Scrisse Lucilla
Con questa
fanfiction ho cercato di analizzare a fondo i sentimenti di Lucilla,
che nel film hanno un ruolo piuttosto trascurato, e nel contempo
ho tentato di sintetizzare in modo piuttosto originale i
messaggi che il film più bello della storia del cinema(:P)
lancia. Spero che questa storia venga letta anche da chi non ha
particolarmente gradito il film: magari leggendo cambiano un pochino
idea, chissà......!
Buon proseguimento,
e…mi raccomando…leggete fino in fondo!!!
Scrisse
Lucilla
Lucilla,
figlia
dell’imperatore Marco Aurelio, sorella
dell’usurpatore del trono Commodo, una decina
d’anni
dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, il Gladiatore, scrive al
figlio Lucio una lettera…
LUCILLA LUCIO SUO (Lucilla
saluta il suo Lucio)
Lucio mio, figlio unico e prediletto, gioia della mia esistenza,
ti saluto con
l’affetto che solo una madre può
donare.
Mi
è
appena giunta notizia del tuo imminente matrimonio con
la giovane Tulliola figlia di Tullio il Vecchio della gens Auruma. Ti
auguro ogni felicità e ogni bene per questa unione voluta
dal destino.
Sono sicura che saprai rendere questa donna felice e fiera
di essere tua moglie, nello stesso modo in cui hai reso me fiera ed
orgogliosa di essere tua madre, in tutti gli anni in cui ti ho allevato
e anche quando ormai eri un uomo fatto.
Sappi che continuerò
ad appoggiare ogni tua iniziativa e decisione come ho fatto in tutti
questi anni, il mio appoggio non verrà mai meno per te.
Sappi
inoltre che
ciò che tanto temi –ne sono
certa- corrisponde a verità: non presenzierò alle
tue nozze.
Non prendere questo mio comportamento come un atto ostile
nei confronti tuoi o della tua futura consorte, peraltro deliziosa (per
quanto la mia mente stanca mi permette di ricordare).
Non
tornerò a Roma per nessuna ragione al mondo, neppure per
l’unica persona che il destino mi ha concesso di amare per
lungo tempo: tu, Lucio.
Non
tornerò a Roma, città che per molti anni
è stata la mia patria, perché non ha alcun senso
che io vi faccia ritorno. Cercherò di spiegarti
perché, se avrai la pazienza di continuare a leggere questo
mio scritto.
Durante
la mia
giovinezza, Roma è stata capitale di lusso,
ricchezza, prosperità. E se tutto questo avrebbe potuto
contribuire al progresso dell’uomo, questo stesso uomo ha
fatto sì che ciò non avvenisse. Lusso in breve fu
sinonimo di frivolezza, ricchezza di frenetica brama di potere, e la
prosperità divenne un’utopia.
Ah,
Lucio! Quanta
miseria! Quanta viltà! Quante ingiustizie
consumate sotto gli occhi di noi servi di Commodo, incapaci di porre un
freno alla follia di quest’uomo, se uomo può
essere definito! Perché, Lucio, il popolo dovette sopportare
tormenti tali a causa di uno sciagurato millantatore? Perché
la paura impedì ai Senatori e a tutti gli uomini
dell’entourage di Commodo di fermare questo assassino?
Lucio,
bambino
mio (perdona per questo appellativo una vecchia madre
che non riesce a dimenticare suo figlio che, assistendo alle corse di
cavalli all’ippodromo, affermava con aria sapiente che da
grande avrebbe fatto il “capo dell’armata degli
aurighi votati a debellare i mali del mondo” -e a tuo modo ce
l’hai fatta, Lucio...), so di non avere colpe di quanto
è accaduto sotto l’impero di mio fratello.
So di
avere fatto tutto il possibile per allontanarlo dal trono, per
concedere un po’ di pace alla plebe romana, ma a nulla sono
valsi i miei progetti di ribellione contro quell’essere ebbro
di potere quale era mio fratello.
Ho la coscienza pulita, e prego che
gli dèi me ne rendano merito quando mi chiameranno a loro.
Ma
so anche, mio
prediletto, che Roma verserebbe ancora nel terrore
nonostante le deboli opposizioni di tanti cittadini come me, se un uomo
degno delle più grandi lodi non avesse posto fine a
quell’insostenibile situazione.
Massimo Decimo Meridio, che
anche tu hai avuto l’onore e il privilegio di conoscere, ha
salvato l’umanità dal giogo della tirannia,
dell’usurpazione, della schiavitù del pensiero.
Ha
fatto così tanto per tutti noi, che dovrebbe essere
ricordato come “Massimo il Grande”, come viene
peraltro fatto da alcuni grandi pensatori e cittadini moderni.
Lucio,
ti ho
cresciuto con il pensiero di Massimo fisso nella mente, te
l’ho nominato ogni secondo della tua fanciullezza e non solo,
ti ho pregato di considerarlo come un padre, e ti ringrazio di averlo
fatto.
Forse per affetto nei miei confronti, forse per esasperazione, o
forse semplicemente perché quel personaggio ti aveva
suscitato simpatia, è innegabile che tu mi abbia ubbidito
(come sempre, del resto), prendendo ad esempio Massimo per le tue
azioni politiche, militari, della vita quotidiana. Finché
rimasi nella capitale, constatai con piacere che solevi nominarlo
spesso nelle tue orazioni. Ti ringrazio anche di questo, sono felice
che le generazioni future possano conoscere le gesta incredibili di un
uomo che è stato generale, quasi guida del popolo romano
(come avrebbe dovuto essere secondo la volontà di mio
padre), gladiatore e infine eroe della patria, almeno secondo il mio
pensiero.
