Signor commissario
Può aiutarci a fare luce sulla
vita di suo marito, signora Minet?
Credo di sì, signor
commissario.
Allora ci racconti tutto quello
che sa.
Se permette, commissario, vorrei
iniziare dal principio.
Proceda pure.
Mi sono innamorata di mio marito
dodici anni fa; e forse avrei dovuto smettere di amarlo da subito.
Prima del matrimonio ha sempre
avuto molte attenzioni nei miei confronti: mi regalava gioielli, mi offriva cene
in ristoranti lussuosi e mi trattava come se fossi una donna del suo stesso
rango, benché lui fosse estremamente ricco e io appena benestante. Decisi di
accettare la sua proposta di matrimonio perché ero convinta che lui fosse
innamorato di me e sono sicura che fosse vero, allora come fino a pochi giorni
fa. Lui mi adorava, letteralmente. Quando ci vedevamo non aveva occhi per
nessun'altra donna e si prendeva cura di me...
Vuole dire che non vivevate
insieme, signora?
No. Mi sono trasferita a Venezia
tre anni dopo il nostro matrimonio, mentre lui è rimasto a Parigi. In realtà è
stata una sua decisione, anche se non posso dire di essere stata contraria. Sa,
era impossibile per me vivere con lui in quella città, aspettarlo ogni notte e
chiedermi cosa stesse facendo. Purtroppo prima del matrimonio non mi aveva
rivelato la natura del suo lavoro...
Può ripeterci ad alta voce che
lavoro svolgeva suo marito? Serve per la deposizione.
Sì, mio marito era un sicario,
uccideva le persone scomode per conto di qualche potente, ma non so dirle da chi
dipendesse. Io credo non lo sapesse nemmeno lui, altrimenti avrebbe saputo
gestire meglio le proprie azioni, non crede?
Era un uomo molto intelligente,
mi aveva colpito per questo. Avevo trent'anni quando ci siamo conosciuti, ma ero
comunque molto ingenua; ero appena uscita dal mondo universitario, non conoscevo
la vita vera e, soprattutto, iniziavo solo allora a venire a contatto con la
ricchezza e lo sfarzo della società di Parigi. Fui affascinata dalla sua allure, come dire in italiano? Dal suo
portamento, ecco. Era più anziano di me, aveva sette anni in più, ma devo
ammettere che non mi sono mai pesati, anzi, hanno alimentato la mia attrazione
per lui, tant'è che ho finito per sposarlo.
Silenzio
Desidera un bicchiere d'acqua,
signora?
No, grazie. Sono solo pensieri
che mi offuscano la mente. Comunque, dove ero rimasta? Ah, sì, decise che per me
sarebbe stato meglio vivere lontano da lui, disse che questo avrebbe aiutato il
nostro rapporto e che, soprattutto, avrei potuto vivere più tranquilla non
dovendomi preoccupare di lui. Lasciò a me la scelta della città ed io,
ovviamente, optai per Venezia. Avevamo trascorso qui tre mesi per la nostra luna
di miele ed era stato incantevole. Ci eravamo amati moltissimo in quei giorni e
devo ammettere che probabilmente è stato uno dei pochissimi momenti in cui sia
stata bene con lui. Stavamo insieme giorno e notte, rincorrevamo le calli come
fossero nuove vite e ci meravigliavamo ogni volta che appariva una piazza
davanti ai nostri occhi. Eravamo felici, ubriacati dai tramonti porpora sulla
laguna e dall'ottimo vino italiano. Rimpiango di non aver avuto un figlio da
lui, sarebbe stato un bel racconto, quello di quei tre mesi passati con lui, gli
unici della nostra storia d'amore.
Perdonate la divagazione.
D'altronde ci aveva avvisati che
sarebbe stata una cosa lunga, no?
Piccole risate da più lati della
stanza
Già. Mi spostai a Venezia nel
maggio del 2003. Aveva comprato per me un appartamento molto lussuoso in uno dei
palazzi più belli della città, potevo vedere la laguna dalla finestra; l'isola
della Giudecca e di San Giorgio Maggiore sorgevano dalle acque come giganti
protettori.
Mi trovai molto bene i primi
mesi, ero contenta di poter visitare la città ogni giorno, di potermi perdere
tra i vicoli e di respirare quell'aria salmastra e inebriante. Inoltre, Jacques
veniva a trovarmi quasi tutte le settimane: forse gli mancavo troppo, forse
voleva che mi abituassi al meglio a vivere in quella città da sola. Dopo poco,
infatti, le sue visite diminuirono brutalmente, iniziai a vederlo una volta al
mese e per pochi giorni, se non per poche ore. Era sempre nervoso e litigavamo
spesso, esattamente come a casa. Gli chiesi di non venire più se doveva
trattarmi in quel modo. Ridusse i propri viaggi a uno ogni tre mesi:
evidentemente il nostro rapporto poteva funzionare solo a distanza. Non so cosa
facesse in tutti quei mesi da solo a Parigi. