Rescue Me
È da un po’
di tempo che Bill si comporta in modo strano. Non si confida più con me, e la
cosa mi preoccupa: siamo gemelli, ci siamo sempre raccontati tutto, e invece
ora quasi non mi parla. Quando usciamo da scuola non mi aspetta più al cancello
per fare la strada insieme, e quando arrivo a casa trovo la porta della sua
camera chiusa a chiave; ho provato più volte a farmi aprire, ma non mi ha mai
risposto. Ormai è una settimana che va avanti così, e ci sto male. Se mio
fratello ha un problema, vorrei esserne al corrente, e cercare di aiutarlo, ma
non posso fare nulla se non mi dice cosa c’è che non va!
Sconfortato,
mi alzo dal letto, mi vesto e scendo a preparare la colazione per entrambi - ormai la mamma non è quasi mai a casa la mattina,
e nemmeno nostro padre, quindi me ne occupo io. Mentre metto in tavola il succo
d’arancia e cerco la marmellata nella dispensa, sento Bill muoversi al piano di
sopra. Preparo allora le sue fette biscottate per prime, poi passo alle mie.
Quando ho finito, però, lui non è ancora sceso -
strano, di solito ci mette poco a venire a mangiare, dopo essersi alzato.
Finisco la mia prima fetta piena di marmellata, ed ecco che sento i suoi passi
scendere le scale … però … aspetta un attimo … le scarpe da ginnastica non
dovrebbero fare questo TAC TAC che sa tanto di cuoio …
Quando
finalmente la figura di mio fratello compare sulle scale, ecco svelato il
mistero … ma … quelli sono stivali neri di pelle?! E quei jeans scuri così
aderenti da dove spuntano?? Per non parlare della giacchetta di pelle. Da
quando Bill si è rifatto il guardaroba? E da quando ha questo stile così … così
… diverso! e particolare … ?!?
«C -ciao.» lo saluto, fissando -
ancora a bocca aperta - il pesante trucco che si è fatto a
coronare il tutto. Lui si limita a farmi un cenno con la testa, poi si siede a
tavola e comincia a mangiare, come se niente fosse. Cercando di riprendermi,
finisco in un sorso il mio succo di arancia e vado a lavare il bicchiere, poi
passo al coltello che ho usato per spalmare la marmellata. Quando ho finito, mi
volto e decido di affrontare mio fratello e chiedergli una volta per tutte cosa
gli stia succedendo, ma non faccio tempo ad aprire bocca che lui si è già
alzato e si sta avviando all’ingresso.
«Ci vediamo a
scuola.» mi saluta,
raccogliendo da terra la sua cartella. Guardo il tavolo, e vedo metà della sua
colazione ancora nel piatto.
«Ma, ehi! Non
hai nemmeno finito di mangiare! Non ti piaceva la marmellata?» gli chiedo, in un disperato tentativo
di fare una qualsiasi conversazione, ma lui liquida in un secondo anche questa
mio ultimo sforzo:
«No, era
ottima, grazie davvero Tom, ma non ho fame.»
«Bill …!»
«Ciao.» e con questo esce, chiudendosi la porta
alle spalle.
Eh no, però,
ora mi ha proprio stufato! Raggiungo a grandi passi la porta ed esco in
giardino, chiamandolo.
«Bill!
Fermati!»
Lui continua
a camminare, il rumore ritmico degli stivali di cuoio che batte a tempo con i
suoi passi. Mi metto a correre verso di lui, e lo afferro per un braccio
facendolo voltare.
«Si può
sapere che diamine ti ho fatto?!!» gli grido in faccia, ormai incazzato nero. Lui mi guarda con un’espressione
stupita, gli occhi cerchiati di nero che mi fissano interrogativi.
«È più di una
settimana che mi eviti!»
gli rinfresco la memoria. «Non
mi parli, non stai nella stessa stanza con me per più di cinque minuti, non mi
dai modo di avvicinarti in alcun modo … perché? E ora te ne vieni fuori con
questo look … completamente diverso da quello che eri una volta! … e pretendi
che faccia finta di niente, che la ritenga una cosa normale?? Mi spieghi perchè
ce l’hai così a morte con me?»
