’avesse guardata
con quella intensità che tanto la metteva in subbuglio, non avrebbe avuto più
alcuna speranza di sfuggirgli.
Si
rendeva conto che provava nei suoi confronti un sentimento completamente
irrazionale eppure baciarlo le sembrava la cosa più naturale del mondo, che
male poteva esserci?
Han, se solo sapessi come mi fai sentire…
Sfiorò
leggermente il naso di lui con la punta del suo, sulle labbra sentiva il suo
alito caldo, il che non faceva altro che aumentare il suo desiderio. Prima di
avere il tempo di chiedersi se quello che le aveva detto la signora della
reception poteva avere un fondo di verità si accorse che i suoi capelli, usciti
dalla treccia che li teneva in ordine, stavano solleticando la narice di Han.
Quasi istantaneamente lui sternutì e si svegliò di colpo.
«Han!
Che schifo!» disse fingendo sdegno e piazzandogli una pacca sul petto, per dare
una spiegazione plausibile alla collocazione della sua mano.
«Scusa…
non volevo svegliarti.»
«Ma
chi dormiva?! Russi come un Wookiee! Ora è meglio se ci alziamo.» Anche se
aveva usato un tono annoiato non era affatto seccata anzi, la premura di lui le
faceva quasi tenerezza. Si affrettò ad abbandonare il letto e con esso tutti i
pericolosi pensieri che per qualche minuto avevano annebbiato completamente la
sua ragione.
Il
silenzio di lui però era preoccupante. Sbirciando dallo specchio del comò, mentre
cercava di rimettere in ordine i capelli, lo vide seduto sul letto assorto in
chissà quali riflessioni.
«E’
da molto che sei sveglia?»
«No,
perché?» Anche se la sua domanda sembrava innocua era meglio non esporsi più
del dovuto.
«Così…
Ho fatto dei sogni strani.» Han stava seguendo con il dito i bordi della sagoma
che lei aveva lasciato sulle coperte, sempre con aria pensierosa.
«Spero
che non siano come i miei.» Cercò di sdrammatizzare, voltandosi verso di lui.
«No…
decisamente no!» Finalmente il suo sguardo tornò presente e si posò
immediatamente su di lei. «A differenza di te io pagherei qualsiasi cosa purché
si avverino» aggiunse con il suo solito sorriso intrigante.
A
quel punto non era più sicura che lui stesse veramente dormendo, ma fu costretta
a rimanere con quel dubbio, non avendo il coraggio di approfondire l’argomento.
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La
prima cosa che vide dopo aver ripreso i sensi fu il volto di Han. Non sapeva
dire per quanto tempo era rimasta svenuta ed ora si trovava in un posto che le
pareva familiare, ma che allo stesso tempo non riusciva a collocare esattamente.
«Che
cosa è successo?» Ancora faticava a connettere le parole.
«Un
balordo ti ha colpita alla testa mentre stavamo scappando da Ord Mantell, ma
ora è tutto finito. Ti porto al centro medico più vicino, anche se hai la testa
dura è meglio dare una controllata. Resta distesa e non ti muovere okay?»
Ricordava
il volto del suo aggressore e qualche frangente del combattimento che si era
concluso con una violenta botta alla tempia. Poco prima che la vista si
annebbiasse vide Han correrle incontro, poi tutto era precipitato nel buio.
«Scommetto
che è stata tua l’idea di ingaggiare una sparatoria con un bounty killer!»
«Ehi,
non addossarmi tutte le colpe! Io ho avuto l’idea di tendere l’imboscata al
bounty killer, ma l’iniziativa di uscire allo scoperto l’hai presa tu,
nonostante ti avessi ordinato di stare dietro di me.»
«Sei
fortunato perché non ho neanche la forza di replicare… Secondo te è grave?» gli
chiese indicandosi la testa.
«Non
lo so, ma è meglio che non ti muovi. Per il momento tieni questo sopra
all’ematoma.» Le passò qualcosa in mano, ma il sollievo derivante dal ghiaccio
fu vanificato dal forte puzzo che scaturiva da esso.
