Castiel aveva gli occhi rossi e stanchi. Ogni tanto chiudeva le
palpebre, per poi riaprirle poco dopo con appena un sussulto e la colpa
nel cuore per aver quasi ceduto al reclamo del sonno. Giaceva scomposto
sulle lenzuola, seduto per metà con le spalle contro il
muro, la testa leggermente reclinata all’indietro a toccare
la ruvida parete. Sam aveva cercato di convincerlo a distendersi,
perché Castiel aveva le vertigini e quella posizione, di
certo, non stava aiutando, ma non vi era stato nulla da fare. Gli
angeli non dormono, Castiel sembrava ripeterselo ogni qual volta gli
capitasse di chiudere gli occhi. In vero, Castiel non voleva dormire,
perché abbandonarsi a un piacere così invitante
avrebbe significato distogliere gli occhi dal corpo di Dean, che
giaceva privo di coscienza sul letto accanto. Sam se ne era accorto,
anche perché l’angelo continuava a tenere la testa
piegata di lato e non importa quanto dolore Sam potesse provocargli con
del filo e un ago, Castiel non distoglieva gli occhi da suo fratello.
Convincerlo, quindi, era al di fuori delle sue capacità. Non
gli restava che adempire il proprio dovere e lasciare che la stanchezza
facesse il suo corso: angelo o no, Castiel aveva bisogno di riposare.
Sam tornò a
concentrarsi sulla ferita che aveva il compito di cucire. Per
proteggere un Dean inconscio, Castiel era stato attaccato da un
hellhound, i cui artigli avevano strappato la pelle del fianco destro,
fino a lasciar trasparire il bianco delle ossa. Una ferita del genere
avrebbe fatto impazzire di dolore chiunque, ma Castiel, anche se
indebolito, era ancora un angelo e fino a quel momento non si era
lasciato sfuggire nemmeno un gemito di protesta. A dire il vero, non
aveva neanche voluto che Sam si occupasse della ferita, un
po’ di riposo e sarebbe guarita da sola, aveva detto. Di
quello, Sam se ne era infischiato. Ne dovevano succedere di cose prima
che il ragazzo permettesse a qualcuno di dissanguarsi sul suo letto.
Distratto dai propri
pensieri, Sam non aveva visto il corpo di Castiel inclinarsi appena
verso il basso e, per la sorpresa, aveva tirato l’ago fuori
dalla pelle un po’ troppo forte. L’angelo gemette
piano, ma nel silenzio della camera il suono era inconfondibile. Sam
non capiva, però, se il gemito fosse dovuto alla sua
distrazione o al fatto che restare sveglio stava diventando un compito
troppo difficile per l’angelo.
«Mi
dispiace», disse comunque, non riuscendo a soffocare il
piccolo senso di colpa che aveva preso posto nel suo stomaco.
Castiel non
voltò la testa, ma Sam notò l’iride
degli occhi spostarsi veloce nella sua direzione, prima di tornare su
Dean.
«Sto
bene».
Aveva la voce rauca,
stanca e spezzata. Sam tornò a lavorare, muovendo le mani un
po’ più delicatamente. Forse Castiel non soffriva
tanto quanto loro, ma era comunque nel dolore e Sam voleva infierire il
meno possibile.
«Sta
bene?» La domanda non lo sorprese, perché era
già la terza volta che Castiel gliela porgeva. Sam si era
domandato se potesse avere una commozione celebrale, ma
l’angelo sembrava abbastanza lucido: era solo preoccupato.
Il giovane Winchester
lanciò uno sguardo veloce al fratello, che aveva iniziato
anche a russare. Dean aveva preso una brutta botta alla testa, ma tutto
sommato stava bene.
«Sì»,
rispose all’angelo con tono gentile e paziente. «E
dovresti prepararti. Sarà arrabbiato con te quando si
sveglia», continuò con un sorriso divertito sulle
labbra.
Castiel
aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Non
capisco, cosa ho fatto?».
Sam alzò le
spalle, mettendo un altro punto prima di rispondere.
«Non gli
piace quando qualcuno si fa male a causa sua».
«Non
è colpa sua».
«Prova a
spiegarglielo».
Quando Sam
finì di cucire e bendare la ferita, Castiel si
voltò a guardarlo. Il suo sguardo ricordò al
giovane Winchester l’angelo di un tempo, l’angelo
del Signore che voleva distruggere un’intera città
perché questi erano stati i suoi ordini.
«Vegliare su
di voi è mio dovere, Sam».
Sam lo
guardò in silenzio, un po’ sconcertato dal fatto
che anche lui fosse tra i pensieri dell’angelo. Poi
chinò il capo, il senso di colpa che bruciava fastidioso
nello stomaco.
«Non devi
vegliare su di noi, Cass.»
«Mi hai
frainteso. Sono io a non voler che vi facciate del male.»
Sam rimase in
silenzio, gli occhi un po’ lucidi. Sentiva crescere il senso
di colpa dentro di sé: Sam e Dean erano il motivo per cui un
angelo era disteso sulle lenzuola di un letto qualsiasi di un motel
qualsiasi con un fianco lacerato, il volto pallido e gli occhi stanchi.
E nonostante tutto,
Sam ne era contento. Era contento di averlo lì,
perché l’amore che Castiel provava per loro era
caldo e soffice, era una coperta di piume che li avvolgeva nella
tempesta, il velo che li nascondeva alla disperazione. Non era qualcosa
cui Sam voleva rinunciare, per quanto questo, nella loro vita, fosse
inevitabile.
Il giovane Winchester
si alzò da terra e prese un bicchiere d’acqua. Ci
nascose una piccola pillola.
«Tieni, ti
farà bene.»
Castiel prese il
bicchiere e con qualche difficoltà, sorseggiò
l’acqua che gli era stata offerta. Poi Sam lo
aiutò a berla tutta.
Ben presto il
sonnifero iniziò a far effetto.
Castiel
cominciò ad annuire, gli occhi che reclamavano finalmente un
po’ di riposo.
Sam lo
aiutò a distendersi: con una mano gentile gli sorresse la
testa fino a quando questa non poggiò sul cuscino.
Castiel, con gli occhi
quasi chiusi, socchiuse le labbra per dire qualcosa.
Sam non glielo permise.
«Dormi,
Cass. Prenderò io il tuo posto, stasera.»
E finalmente Castiel
chiuse gli occhi.
Sam prese una sedia e
sedette tra i due letti. Con una coperta di piume sulle spalle,
vegliò su di loro tutta la notte.
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