NDA:
Questa cosa non era in programma. Affatto.
Boh,
mi è uscita così. Ma per qualche motivo... mi ha
soddisfatto immensamente scriverla –almeno, la prima parte.
Mi
ha fatto un effetto strano, come se stessi descrivendo
un disegno, e ad un certo punto mi sono pure commossa. Sono diventata
una
pappamolla.
Come per "We're the same soul" –la
one shot GrimmTatsu–
metto l'avvertimento AU per essere sicura, anche se questa storia non
è collocata precisamente da nessuna parte.
Vabbè,
spero che possiate trovare interessante questa
lettura principalmente dal POV di Ichigo! Come al solito, se decideste
di farmi
sapere cosa ne avete pensato con una recensione, mi rendereste la donna
più
felice del mondo! ♥
[crossover Bleach x
D.Gray-man] [Ichigo x Linalee]
[baby OC]
-
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA
ESTATE.
La tua virtù
è la mia sicurezza.
E allora non è notte se
ti guardo in volto,
E perciò non mi par
d'andar nel buio,
E nel bosco non manca compagnia
Perché per me tu sei
l'intero mondo.
E come posso dire d'esser solo,
Se tutto il mondo è qui
che mi contempla?
[William
Shakespeare]
Si
sentiva come se stesse... volando.
Era
una sensazione strana, gli sembrava come di essere attirato
su, sempre più su, verso quell’alto che aveva
sempre bramato, quasi come se non
avesse fatto altro che annegare per tutta la vita. Eppure, in quel
momento, non
gli mancava il fiato.
In
superficie, poteva quasi vedere la luce del sole
brillare, che pareva distante, irraggiungibile, sommersa da
quell’immenso
oceano di... lacrime.
Si
portò una mano al viso, rendendosi conto di quale fosse
la loro provenienza. Per tutti quegli anni, non le aveva sentite
cadere, eppure
erano sempre state lì, a rigargli il viso, e ancora
persistevano. Il suo
inconscio non riusciva a concepire come potesse sentirle sulla propria
pelle,
nonostante fosse immerso in esse.
Quell’acqua
avrebbe dovuto portargliele via, fare in modo
che si confondessero in essa, invece sembrava solo alimentarle
all’infinito.
Si
sentiva stupido perché non riusciva a fermarle.
Così
chiuse gli occhi, cercando di non pensarci, di nasconderle. Anche a
sé stesso,
al suo stesso sguardo sempre cupo, introverso, dettato dalla sua colpa
innegabile,
dalla condanna del suo giudizio inflessibile.
Ma
per qualche motivo, non funzionò.
Scacciarle
era impossibile. Ma anche cercare di non
considerarle, di non dargli peso, lo stesso peso che lo aveva tenuto
ancorato a
fondo fino a quel momento. Analogamente a delle catene, nere come la
pece, nere
come il peccato.
Era
ingiusto. Sapeva che avrebbe dovuto sopportarle per
sempre, ma almeno avrebbe voluto poterle tenere per sé, e
sé solo. Quelle
lacrime, quelle catene, quel dolore immenso quanto il suo oceano, erano
una
parte di lui che doveva rimanere
nascosta. Non poteva permettersi di mostrarla a nessuno. Quel peso
enorme che
gravava nel suo cuore, non poteva permettersi di caricarlo su qualcun
altro
all’infuori di lui. O quel qualcuno ne sarebbe rimasto
schiacciato, distrutto.
Ucciso.
Non
ricordava.
Nonostante
si sforzasse, non riusciva a ricordare per quale
motivo avesse perso la capacità di nascondere le lacrime
dietro uno sguardo
serio, o ancora, a un falso sorriso. Perché un motivo
c’era. Una ragione, che
gli trasmetteva calore fin
dentro all’anima, fondendo lentamente, con gentilezza, le
catene.
Ma
quelle catene, se avesse lasciato che lo
abbandonassero, a cosa si sarebbe aggrappato, poi?
Cosa
gli sarebbe rimasto? Lui stesso, cosa sarebbe stato
senza il peso di quella colpa, oltre
ad esso?
Le
lacrime presero a scorrere ancora più copiose,
provocate dalla frustrazione a sua volta causata
dall’ignoranza della sua
memoria, e allo stesso tempo dall’amara consapevolezza di non
essere niente. In un ultimo
tentativo quasi
disperato di nascondersi, si coprì il viso con entrambe le
mani.
E
all’improvviso, tornò ad essere bambino.
Avvertì
il cambiamento, nitido come il senso di panico
che si impossessò di lui. Ma non tolse le mani dal proprio
viso in modo da
guardarle per capire quanto fossero
diventate piccole, non osò
farlo.
Cosa
avrebbe visto, altrimenti? A che momento della sua
vita era tornato?