«Ma
che roba è?!» Quell’odore, sommato ai giramenti di testa, le faceva venire la
nausea.
«E’
una bistecca di Chewie, è la prima cosa che ho trovato in freezer… Eh lo so, il
profumo non è invitante vero?»
«Sto
per vomitare. Dove mi trovo?» Il soffitto e la forma degli oblò erano simili a
quelli del Falcon, ma non aveva mai visto quella cabina prima di allora.
Esiste solo una parte del Falcon che non ho mai visto…
«Tranquilla,
siamo al sicuro» rispose pazientemente.
«Se
permetti questo preferisco accertarlo di persona!» Provò ad alzare il busto ma
lui la bloccò, in modo gentile, ma deciso, facendola riadagiare sul letto.
«Siamo
sul Falcon, anni luce lontani da Ord Martell. E questa è la mia cabina… Soddisfatta
adesso?»
«Cosa???
Vuoi dire che mentre ero priva di sensi ne hai approfittato per portarmi nel
tuo letto?» Era proprio come aveva immaginato, ma tutto sommato era positivamente
sorpresa di aver guadagnato in quel modo l’accesso ad uno dei più grandi
misteri di Han Solo. Lui le aveva sempre impedito di entrare lì dentro e lei si
era fatta milioni di congetture a riguardo… il tutto per scoprire che si
trattava di una cabina normalissima, come tutte le altre.
«Avevi
forse delle alternative migliori? Preferivi la stanza di Chewbacca?» Lui aveva
assunto un’aria offesa.
«Meglio
se mi alzo subito da qui! C’è da rischiare una gravidanza semplicemente
sfiorando le lenzuola! Non so dire chi ne ha viste passare di più: la camera
del motel o la tua cabina…» Ora si sentiva decisamente meglio e quella scoperta
inaspettata l’aveva messa di buon umore.
«Tutto
sommato penso che la tua condizione non sia così grave come sembra! …E comunque
tu sei la prima che entra qua dentro, questo posto è solo ed esclusivamente mio
e rimarrà tale, non appena ti sarai ripresa!»
«Mi
sento lusingata. Vuoi dire che non porti mai qui le tue conquiste, dopo aver
fatto fare loro il tour completo del Falcon?» Sapeva che era pericoloso
stuzzicare Han su quell’argomento, ma non poteva farne a meno, era troppo
curiosa.
«Le
porto ovunque tranne che qui! Comunque hai ragione: la tua incolumità è in
pericolo, meglio se ti sposti in un’altra stanza!»
«Hai
paura che scopra i tuoi scheletri nell’armadio, capitano?» Non era per niente
intenzionata ad abbandonare quella cabina, soprattutto perché lui appariva
sempre più infastidito.
«No,
sono semplicemente geloso della mia privacy!»
La
loro schermaglia fu interrotta momentaneamente dalla comunicazione di Chewbacca
attraverso l’intercom interno del Falcon. Dato il tono minaccioso del grosso
Wookiee doveva trattarsi di qualcosa di urgente, ma Han non sembrava affatto ansioso
di andarsene.
«Penso
che sia meglio che tu raggiunga il tuo copilota prima che ti stacchi le
braccia. Non preoccuparti per la mia salute, me ne starò qui tranquilla… a
ficcare il naso fra le tue cose.»
Stavolta
però Han cambiò strategia, invece di mostrarsi seccato le risposte in tono
vellutato: «Va bene, aspettami lì, così condivideremo il letto anche stasera.»
Sapeva
che prima o poi lui gli avrebbe fatto notare quella cosa. «Noi non abbiamo
condiviso un bel niente ieri sera!»
«Ne
sei così sicura?» Lui si congedò lasciandola da sola a riflettere nella sua
cabina.
Ormai
era quasi certa che lui non stesse per niente dormendo… quella mattina, su Ord
Mantell.