È la mia prima
storia non one-shot, spero di non essere un disastro. Accetto ogni tipo
di commento, anche critiche, basta che siano costruttive.
1.Omoide to deai –
Ricordo e incontro
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“Ehi, Demyx! Dai, vieni a
giocare!”
Un ragazzino biondo si alza,
sbadigliando, e corre verso gli
altri. É bravo a calcio, uno dei pochi sport in cui riesce;
il gruppo dei suoi
amici lo aspetta, una chioma di capelli rossi in testa a tutti, che fa
rimbalzare la palla sulle ginocchia.
Axel continua la sua esibizione sotto
gli occhi di tutti,
rigirando il pallone a suo piacimento, descrivendo figure in aria.
Demyx si ferma di botto:
c’è un ragazzino nell’angolo della
scuola, la testa bassa, la faccia scura.
Si sta per dirigere verso di lui, ma
Axel lo intercetta e lo
trascina sul campo.
La partita procede, ma il ragazzino
continua a stare in
disparte, Demyx non riesce a levargli gli occhi di dosso. É
mingherlino,
neanche tanto alto e ha la faccia pallida come quella di un cadavere,
coperta
in buona parte da un ciuffo di capelli disordinati.
Demyx è talmente
concentrato a osservarlo che si fa falciare
da Larxen, l’unica ragazza che però continua a
fare falli a tutti. Demyx viene
messo in panchina e si accorge che il ragazzetto si sta dirigendo
dietro la
scuola, seguito a poca distanza da tre ragazzi più grandi di
lui.
Insospettito, il biondo li segue.
A un certo punto non riesce
più a muoversi; vede i tre
ragazzi afferrare il piccoletto e cominciare a pestarlo a sangue. Vede
il
sangue uscirgli dalla bocca e dal naso, vede che lo schiacciano a
terra, gli
premono la testa con il piede, gli sputano addosso. Il piccolo non
emette alcun
suono e Demyx non riesce a muoversi. Poi i tre teppisti si allontanano,
lasciando nella polvere il bambino.
Demyx, non sapendo cosa fare, torna
di corsa al campetto da
calcio.
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Demyx camminava verso
l’aula, chiacchierando con Axel. Erano
in prima superiore, esattamente il quarto giorno nella nuova scuola ed
erano
finiti in classe con Larxen, Marluxia e Saix, tutti e tre loro vecchi
compagni
delle medie.
< Sai che la scuola ha anche
un coro? Potresti entrarci,
che ne dici?>
< No, mi basta suonare. Pensi
che la prof ci darà rogne
per il ritardo?>
< Mica è colpa
nostra se l’autobus ha avuto un guasto!
Hai visto anche tu come era arrabbiato il guidatore.>
< A dire il vero, stavo
dormendo...>
< Oh, e cosa sognavi, caro il
mio piccolo Demyx?>
< Una partita di calcio con te
in prima media.>
< Ah ah, lo dovevo immaginare
che mi stessi sognando! In
fin dei conti, chi non mi sognerebbe? Sono così
indispensabile per la tua
vita!>
< Saix ti sogna spesso, tutte
le volte che ha un
incubo.>
< Questo è il
massimo del sarcasmo che riesci a
raggiungere?>
< No, ma è
abbastanza per te.>
Entrarono nell’aula al
primo piano e incrociarono lo sguardo
arrabbiato della prof di francese; si sistemarono in fretta al loro
posto,
ascoltando l’appello.
< Black Axel?>
< ... presente...>
< Dillo in francese,
Black!>
< ... ehm... present?>
< Vabbè,
sorvoliamo, eh? Dincht Rigel?>
Axel cominciò ad
insultarla a denti stretti, mentre Demyx
scorreva l’orario per controllare a che ora avrebbero avuto
musica. Quinta ora.
La bidella interruppe le sue
riflessioni entrando in classe
e chiedendo di lui.
< Ti vogliono giù
in segreteria, devi firmare alcuni
moduli.>
< Sì,
sì, vai pure, Garreth.>
Demyx scese a compilare i moduli al
piano terra. Non gli
piaceva dover fare tutte quelle scale, il dottore aveva detto di
evitare di
stimolare... aveva
appena firmato le
scartoffie, che cadde sulle ginocchia in un attacco d’asma.
< Ehi, Garreth!
Garreth!>
La segretaria lo aiutò a
riprendersi, ma si sentiva ancora
debole. Non sopportava quegli attacchi improvvisi: lo coglievano di
sprovvista
e, benché durassero pochissimo, lo lasciavano sempre molto
fiacco.