Strizzò
con forza gli occhi, insaccando la testa folta di
capelli ramati nelle spalle. Forse non era poi così male,
non ricordare.
Cancellare tutto quello che era stato, e quello che continuava a
restare celato
nel suo cuore, immutato, immutabile.
Dimenticarsi di tutto, anche di sé stesso. In modo da
scomparire. Nascondersi,
lasciandosi schiacciare. Distruggere.
Morire.
« Sono qui... »
Un
sussurro a poca distanza dal suo orecchio, niente di
più. Quasi suadente, nella sua inverosimile dolcezza,
sbagliata per quel luogo buio,
sommerso. Era quello il tono con cui lo chiamava a sé la
morte?
Ma
non poteva essere. Quella voce risuonava di...
cos’era? Cos’era che non ricordava?
Vita.
Comprensione. Rispetto. Fiducia.
Amore.
« Sono sempre stata qui. E per te,
continuerò
ad esserlo. Nella gioia... e nel dolore, ricordi?
“Finché morte non ci separi”.
»
Ricordò,
e diventò vecchio. Molto, molto più vecchio di
quello che era, di quello che avrebbe dovuto essere. Sentiva le gambe
tremare,
le mani ostinatamente fissate sul suo viso, scosse da fremiti. Ma non
c’era
niente a cui potesse appoggiarsi, aggrapparsi. Le sue catene, come
aveva potuto
permettere che lo lasciassero? Ora niente più lo sosteneva,
lo teneva ancorato.
Sì,
stava volando.
Ma
non era una sensazione piacevole. Si sentiva... perso.
Perché la morte, quella morte
beffarda e spietata, non si era portata via lui, come sarebbe stato
giusto. Aveva
preso invece la fonte di quella voce, la ragione della sua stessa vita.
Ancora
una volta.
I
tremiti si fecero talmente forti da sembrargli
convulsioni. Voleva trattenerli, ne aveva bisogno. Se vi si fosse
abbandonato,
il dolore sarebbe diventato insostenibile, inesorabile, come la morte
che sentiva
di attendere ormai da troppo tempo. Si raccolse in posizione fetale,
nonostante
ormai fosse niente più che un povero vecchio solo e
disperato, e non più il
bambino che invece aveva atteso per mesi la vita. Un neonato che era
stato piccolo,
fragile, coperto di sangue, eppure capace di annunciare con tutta la
forza del
suo pianto la sua venuta al mondo. Gli sembrò di vedersi,
quasi, nonostante gli
occhi chiusi. Come se anche quello fosse un ricordo, ma non era
possibile che
si ricordasse della propria nascita, né delle mani tremanti,
delle braccia
calde che lo avevano stretto con incredibile timore e delicatezza,
né della
voce che aveva pronunciato il suo nome.
Capì
improvvisamente solo quando si rese conto che quello
non era il suo nome. E che le mani,
le braccia, la voce che aveva sentito, non erano state quelle di un
estraneo.
Erano
state le proprie.
« Ma neanche la morte potrebbe separarmi da te,
da voi due. Troverei... troverei il modo di convincerla a ripensarci,
ecco.
Magari con una torta... Al cioccolato. Le torte al cioccolato piacciono
a
tutti, non è forse così? »
Ricordò
ancora, ricordò
tutto, e non riuscì a capire se quello che gli
sfuggì dalle labbra fosse un
singhiozzo o una risata.
Ma
in fondo... non gli importava. Perché ciò che
contò
veramente per lui in quel momento, fu la memoria che lentamente
tornò a
riempirlo totalmente come prima che dimenticasse tutto. Che volesse dimenticare tutto.
Si
sentì uno stupido, questa volta però non
perché stesse
piangendo come un bambino, come un vecchio, come l’uomo che
era. E coi ricordi,
tornò anche la consapevolezza di una promessa, di un giuramento, che aveva fatto anche a
sé stesso... soprattutto a sé
stesso.
Quando
sentì nuovamente quella voce parlargli
all’orecchio, pronunciare parole destinate a lui e a lui
solo, la riconobbe, e
si chiese come avesse potuto volerla scordare. Da essa non era in grado
nascondersi, perché gli risuonava nell’anima.
Quasi come se fosse la sua
coscienza, una parte stessa di lui, che lo completava, lo sorreggeva, e
che gli
aveva donato una nuova vita. Non solo la propria.
Ed
era una parte di lui che a sua volta aveva bisogno di
essere accolta, sostenuta... amata.
In salute e in malattia. In
ricchezza e in povertà. Nella gioia e nel dolore, nella
buona e nella cattiva
sorte.
Finché
la morte non li avrebbe separati, e solo in quel
momento si rese pienamente conto che, anche senza una torta al
cioccolato, non
ci sarebbe mai riuscita.
