Spero
che questa
fanfiction vi possa piacere e vi chiedo umilmente di recensire anche
le critiche van bene così miglioro :D (non dico altro
altrimenti
rischio di dire cavolate come al solito)
Un
dolore condiviso fra compagni, sparisce sempre!
"Che
cosa faresti se
incontrassi il figlio di Gold D. Roger?"
"Lo
picchierei, gli
farei del male e farei in modo che venga giustiziato dalla Marina!"
Questo
era quello che Ace
aveva sempre sentito rispondere alla sua domanda, dopo lui picchiava
tutte le persone che rispondevano così ma il dolore rimaneva
lo
stesso.
Crescendo
aveva imparato a
non chiedere più niente a nessuno, tanto sapeva
già la risposta. Si
era sentito dire tante volte che la sua vita era uno sbaglio, che la
sua stessa esistenza era un errore, che ormai stava iniziando a
crederci anche lui.
Una
sera mentre era in una
locanda, volle provare a chiedere di nuovo quella domanda a qualcuno,
per vedere se l'opinione della gente era cambiata oppure no, anche se
non sperava in un cambiamento.
"Che
cosa faresti se
incontrassi il figlio di Gold D. Roger?" Chiese al locandiere.
"Lo
consegnerei di
sicuro alla Marina!" disse quest'ultimo convinto.
Prima
che Ace potesse
anche solo dire una parola, una persona con un mantello nero ed il
cappuccio tirato sulla testa seduta al bancone due posti più
in là
rispetto ad Ace chiese:
"Perchè?
Ha fatto
per caso qualcosa di male?" Aveva una voce strana, calma, sicura
di sè, quasi non sembrava reale tanto era profonda, ma non
roca o
maschile... sembrava quasi la voce di una ragazza, una voce antica,
ricordava il suono del vento.
"Come?"
chiese
stupito il locandiere.
"Ho
chiesto: ha fatto
qualcosa di male?" ripeté scandendo bene le parole.
"Bhe...
in effetti...
non ha fatto niente... Però rimane comunque il figlio di un
demonio!"
"Un
demonio? Perchè?
Gold D. Roger era un pirata come tanti, era solo più forte."
"Bah,
io resto del
mio parere..." rispose il locandiere non molto convinto,
concludendo il discorso girandosi a pulire dei piatti. Ace si
girò
stupito con gli occhi spalancati verso quella persona cercando di
capire che volto avesse ma non ci riuscì; capendo che non
aveva la
possibilità di capire chi era, rinunciò al
tentativo.
Dopo un
po' di tempo...
"La
ringrazio per il
cibo, ecco i soldi." Disse la persona con il mantello.
"Grazie
a lei."
La
persona uscì e si
incamminò in fretta verso il bosco. Ace, la cui
curiosità nel
frattempo era aumentata di un bel po', pagò anche lui e si
diresse
correndo alla velocità della luce nella stessa direzione di
quell'individuo.
Quando
uscì dalla
boscaglia dall'altra parte dell'isola rispetto al villaggio, lo vide
passeggiare sulla spiaggia, perso a contemplare il mare.
Cercò
di avvicinarsi
rimanendo nascosto dietro a dei massi.
Quando
si
fu avvicinato un bel po', poichè
si era tolto il
cappuccio, riuscì a vederlo... o meglio... vederla. Era una
ragazza
sembrava avere circa 17 anni; aveva i capelli lunghi fino alle spalle
castani, una spada appesa al fianco, la cui elsa sbucava dal
mantello. Portava una maglietta bianca con le maniche larghe e dei
pantaloni larghi, stretti in fondo appena sotto al ginocchio; aveva i
piedi nudi.
"I
ragazzini come te
non dovrebbero andare a dormire a quest'ora?" Chiese
all'improvviso la ragazza, rimanendo girata verso il mare, facendo
sobbalzare Ace per lo spavento.
"Stai
dicendo a me?"