Tuo
padre, il tuo
vero padre, era un uomo dabbene, che ho amato
profondamente, ma il destino aveva altri progetti per lui,
evidentemente. Ma lui è stato questo: un uomo.
Massimo
Decimo
Meridio non si è accontentato di
ciò: è stato un esempio, un modello per
l’umanità, per qualunque essere che vuole
comportarsi in modo corretto.
È
stato capace di ridonare agli uomini quella
dignità che Commodo cercava costantemente di distruggere,
pezzo dopo pezzo, soffocando la libertà individuale.
Da
schiavo,
è riuscito a sconfiggere la tirannia e il
potere.
Ha cancellato le illusioni di una prosperità basata
sull'annientamento della dignità umana.
Ha
ricordato all’uomo la sua condizione di solo uomo, nonostante
io, forse sbagliando, continui a considerarlo qualcosa di
più.
Me
ne ero
innamorata, perdutamente, come avrai intuito da queste mie
parole e da quelle che ti sono ronzate in testa per tutta la giovinezza.
Forse
anche lui.
Forse lui contraccambiava, non lo so. Il fato non mi
hanno dato l’opportunità di
scoprirlo.
Tutto ciò che ci ha concesso è stato
un fuggevole bacio -di cui peraltro ti ho tanto parlato- che, nel
momento in cui è stato dato (poco prima della congiura
-fallita- nei confronti di Commodo), voleva essere un
incoraggiamento a continuare il periglioso percorso più che
un vero e proprio atto d’amore.
Chissà,
forse avremmo potuto innamorarci seriamente. Forse
avremmo potuto creare una famiglia, avere degli eredi. Me lo chiedo
spesso, sai...
Eppure
penso che
non sarebbe stata questa la sorte migliore in cui
Massimo potesse sperare.
Penso che la sorte migliore che potesse
ottenere sia quella che gli è stata riservata: diventare un
simbolo di correttezza, mitezza e misericordia alternate a durezza,
fermezza e determinazione, anche se ciò è stato
possibile solo patendo l’estremo supplizio.
Può
darsi che io sbagli a celebrarlo in un simile modo,e ti
chiedo perdono per questo. D’altronde devi ricordare che una
donna innamorata non può né deve essere
completamente imparziale!
Perciò,
figlio mio, non farò ritorno a Roma se
non dopo la mia morte.
Non ho più nulla da dare a questa
città. Quel che era nella mie facoltà
è stato da me compiuto già da tempo.
Massimo
troverebbe la forza e il coraggio di tornare, per migliorare
ulteriormente le condizioni di Roma, ma io no.
Roma
è
molto migliorata da quando me ne sono andata, cinque
anni or sono. Molti uomini come te hanno contribuito a renderla
più giusta e liberale, se così si può
dire –non vorrei precorrere i tempi.
Tuttavia non si
è dissolto completamente
quell’alone di corruzione e omertà che
caratterizzò, caratterizza e temo caratterizzerà
sempre l’umanità.
Sono
vecchia,
Lucio. Come ben sai mi sto avvicinando ai cinquanta anni
di vita, e le forze vengono meno rapidamente.
Sono stanca, figlio mio.
Stanca di combattere, di difendermi e di difendere, stanca di dovermi
guardare le spalle da traditori, congiure, sicari e malfattori di ogni
genere.
Stanca di condurre la vita che dovrei condurre se tornassi
nella capitale, anche solo per pochi giorni.
Non
avermi in
odio per questo, non intendo in alcun modo offenderti.
Non potrei mai, dopo tutto ciò che ho fatto per te e tu hai
fatto per me.
Siamo legati da indissolubili legami eterni.
Terminerò
la mia vita terrena qui in Bitinia, nella villa
che mi hai donato per tua immensa generosità, circondata
unicamente da servi fidati, che non trarrebbero alcun vantaggio da una
mia eventuale morte prematura.
Ho
paura, Lucio,
paura di essere assassinata, ed anche per questo non
torno.
Paura forse della morte stessa, e so di sbagliare, ma non ci
posso fare nulla.
La paura è un sentimento umano, che non si
può sconfiggere, si può solo mascherare, e in
questo Massimo era maestro.
Sono certa che anche lui era terrorizzato
prima di scendere nell’arena per gli scontri gladiatori, ma
sapeva gestire questo suo sentimento, sottomenttendo questo suo lato
umano a quello freddo e calcolatore, grazie al quale, poi, ci ha
salvati tutti.
Io, purtroppo, non so fare altrettanto, e
sarà bene che sia io sia tu ce ne facciamo una ragione.
Come
ho detto
all’inizio di questa mia lettera (perdonane
l’eccessiva lunghezza), ti auguro ogni felicità
possibile, per te, per la tua sposa e per la tua futura famiglia.
Continua sulla retta via che hai iniziato a percorrere,
facendo
così in modo che gli insegnamenti del mio amato Massimo non
si perdano nel turbinio degli anni che passano.
L’ultima
gentilezza che ti chiedo di riservarmi è
un pensiero nel giorno delle tue nozze. Ho la presunzione di chiederti
questo perché ti amo, figlio mio, e non potrei chiederlo a
nessun altro.
Ricorda questa vecchia donna che ti ama in modo
sconfinato nel giorno più importante della tua vita, almeno
sino ad ora.
Un
affettuoso
abbraccio e sentiti auguri, e che il ricordo di Massimo
Decimo Meridio, marito e padre prima che generale ed eroe, possano
sopravvivere nel tempo che tutto consuma.
Data die VII ante Kalendas
Iunias.
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Un grazie
iniziale a chi è riuscito ad arrivare fino a qui
apprezzando la storia:). E un grazie ancora più grande a chi
cliccherà la scritta sottostante per lasciarmi un
commento!!!!
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