Note: salve
=3 Con
questa fic scritta in un'oretta, vi voglio dire che sto riprendendo a
scivere :3 Ma ciò non vuol dire che subito
riprenderò la mia storia lasciata in sospeso,
perché nonostante io sia nuovamente in possesso della mia
fantasia, quest'utlima non ha molto tempo e voglia di essere utilizzata
(lurida puttana.)
Tornando alla nuova piccola fic, è una song-fic dedicata a
My December (you don't say?) canzone che esprime i sentimenti che
Chester purtroppo ha provato nel periodo della sua solitudine
nonché amara giovinezza. Credo che voi conosciate il testo,
no? Se no, leggetelo, e provate ad immaginare un ragazzo, poco
più di che adolescente, che vede la gente felice per
l'arrivo del Natale, che appunto condivide il proprio Dicembre con
qualcuno che ama o che per lo meno vuole bene. Adesso, immaginate come
si senta quel ragazzo, tutto solo, che desiderebbe qualcuno con cui
condividerlo. Ma alla fine è solo.
Devo ammettere che la nevicata di oggi mi ha proprio aiutato a
partorire sta merda. ( 'Come sei modesta!' cit. Monkey_Blue lol)
Enjoy...
Questo è il mio Dicembre
And
I give it all away
Just to have somewhere
To go to
Give it all away
To have someone
To come home to
Il
freddo era tutto ciò che poteva sentire, nonostante il
grande maglione grigio scuro di lana che indossava a malavoglia per
ripararsi
quel che poteva. Nella sua piccola casa era calato il silenzio da anni
ormai,
ne erano già passati due e mezzo da quando la quiete la
inglobò.
C’era
solo un piccolo rumore che si poteva udire al suo
interno, ovvero il continuo e lento ticchettio di un vecchio orologio a
batterie, che segnava pure un orario sbagliato.
Se
non ci fosse stato quello, si sarebbe potuto sentire
anche il minimo rumore provocato dalla caduta di ogni singolo fiocco di
neve,
leggero e delicato che veniva buttato a terra per colpa della
gravità.
Non
c’era nemmeno vento quella sera e la neve cadeva
tranquilla sull’asfalto di Phoenix. Candida neve che colorava
di bianco il
solito grigio tipico delle città.
Tutte
le case della via erano illuminate dalle luci
interne e dalle decorazioni verde e rosse lampeggianti poste
all’esterno, i
loro tetti invece erano ricoperti di uno strato bianco ghiacciato che
le
facevano apparire ancora più belle. Dentro di esse
c’era un perenne calduccio
accogliente, che avvolgeva tutti i componenti delle varie famiglie.
La
via era più illuminata dalle luci natalizie che dai
lampioni alti e possenti che a volte non funzionavano nemmeno. Tutti si
erano
preparati all’arrivo del nuovo Natale, tirando fuori
l’albero e tutte le
palline rosse e dorate, il presepe e i regali, pronti per
l’arrivo del
venticinque.
Non
c’era niente di più bello del periodo natalizio,
perché tutto sembrava magnificamente piacevole, pure la neve
che imbiancava le
case e le strade ma che a sua volta creava molti problemi di
movimentazione e
di traffico. Poi era bello perché si sarebbe stati tutti
quanti in famiglia,
attorno al tavolo imbandito di piatti tipici e festivi. Alla fine
arrivavano le
undici, il momento perfetto per tutti i bambini perché era
l’ora dello scartare
dei regali davanti al fuoco ardente del camino e ai genitori che
sorridevano
compiaciuti e felici.
Quei
giorni equivalevano alla perfezione per un cittadino
americano. Erano giorni che si sarebbe voluto trascorrere
all’infinito, di
continuo. Non c’era niente di più bello della
compagnia, dell’affetto dei
familiari, dei regali e del calore della casa.
Non
si poteva non amare tutto ciò, era strano. Eppure una
persona ‘strana’ c’era.
Forse
era fuori dalla norma, forse poteva essere visto
come un pazzo solo per questo, ma lui odiava
il Natale. Non proprio il Natale in sé, lui odiava le
festività, tutte quante,
ma specialmente quelle che cadevano nel mese di Dicembre.
Tutte
le case erano illuminate in quella via di Phoenix,
tranne una, ovvero la sua. Non aveva decorazioni fuori dalla porta, non
c’erano
luci colorate che segnavano la gioia per quel periodo in cui si
celebrava la
nascita del Salvatore.
Il
giovane ragazzo rimaneva, come ogni sera, al buio,
rannicchiato vicino alla finestra senza tende, con la felpa larga che
tentava
di riscaldarlo. La sua caldaia era rotta e non aveva abbastanza soldi
per farla
riparare. Ogni inverno doveva patire il freddo e il gelo senza far
nient’altro
che coprirsi con degli stupidi maglioni di lana fatti a mano che sua
madre gli
spediva come regalo di Natale.
Lei
sì che era felice, col suo nuovo marito in Canada.
Mentre il suo povero figlio dovette rimanere in Arizona con suo padre,
scapolo
e con due figli da allevare e far diventare grandi. Ma ci
riuscì poco bene,
infatti i due scapparono in parti diverse della città appena
ebbero l’occasione
di trovare una casa per ciascuno a basso costo. Le botte che ricevevano
ogni volta
che sbagliavano dopo un po’ diventarono insopportabili.