Disse Ace un po' preoccupato indicandosi con un dito.
"Sì."
Disse lei
girandosi di scatto verso di lui.
Finalmente
poté vederla
in faccia, aveva i lineamenti fini e gli occhi erano verdi, un verde
che non aveva mai visto da nessun'altra parte.
"E-ecco,
i-io a dir
la verità, ecco sta-stavo solo cercando..."
iniziò Ace
arrossendo e abbassando la sguardo, appoggiando la mano sul cappello
per non far vedere il suo rossore.
"Di
scoprire chi io
fossi." Lo interruppe lei.
Ace
alzò lo sguardo
stupefatto e vide che lei stava sorridendo.
"Mi
scusi, non volevo
essere invadente." disse lui un po' rassicurato ed allo stesso
tempo intimorito.
"Non ti
preoccupare,
però ora ti conviene tornare, ti staranno aspettando." Disse
lei smettendo di sorridere e riiniziando a camminare.
"No,
non c'è
nessuno"
Allora
lei si girò di
nuovo e lo guardò curiosamente con la testa un po' inclinata.
"I-io,
non ho...
nessuno" concluse lui, dicendo l'ultima parola in un soffio.
"Sei il
figlio di
Gold. D. Roger, vero?"
"E tu
come fai a
saperlo?"
"Me lo
hai appena
detto tu." Disse lei sorridendo di nuovo dolcemente.
"Perchè
mi stai
sorridendo?"
"Perchè
non dovrei?"
"Ti
devo ricordare
che sono il figlio di un demonio?"
"Credevo
di aver già
spiegato che cosa pensavo su tuo padre."
"Sul
serio non mi
consegneresti alla Marina se non ne avessi l'occasione?"
"E chi
ha detto che
non ne avrei l'occasione?"
"In che
senso?"
"Se io
volessi potrei
consegnarti alla Marina, oppure più facilmente potrei
ucciderti
all'istante; credimi, sono molto più forte di te."
affermò lei
con un ghigno divertito.
"Ne sei
così
sicura?" chiese anche lui con un ghigno.
"Assolutamente."
Ace
iniziò ad avvicinarsi
a lei con un aria strafottente, ma lei non si mosse di un passo, anzi
continuò a fissarlo divertita.
"Prova
a prendermi se
ci riesci." Disse lei iniziando a correre diretta verso il
bagno-asciuga.
Ace
rimase un attimo
spiazzato, ma poi si riprese subito ed iniziò a rincorrerla;
quando
le
fu abbastanza vicino, lei
iniziò a spruzzarlo iniziando a ridere e lo stesso fece lui
seguendo
il suo esempio.
Continuarono
così per un bel po', finché non furono stanchi e
si stesero sulla
sabbia vicini.
Fissarono
per qualche minuto le stelle: quella notte era particolarmente
limpida e si vedevano tutte le costellazioni.
"Come
ti chiami?" chiese lui girando la testa verso di lei.
"Nessuno
sa il mio
nome a parte me." disse lei rattristandosi un po'.
"Bhe,
sono sicuro che
sia un nome molto bello."
"Perchè
dovrebbe
essere bello?"
"Perchè
secondo me
il tuo nome ti rispecchia." disse lui con un sorriso a trentadue
denti e gli occhi socchiusi.
"Era un
complimento?"
"Diciamo
di
sì."
"Natsumi."
"E'?"
chiese lui, non avendo capito.
"E' il
mio nome."
"Lo
sapevo!"
esclamò lui, "il tuo nome significa “bellezza
d'estate”, è
un nome meraviglioso, proprio come dicevo io!"
"Solo
il nome..."
"Perchè
sei triste?"
"Lascia
perdere."
fece per alzarsi, ma lui la prese per un polso bloccandola.
"Tu non
vai da
nessuna parte, se prima non mi hai detto perchè sei triste,
io
detesto vedere le persone tristi, soprattutto se sono amiche mie."
concluse lui con un'aria determinata.