Ho urlato l’intero
discorso, me ne accorgo solo ora dalle facce dei passanti che ci guardano
straniti, ma sinceramente me ne frego; voglio solo delle risposte da mio
fratello.
Lui continua
a fissarmi con gli occhi spalancati, colto di sorpresa dal mio improvviso
sfogo, poi li abbassa a terra.
«Non ce l’ho
con te.» è la sua
unica risposta.
Lascio
lentamente andare il suo braccio, guardandolo confuso.
«Cosa? Tu non
…? Be’, scusa, ma a me pare proprio il contrario!» esclamo.
Lui alza di
nuovo gli occhi e li fissa nei miei, guardandomi con sincerità.
«Ti giuro Tom,
tu non c’entri. Ti voglio bene.»
Mi dà un
veloce abbraccio, poi scappa via, lasciandomi lì in mezzo al marciapiede con le
idee ancora più incasinate di prima. Pestando un piede a terra, me ne torno in
casa a prendere la cartella e mi avvio poi anch’io verso la scuola.
Le prime due
ore passano lente, mentre non presto minimamente attenzione all’insegnante,
riuscendo a pensare solo a Bill. Nel banco accanto al mio, Andreas mi lancia
ogni tanto qualche occhiata inquisitrice, ma non do retta nemmeno a lui,
fissando il mio sguardo fuori dalla finestra. Non appena la campanella della
ricreazione suona, mi alzo dal mio posto e sfreccio in corridoio, deciso a
trovare mio fratello e passare l’intervallo con lui, sperando di ricavarne
qualche spiegazione. Lo cerco nella sua classe, ma non c’è già più; vado allora
in giardino, passando lo sguardo su tutti gli altri ragazzi, cercando di
individuare il suo nuovo giubbotto, o la sia pettinatura alquanto insolita che
sfoggia da un paio di giorni, ma non ho risultati nemmeno qui. Mi sono già
arreso, quando lo intravedo sbucare dal retro dell’edificio. Gli vado incontro,
chiamandolo, ma non appena sente la mia voce, lo vedo cambiare improvvisamente
direzione e cercare di sfuggire tra la folla. Senza arrendermi, lo seguo,
mantenendomi a distanza: ho capito che non vuole stare con me, quindi non mi
resta altro da fare che avvicinarlo quando non se l’aspetta. Bill entra di
nuovo nella scuola, proprio mentre la campanella sta segnando la fine dell’intervallo,
e impreco tra i denti quando lo vedo imboccare il corridoio che porta alla sua
classe. Sto già per andarmene, se non fosse che lo vedo deviare ed entrare nel
bagno dei ragazzi, appena una porta prima della sua sezione. Approfittandone al
volo, lo seguo.
Non sono però
preparato a ciò che sto per trovare … quando apro la porta del bagno, lo vedo
piegato in due sul lavandino, una mano premuta contro lo stomaco e un
fazzoletto sporco di sangue poggiato sul labbro inferiore, innaturalmente
gonfio.
«Bill! Santo
cielo, ma che …?!»
Lo affianco,
scrutando preoccupato il suo viso in cerca di altri segni, ma per fortuna il
labbro sembra essere l’unico ad aver subito danni.
«Mi dici che
diamine è successo?!»
esclamo in preda al panico e alla rabbia. «Chi ti ha ridotto così?»
Lui tenta di
ricomporsi, raddrizzandosi, senza riuscire a trattenere una smorfia di dolore,
ed evita il mio sguardo.
«Nessuno.»
Il silenzio
riempie l’aria per qualche istante. Sono io a romperlo:
«Pensavo di
essere tuo fratello, pensavo ci fossimo sempre detti tutto, fin da bambini. Ma
a quanto pare tu hai deciso di non fidarti più di me. Mi stai escludendo dalla
tua vita, eppure mi dici che io non ho fatto nulla, che non ce l’hai con me …
cosa devo pensare, Bill? Non riesco più a capirti …»
Dopo la mia
confessione, di nuovo il silenzio si insinua pesante tra di noi. Questa volta è
Bill a parlare, ma ancora una volta, non ha una risposta per me:
«Devo andare
in classe.»