I
rasta lunghi e neri ricadevano sulle spalle del
giovane, che dalla sua posizione fetale scrutava il mondo fuori dalla
sua umile
e scadente dimora. Guardava le case quasi perfette degli altri, con un
giardino, due piani ed una caldaia che funzionava.
In
più loro potevano permettersi di tenere la luce accesa
finché volevano, lui no. Non aveva abbastanza soldi nemmeno
per mangiare e
arrivare a fine mese, e le bollette erano sempre un pugno nello stomaco
per il
suo scarso stipendio che guadagnava al fastfood.
Posò
debolmente la testa al muro che lo sorreggeva,
facendo attenzione agli occhiali mal graduati posati sul suo naso un
po’
sporgente. Non poteva nemmeno permettersi di prendersene un paio
più alla moda
con lenti della sua giusta graduazione.
Ogni
volta che vedeva la neve cadere dal cielo bianco
quasi come la neve stessa, si chiedeva come sarebbe stata in quel
momento la
sua vita se avesse avuto qualcuno
affianco. Magari una fidanzata, magari una moglie. Anche un semplice
amico o
coinquilino. Qualcuno con cui conversare, ridere e scherzare. Qualcuno
che gli
desse il motivo per tornare a casa ogni giorno, finito di lavorare.
Erano
quelli i momenti in cui si chiedeva se mai ci
sarebbe stato un giorno in cui tutto questo sarebbe successo. Un giorno
in cui
qualcuno gli avrebbe dato quell’affetto che tanto necessitava.
Lo
poteva solo immaginare, chiudendo gli occhi e
respirando profondamente, lasciando che l’aria entrasse nella
sua mente,
portandogli immagini felici e appaganti per la sua sconfinata fantasia.
Vivere
almeno una volta un Natale perfetto, con la
propria famiglia. E non necessariamente con i suoi genitori, ma proprio
con una
famiglia tutta sua. Sua moglie, suo figlio.
Il
piccolo, che finito di mangiare l’arrosto cucinato
dalla mamma, si butta ai piedi del grande albero verde decorato con
palline
rosse ed una stella d’oro sulla punta, per afferrare una
grande scatola
incartata, mentre il padre, affiancato dalla moglie, lo guarda
già con un
sorriso.
Ed
era lui il padre del bambino, del bambino con gli
occhi lucidi nel vedere un grande giocattolo comprato con uno stipendio
più
alto meritato nel suo nuovo lavoro più decente e meno
squallido. E poi vedere
il bambino saltare dalla felicità e abbracciare le gambe del
padre per dirgli
‘grazie’.
Gli
piaceva immaginare queste cose, gli mettevano tanto
sollievo quanta malinconia. Gli sarebbe veramente piaciuto una
situazione del
genere. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averla, ma purtroppo lui non
aveva
niente da dare in cambio, e anche se ce l’avesse avuto non
sarebbe stato
all’altezza.
Si
strinse ancora di più le gambe al petto sottile e
privo di veri pettorali, mugolando insofferente. Chiuse gli occhi
un’ultima
volta, immaginando il sorriso del suo figlio immaginario davanti ad un
regalo
scartato, uno di quei sorrisi che solo i bambini possono fare. Uno di
quelli
che ti fanno capire che cosa ci sia di bello nell’essere il
padre, perché si
abbia faticato tanto per avere dei soldi ed infine perché li
si abbia spesi per
quel giocattolo.
Quel
sorriso, ecco cos’era la risposta. Il proprio figlio
felice grazie a te.
Sapeva
che non sarebbe mai successo.
Forse
era troppo brutto per trovare una donna che lo
accettasse, oppure troppo povero. Forse era troppo entrambe le cose, ma
lui non
sapeva proprio come uscirne.
Si
alzò con fatica dal pavimento freddo che gli aveva
lasciato la sensazione di gelo sui glutei magri, facendo scroccare le
sue ossa
indolenzite nell’azione. Non fece altro che andare a letto,
nemmeno accendere
la radio o uscire con qualche amico. Non aveva niente da fare,
perché lui non
aveva quella cosa che tanto desiderava avere, ovvero qualcuno.
Giunto
nella sua semplice stanza non stette nemmeno a
togliersi i pantaloni neri che teneva su da quella mattina, tanto non
aveva un
pigiama e stare a gambe nude era da pazzi.
Si
sfilò gli occhiali per poi posarli sul comodino di
legno affianco al letto. Si lasciò cadere sul vecchio
materasso, facendo
cigolare le molle rovinate della rete. Subito si coprì con
il piumino rovinato
e poco imbottito, rotolandosi in esso e maledicendo il freddo che
emanava.
Chiuse
gli occhi e gli venne istintivo immaginare
nuovamente la solita scena che ogni inverno lo tormentava, prima di
addormentarsi: lui, sua moglie, suo figlio. Una famiglia perfetta, una
casa
perfetta, un Natale perfetto.
Avrebbe
dato qualunque cosa per averli.
Questo
era il suo Dicembre.
|