Natsumi
sospirò
rassegnata e si risedette.
"La mia
famiglia è
morta durante un terremoto ed io sono finita in un orfanotrofio.
Però
questo era un orfanotrofio solo in apparenza, infatti svolgeva delle
ricerche su un tipo di virus che alcune persone della nostra isola
avevano. Era un tipo di virus che permetteva di controllare a
piacimento il proprio sangue. Loro per studiare queste persone, che
erano casi molto rari, circa una persona su mille era affetta dal
virus, le facevano combattere le une contro le altre, costringendole
spesso ad uccidere i propri amici non intenzionalmente,
perchè se
loro non facevano quello che le dicevano morivano loro al posto
dell'avversario. Una vita terribile, in cui l'agonia, la disperazione
e la follia erano all'ordine del giorno, l'aria puzzava continuamente
di sangue e non permettevano di uscire da quell'edificio a nessun
orfano, infetto o no, alcuni di loro, dopo che sono entrati
là, non
hanno più visto la luce del sole... perchè sono
morti prima."
Qui fece una pausa sospirando:
"Io...
ero infetta da
quel virus, ma il mio tipo di virus era molto più forte
degli
altri... ho dovuto uccidere tutti i miei amici, per sopravvivere.
Sono riuscita a scappare, ma sono ancora infetta da quel virus e non
voglio più uccidere nessuno... nessuno..." si
rannicchiò su
stessa abbracciandosi le ginocchia con le braccia e tenendo la testa
appoggiata alle gambe, iniziò a tremare e a piangere in
silenzio.
Ace
rimase molto
impressionato dalla storia della ragazza, ma non spaventato, non
temeva per nulla Natsumi, anzi fin da quando l'aveva vista in volto,
gli era venuta voglia di proteggerla, non sapeva da cosa, ma ormai ne
era sicuro, l'avrebbe protetta da qualsiasi male, fisico o mentale
che fosse.
Cautamente
si avvicinò e
la cinse con le braccia appoggiando la testa sulla sua:
"Non mi
importa del
tuo passato, non mi importa che tu sia affetta da un virus e non mi
importa di tutto ciò che hai fatto in passato,
perchè qualunque
cosa brutta tu abbia fatto, sono sicuro che ti abbiano costretto a
farlo, quindi non è stata colpa tua, chiaro? In ogni caso,
se adesso
non sai dove andare, io avrei un posto nella mia ciurma, sempre se ti
va di diventare un pirata della seconda flotta di Barbabianca!"
finì lui sorridendole.
Lei
alzò lo sguardo
colpita da quel discorso e da quel gesto e, asciugandosi le lacrime,
lo guardò con una luce nuova negli occhi:
"Sul
serio saresti
disposto ad accettarmi nella tua ciurma?"
"Certo,
altrimenti
non te l'avrei mai chiesto!" disse lui continuando a sorridere.
"Grazie!"
lei si
girò di scatto verso di lui ritrovandosi nelle sue braccia,
e lo
abbracciò a sua volta, appoggiando il capo nell'incavo del
suo
collo.
I due
rimasero così un
po' l'uno delle braccia dell'altro, cercando conforto in
quell'abbraccio inaspettato ed altrettanto dolce.
Qualche
mese dopo nella
stanza del capitano della nave della seconda flotta di Barbabianca...
"Grazie
Ace." disse Natsumi abbracciando il capitano e baciandolo
delicatamente. Ace ricambiò subito abbracciandola senza dire
nulla,
tanto lei sapeva già cosa voleva dirle, non c'era bisogno di
parole
in quel momento.
"Non credevo che un dolore
diviso
con qualcuno, sparisse completamente."
Questo
fu il pensiero di entrambi in quel momento, mentre ringraziavano
mentalmente con tutto il cuore che il destino li avesse fatti
incontrare.
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