Abbassando lo
sguardo, stringo i pugni abbandonati contro i fianchi, ma lo lascio andare.
Sulla porta, si ferma un istante:
«Comunque,
credo che stasera avrai le riposte che vuoi.»
L’ha detto
con un tono pieno di tristezza, prima di chiudersi la porta alle spalle, e ciò
non fa che aumentare i miei dubbi e le mie preoccupazioni.
Quando verso
le due arrivo a casa, come sempre trovo la camera di mio fratello chiusa. Senza
neanche preparare pranzo, mi rintano anch’io nella mia a fare i compiti,
cercando così di distrarmi e tenermi occupato. Qualche ora dopo, però, la fame
inizia a farsi sentire, così scendo in cucina a prepararmi uno spuntino.
Proprio in quel momento, torna a casa nostra madre. Sono sorpreso nel vedere
alle sue spalle anche papà, che di solito torna molto più tardi - o non torna affatto, alcuni giorni.
«Ciao, Tom.
Tutto bene, a scuola?» mi
salutano. Mi limito a fare un verso imprecisato, che lo interpretino come gli
pare.
«Bill?» mi chiedono.
«È in camera
sua.»
I nostri
genitori si lanciano uno sguardo, poi papà mi dice:
«Potresti
andare a chiamarlo? Tua madre ed io abbiamo una cosa da dirvi.»
Lancio loro
uno sguardo furtivo, poi annuisco e inizio a salire le scale. Arrivato davanti
alla porta della camera di mio fratello, provo a bussare, ma, come d’altronde
avevo immaginato, non ricevo risposta. Riprovo, insisto ancora un po’, lo
chiamo, ma lui si ostina a non voler aprire. Sospirando rassegnato, faccio
dietrofront e torno dai miei, alzando con finta indifferenza le spalle mentre
comunico che non vuole scendere.
Anche loro si
lasciano sfuggire un sospiro, poi decidono di dare a me la notizia.
«Senti Tom,
io e tuo padre abbiamo preso una decisione.» inizia la mamma.
«Ne abbiamo
discusso a lungo, e crediamo sia davvero la cosa giusta.» si intromette papà.
Di fronte al
mio sguardo confuso, decidono di arrivare al sodo.
«Vedi, noi …
abbiamo deciso di separarci.»
Il silenzio
cala nella sala da pranzo, mentre gli occhi preoccupati dei miei genitori mi
scrutano in attesa della mia reazione. Ma la mia attenzione non è più rivolta a
loro: sto pensando a Bill. La prima cosa che mi chiedo è come la prenderà lui,
ma subito un altro pensiero mi sfiora: lui già lo sa. Mio fratello, sempre così
sensibile a ciò che lo circonda, ha già intuito tutto. A differenza di me, ha
saputo leggere qualcosa nelle assenze prolungate dei nostri genitori, nei loro
sempre più frequenti litigi …
È dunque
questo il motivo della sua tristezza? È questo che l’ha spinto a chiudersi in
se stesso, a nascondersi dietro una maschera diversa?
Senza più
pensare ai nostri genitori, che continuano a fissarmi cercando di intuire le
mie emozioni dalle espressioni del mio viso, mi volto e corro al piano di
sopra, saltando i gradini a due a due. Una volta di fronte alla camera di Bill,
tempesto la porta di pugni, gridandogli di aprirmi, pregandolo più volte di
lasciarmi entrare. Quando la porta si apre, rimango immobile e in silenzio a
guardare mio fratello negli occhi, a fissare quell’unica scia di matita nera
che gli riga la guancia destra, una mano ancora sospesa in aria nell’atto di
bussare. La abbasso lentamente, ed entro in camera, andandomi a sedere sul letto.
Bill chiude la porta e prende posto accanto a me, senza dire una parola.
Tenendo lo sguardo fisso al pavimento, rimango in silenzio ancora per qualche
istante, finché non riesco più a trattenermi e cerco di nuovo le risposte alle
mie domande degli ultimi giorni.