< Uhm, non hai una bella cera,
Garreth. É meglio se vai
in infermeria.>
<
Dov’è?>
< Al secondo piano... Ah,
Riot, potresti accompagnarlo
tu? Tanto ci sei già stato, no?>
< Sì...>
Riot? Demyx alzò gli
occhi, cercando di ricordarsi dove
avesse già sentito quel nome... e si trovò
davanti un ragazzino pallido, dai
capelli disordinati e dal ciuffo che copriva un occhio. Rimase
esterrefatto a
guardare il piccoletto del suo ricordo. Era talmente sconvolto che ci
mise una
buona manciata di secondi a capire che doveva afferrare la mano che
l’altro gli
porgeva per alzarsi. Barcollò, non si era ancora ripreso
bene. Il suo cervello
subì un ulteriore colpo quando Riot gli passò il
braccio intorno alla vita per
sorreggerlo meglio.
< Rimani in infermeria per
qualche minuto, dopo fatti
riaccompagnare in classe da Riot, intesi?> lo ammonì
la segretaria, ma lui
non fece in tempo a rispondere che si trovò a salire le
scale con il braccio
sul collo del ciuffettoso. Demyx non riusciva a parlare, sentiva il
corpo del
piccoletto premuto inavvertitamente contro di lui; lo fissò
in silenzio. Aveva
la pelle molto chiara, quasi spettrale, gli occhi erano blu intenso e
aveva le
occhiaie. Scosse la testa accorgendosi che gli stava fissando le labbra
sottili. Ma che gli prendeva? A lui non erano mai interessati i
ragazzi! Forse
proprio per questo, è troppo bello per credere che sia
davvero un ragazzo. No,
che stava dicendo, un ragazzo è un ragazzo, per quanto bello
sia... Allora
perché gli stava fissando il collo? Sospirò
scuotendo un’altra volta la testa.
< Tu... come ti chiami?> la sua voce timida e melodiosa
lo colpì al
cuore.
< Demyx... Demyx Garreth.
Tu?>
< Zexion Riot.>
< In che classe sei?>
< 1° A.>
< Ah, sei al mio stesso piano.
Io sono in 1° D.>
< Già...>
La conversazione cadde rovinosamente,
trasformandosi in uno
snervante silenzio. Arrivati finalmente al secondo piano, Demyx si
sedette su
una sedia in infermeria. L’infermiera gli diede
un’occhiata, per poi concludere
che ormai poteva stare tranquillo, ma che era meglio se fosse restato
per
qualche minuto tranquillo lì seduto. Poi li
lasciò da soli, essendo stata
chiamata in presidenza. Demyx guardò il pavimento: si
sentiva assolutamente
insicuro di fronte a quel continuo silenzio e a quel ragazzo
così strano. Uffa,
ma non poteva innamorarsi di una ragazza? Sarebbe stato tutto
più facile. Forse
era stata Larxen a fargli cambiare sponda, bé, dopo averla
conosciuta era la
cosa più comprensibile...
< Ti ho già visto
da qualche parte...> la frase
praticamente sussurrata da Zexion colpì Demyx con
incredibile violenza. Si
ritrovò a pensare soltanto “Ti prego, fa che non
mi abbia visto quella volta
dei teppisti”. Allora sopraggiunse il senso di colpa:
“Dio, come ho potuto
lasciarlo in balia di quelli? Perché non sono intervenuto,
perché non ho
condiviso con lui almeno una minima parte di quel pestaggio? Forse
adesso sarei
il suo migliore amico e non un semplice cretino da dover accompagnare
in
infermeria per un’asma che non si decide a farlo
fuori...”. Inghiottì, cercando
di essere più naturale possibile.
< Eravamo nella stessa scuole
in prima media, anch’io mi
ricordo di te. Però dopo il primo anno non ti ho
più visto.>
< Ho... cambiato scuola, dopo
il primo anno. Abbiamo
traslocato lontano dalle medie che frequentavo e così ho
cambiato.>
< Capisco. Bé,
direi che ora è meglio che vada.>.
Demyx si alzò per
dirigersi fuori, ma inciampò e nello
slancio finì sopra Zexion, che si era avvicinato per
sorreggerlo. Si trovò la
faccia schiacciata contro il suo petto che si alzava e si abbassava a
ritmo
irregolare. Lo guardò e notò che non si muoveva,
lo fissava con gli occhi
socchiusi e un leggero sorriso sulle labbra. Demyx fece scivolare una
mano
lungo l’interno della coscia, dal basso verso
l’alto, lentamente, mentre Zexion
cominciava a gemere di piacere. Demyx avvicinò il volto a
quello del compagno,
continuando a far salire la mano. Appoggiò la lingua sul
collo, leccando
lentamente la pelle. Improvvisamente aprì gli occhi e si
trovò ancora seduto
sulla sedia, con Riot davanti. Scosse leggermente la testa: cavolo, lo
aveva
incontrato dieci minuti prima, dopo due se ne era innamorato e dopo
sette
cominciava già con le fantasie erotiche. Quanto era stupido.
Si alzò reggendosi
alla sedia, ma in poco tempo capì che ormai era
definitivamente a posto. Si
avviò verso le scale con Zexion che lo seguiva, pronto ad
aiutarlo nel caso di
un altro mancamento. Arrivati davanti alla classe, a Demyx venne un
dubbio
ricordandosi di una frase della segretaria.