Perché
quei ricordi, no, quella realtà,
era ciò che lo teneva a galla, e ci sarebbe stata
per sempre, a confortarlo. Dimenticare era impossibile, così
come esistere
prescindendo da essa. Non sarebbe stato neanche più vivere.
Non
si tirò indietro né oppose resistenza quando
sentì un
tocco leggero sfiorargli le mani, e allontanargliele dal viso ancora
celato. Si
lasciò guidare, invece. Aiutare. Guardare,
per quello che era veramente.
Perché
in fondo, andava bene così. Quelle lacrime erano
parte di lui, e non era giusto nasconderle dietro una maschera di vuoti
sguardi
e sorrisi. Si era promesso, giurato di non farlo più.
Non di fronte a lei. Alla sua
vita.
Si
sentiva come se stesse volando. Volando
veramente.
Era
una sensazione strana, gli sembrava come di essere attirato
su, sempre più su, verso quell’alto che aveva
sempre bramato, quasi come se non
avesse fatto altro che annegare per tutta la vita. Eppure, in quel
momento, non
gli mancava il fiato.
Un
bacio, profondo come il suo oceano, gli stava cedendo
tutta l’aria di cui aveva bisogno.
«
Buongiorno...
»
Ichigo
Kurosaki sbatté più volte le palpebre, mettendo
lentamente a fuoco la figura seduta al suo fianco, china sopra di lui,
i suoi
capelli scuri mediamente lunghi che quasi arrivavano a solleticargli il
viso, i
suoi occhi grandi dalle sfumature violacee, illuminati dal sorriso
appena
accennato dipinto sulle sue labbra. Impercettibilmente, strinse le
proprie e le
assaggiò con la punta della lingua, come a rievocare il
sapore di quel bacio
che l’aveva svegliato, mentre aggrottava involontariamente le
sopracciglia.
Il
sorriso di Linalee Lee si distese a vedere il suo viso
corrugarsi di primissima mattina, e allungò le dita a
sfiorargli la fronte, per
poi passare ad accarezzargli i capelli, scostandoglieli mentre si
chinava
nuovamente su di lui a deporre la bocca sulle rughe
d’espressione formatesi a
causa di quel suo accigliarsi.
« A
cosa devo
tutti questi baci...? », le chiese Ichigo con la voce ancora
roca per il sonno,
passandosi una mano tra i ciuffi ribelli fino ad incontrare quella di
lei,
posatasi sulla sua guancia. Linalee si limitò a scuotere la
testa e a
sospirare, appoggiando la fronte contro quella di lui.
« Va
sempre a
finire così, lo sapevo che te lo saresti scordato...
»
«
Scordato cosa?
»
In
realtà Ichigo sentiva come di essersi davvero
dimenticato di qualcosa. Probabilmente era stato un sogno. Ma non gli
diede
granché importanza, i sogni non erano la sua
realtà. La sua realtà era lì
davanti a lui, che lo guardava con quegli occhi capaci di fargli
perdere la
cognizione di ogni altra cosa al mondo all'infuori di essi.
« Che
giorno è
oggi? », gli chiese sua moglie, scostandosi da lui e
incrociando severamente le
braccia al petto, guardandolo con il capo inclinato di lato. Ichigo si
grattò
nuovamente la testa trattenendo a stento uno sbadiglio mentre allungava
una
mano per prendere l’orologio che aveva appoggiato sul
comodino di legno, al fianco
del letto. Ancora intontito dal sonno, corrugò nuovamente la
fronte per leggere
i due piccoli numeri che segnavano la data a lato del quadrante.
«
Quindic-... ah.
Già. »
« Già. »,
ripeté Linalee con tono di
rimprovero. « Quindici luglio. »
Ichigo
si tirò a sedere e rimase in silenzio, distogliendo
lo sguardo quasi come ad aspettare una ramanzina che non
arrivò. Invece
Linalee si limitò a scuotere un’altra
volta la testa, ormai rassegnata. Era da anni che ci aveva rinunciato.
Ichigo era
quel tipo di persona che tendeva a tenere in considerazione
più quello che
riguardava gli altri, rispetto a quello che concerneva lui stesso. E
forse, era
anche questo uno dei motivi per cui lo amava così tanto, e
si sentiva come se
fosse compito suo prendersi cura di lui ogni giorno, come aveva giurato
durante
lo scambio dei voti matrimoniali.
Sorrise
pazientemente e accarezzò nuovamente il suo viso,
facendo in modo che tornasse a guardarla, mentre si avvicinava a lui.
« Buon
compleanno, Ichigo... », mormorò poco prima di
posare le labbra sulle sue.
Ora
sveglio, Ichigo rispose al bacio, sorprendendosi a cercare
la sua bocca con più avidità di quanta fosse sua
intenzione, ma Linalee si
lasciò guidare da quel suo desiderio, e si premette
maggiormente contro il suo
petto, stretta tra le sue braccia che l’avevano circondata in
un abbraccio che
come sempre aveva la capacità di farla sentire speciale.