«Tu lo
sapevi? Di mamma e papà …»
«Lo
immaginavo, sì.» risponde. «Ho ascoltato il loro ultimo litigio …»
«Perché non
me lo hai detto?»
Lui sospira.
«Non lo so.» confessa, poi, dopo una pausa,
riprende:. «Forse speravo
che non dovesse accadere davvero, di essermi sbagliato.»
«Però tu
stavi soffrendo.» La mia è
un’affermazione, più che una domanda. «Me ne sono accorto, Bill. E poi, questo tuo
cambiamento … se c’è qualcosa che non va, voglio che me ne parli. Chissene
importa se è una stupida questione inutile, o se non sai se è vera o meno, o
che so io! Voglio sapere tutto quello che ti succede, altrimenti come posso
aiutarti?»
Sento il suo
sguardo alzarsi su di me.
«Non avresti
potuto fare niente. Se hanno deciso così, noi non abbiamo voce in capitolo.» replica.
«Ma portarne
il peso in due forse è più facile.» ribatto io, guardandolo a mia volta.
Per la prima
volta dopo tanti giorni, Bill mi sorride. Hai ragione. Me lo dice con
gli occhi, quegli occhi che solo il suo gemello sa leggere fino in fondo. Lo
so! rispondo a mia volta con un ghigno. Ci fissiamo ancora un istante, poi
scoppiamo a ridere nello stesso momento. Mi fa piacere che sia tornata la
nostra complicità, mi era mancata!
Solo in
questo momento, però, vedo di nuovo il taglio che ha sul labbro inferiore, e
torno improvvisamente serio.
«Quello, però,
non credo c’entri con il fatto dei nostri genitori.» esordisco, indicando la sua bocca.
Anche lui
smette di ridere, e si sfiora il labbro.
«No.» ammette.
Lo fisso con
più insistenza.
«E non vuoi
dirmi come è successo? Altri segreti?» incalzo.
«Be’ … questo
…» cede infine «questo è dei miei compagni … mi hanno
insultato per il mio aspetto, io ho reagito, ma loro erano decisamente di più e
più forti.» conclude tutto
d’un fiato con un grande sospiro. Poi socchiude gli occhi, preparandosi all’uragano
che si aspetta io stia per scatenare. Io lo guardo con un sopracciglio alzato.
«Ti hanno
picchiato … perché sei più bello di loro?! Ma io gli spacco la faccia! Domani
mi sentono! Non alzeranno mai più un dito su un Kaulitz!! E si può sapere perché
diavolo non mi hai parlato nemmeno di questo?! Non è la prima volta che ti vedo
dei lividi …»
Bill alza gli
occhi al cielo.
«Proprio
perché volevo evitare questo! È un problema mio, Tom. Ce l’hanno con me, quindi
me la devo vedere io.»
«Ah, no!
Siamo gemelli, quindi siamo una cosa sola. Ce l’hanno con te? Be’, allora ce l’hanno
anche con me, e domani cambieranno idea!»
Bill rimane a
fissarmi per un momento, poi si lascia sfuggire un sorriso, che prontamente
ricambio.
«Tom? Bill?»
Improvvisamente
sentiamo le voci dei nostri genitori chiamarci dal piano di sotto. Ci scambiamo
un’occhiata, e di nuovo sento la nostra complicità ritrovarci.
«Ce ne
occupiamo domani?» chiedo.
«Insieme?» sorride Bill.
«Certo.» replico io. E ridendo finalmente
spensierati ci lasciamo cadere all’indietro sul materasso nello stesso momento.
«Ah, comunque
…» gli dico, fissando il
soffitto. «Stai bene con
questo nuovo look. Hai stile!»
E con altre
risate sincere, rimaniamo così, uno accanto all’altro, a pensare a tutto ciò
che da oggi in poi affronteremo, insieme.
NdA. Ciao, ragazzi! La mia prima ff sui
gemelli Kaulitz! Ke emozione …!^_^
Be’, attendo
soltanto i vostri commenti, per sapere cosa ne pensate! Recensite, vi prego!!!