< Come mai eri già
stato in infermeria?>
Il rossore sulle sue guance
confermò il suo sospetto, a
quanto sembrava, il cambiare scuola non serviva più di
tanto. < Sono
caduto...> mormorò impacciato.
< Fa niente, non preoccuparti.
Ci vediamo in ricreazione,
ciao.>
< C-ciao.>
Demyx rientrò in classe e
si sedette al posto ignorando lo
sguardo insistente della professoressa.
< E-ehm. – fece
quest’ultima irritata – Sarei più che
onorata di ricevere da te una buona scusa per cui firmare qualche
foglio ti
abbia portato via un quarto d’ora.>
< Mi scusi prof, mi sono
sentito male mentre firmavo.>
Non aprì più
bocca per tutta la lezione, osservando Axel che
dava fuoco a delle strisce di bianchetto sotto il banco. Quando
finalmente
suonò la campanella, riuscì a mettere in ordine i
suoi pensieri: si era
innamorato. Ok, fino a qua era tutto chiaro. Si era innamorato di un
ragazzo.
Oh, ora arrivava la parte ardua: perché si era innamorato di
un ragazzo?
- Era un bellissimo
ragazzo.
- Era molto timido e
sensibile.
- Sembrava una
ragazza.
- Si sentiva in
colpa per averlo lasciato quella volta senza neanche aiutarlo.
Bene, l’analisi era
riuscita. Non aveva concluso
assolutamente niente.
Intanto, perché quel
ragazzo avrebbe dovuto stare con lui?
Magari i ragazzi non gli interessavano. Però si ricordava
ancora di lui. Una
flebile speranza. Probabilmente la partita era già persa in
partenza, l’unica
cosa che sapeva di lui, oltre il nome e il cognome, era che veniva
pestato dai
teppisti. Neanche un indirizzo, un numero niente. Poi si
ricordò che lo
conosceva solo da mezz’ora, anche se ufficialmente si
conoscevano da tre anni.
Sbuffò. Perché
aveva sempre più domande che risposte?
< Ah,
l’amour.> il finto sospiro di Axel lo sconvolse,
non tanto perché aveva detto qualcosa in francese, ma per
quello che aveva
detto.
< Come fai tu a...?>
< Sei un libro aperto per me,
Dem. Allora, chi è la
fortunata?>
< Bé, ecco...
fortunata è un po’ azzardato, io cambierei
la desinenza... anche se non sono sicuro...>
< Frena, frena, fammi capire
bene... è un lui?>
< Sì...>
< Caspita, non ti facevo
così furbacchione!>
< Ma come, non sei
sconvolto?>
< No, perché
dovrei? Succede anche nelle migliori
famiglie e non lo vedo affatto come un disonore.>
< Beato te che prendi le cose
con così tanta
naturalezza...>
< Più che altro,
sicuro che non ti respingerà? Chi è?>
< Si chiama Zexion Riot,
è di 1° A. Ti ricordi quel
ragazzino col ciuffo che era a scuola nostra in prima media?>
< Aspetta... quello cadaverico
che sembrava un incrocio
tra un vampiro e uno zombie?>
< Esatto.>
< Non pensavo che ti
piacessero i tenebrosi, sai? Ecco
perché hai sempre resistito al mio fascino.>
< Che fascino, scusa?>
< Ah ah, sto morendo dal
ridere. Quando pensi di
dichiararti?>
Demyx rischiò di
inghiottire la matita che teneva tra i
denti. Anche mentre era entrato il prof di tecnica avevano continuato a
parlare
a bassa voce, e così per tutti i primi venti minuti di
lezione. Demyx
approfittò dell’avvicinamento del docente per non
rispondere e seppellire la
faccia nel libro.
Quando il professore fu passato, Axel
ricominciò col
Q&A.
< Non mi dirai che non vuoi
dichiararti, spero.>
< Axel... come faccio a
dichiararmi? Lo conosco
appena!>
< Abbastanza per essertene
innamorato.>
< Ok, ma non è
detto che mi ricambi.>
< Appunto per questo
devi!>
< Ma se è etero? Se
non gli interesso per niente?>
< Dem, preferisci dichiararti
adesso e nel caso di un
rifiuto fare semplicemente retromarcia e dire “Dai,
diventiamo amici” o
aspettare di conoscerlo così tanto che in caso di rifiuto ti
rinchiuderai in
camera o cercherai di buttarti giù da un ponte?>
< Il ponte è la
cosa più allettante...>
< Sono felice che tu ti
interessi ai ponti, Garreth, ma
la lezione è sull’alluminio e i ponti non sono in
alluminio.> intervenne il
professore, alquanto infastidito dal continuo brusio.
Axel e Demyx non poterono parlare per
tutta l’ora e quella
successiva, perché il prof, che oltre tecnica insegnava
anche scienze e, guarda
caso, ce l’avevano l’ora dopo, non la smetteva di
fissarli per beccarli sul
fatto.
Finalmente suonò la
campanella.
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