Protetta. Amata.
E
Ichigo avrebbe continuato volentieri ad amarla in quel
modo per tutto il giorno, se non fosse stato per un'improvvisa fitta
che sentì al
cuoio capelluto, e un peso aggrapparsi alla sua schiena, stringendogli
la
maglietta tanto da fargli mancare il fiato, rischiando di strozzarlo.
Scostandosi
controvoglia da sua moglie, voltò la testa
quanto poté fino ad incontrare un altro paio di occhi dalle
sfumature violacee,
così simili a quelli di Linalee tanto quando la massa
disordinata di capelli
ramati sopra di essi era identica alla sua.
« ...
Grazie
anche a te per gli auguri, Masato. », lo
apostrofò, ricambiando il suo sguardo
carico di gelosia. Quasi per dispetto, strinse di
più Linalee tra le
braccia, guadagnandosi un altro strattone ai capelli che si costrinse a
sopportare a denti stretti.
«
Masato, non
tirare i capelli a papà, gli fai male. »,
intervenne Linalee prendendo la
piccola mano di suo figlio nella sua e scostandola dalla testa di suo
marito.
Suo malgrado, Masato si lasciò guidare; semplicemente, con
Linalee non si
poteva discutere. Ma la verità era anche che fin da quando
era nato, quel
bambino che ora non aveva più di tre anni, aveva sviluppato
un attaccamento
spropositato nei confronti della madre, dalle cui labbra pendeva,
letteralmente.
E Ichigo lo sapeva più che bene, così come lo
sapevano i numerosi lividi che, ogni
volta che veniva beccato in atteggiamenti un po’
più intimi con sua moglie,
collezionava sugli stinchi. In fondo, però, non riusciva a
biasimarlo
totalmente. Linalee era... beh, Linalee.
E poi lui stesso da piccolo si era comportato in modo analogo nei
confronti di
suo padre, qualche volta.
« Cosa
ti ho
detto riguardo ad oggi? », continuò Linalee,
guardando Masato dritto negli
occhi, Masato che arrossì e li distolse subito da lei,
imbronciandosi e
premendo la bocca contro la spalla di Ichigo.
« ...
Che devo
fare il bravo con papà. », mugugnò a
bassa voce, chiaramente contrariato. Linalee
annuì soddisfatta, mentre a Ichigo scappò un
sorriso.
«
Veramente dovresti
farlo sempre, sai? », precisò, voltandosi
nuovamente verso di lui che gli
rispose fulminandolo con lo sguardo a sentirsi scompigliare i capelli,
e gli
regalò una linguaccia che fece trasalire Linalee e i suoi
buoni propositi riguardo una
pacifica convivenza almeno per un giorno, tra quelli che erano i due
uomini più
importanti della sua vita.
Perché
Ichigo non ci pensò due volte prima di staccare e sollevare
di peso suo figlio.
«
Prova a
rifarlo. Provaci. », così come Masato non si
lasciò minimamente intimidire nel
rispondere alla sua provocazione, anzi, prese pure a scalciare nel
tentativo di
liberarsi.
E
in men che non si dica, il risveglio di Ichigo nel
giorno del suo ventisettesimo compleanno si trasformò nel
tentativo di fuga di
suo figlio mentre lui lo tratteneva sul letto e gliela faceva pagare,
tormentandolo con il solletico. L’infantile ed acuta voce di
Masato riempì la
stanza di un calore che non aveva niente a che vedere con
l’afa estiva che si
respirava più forte che mai in quel mese di luglio, e Ichigo
quasi sentì gli
occhi inumidirsi tra le risa, gli esili pugni e le gomitate che
ricevette in
quella sorta di lotta.
La
verità era una sola. Amava sentire la risata di suo
figlio.
Linalee
Lee, o forse è meglio dire Linalee Kurosaki, non
poté fare a meno unirsi ai loro sorrisi davanti a quella
scena così semplice,
consueta, ma ogni volta unica quanto capace di scaldarle il cuore e
commuoverla.
Quei momenti, quei sorrisi erano la sua vita. Così come
sapeva bene che il suo
e quello di Masato fossero la vita di Ichigo.
Ichigo
che rispondeva sempre nello stesso modo, ogni
volta in cui gli domandava cosa volesse per il suo compleanno.
« Mi hai già regalato tutto quello che
potessi desiderare. »
-
NDA 2:
Nel nome Masato (真佐人) è compreso lo stesso kanji iniziale di
Masaki (真咲), il nome della madre di Ichigo, e gli ideogrammi
da cui è composto vogliono dire: “vero”,
“che aiuta”, “uomo”. Ringrazio
infinitamente neme_ e Angy_Valentine con cui ho scelto questo
bellissimo nome pieno di
significato. :°)
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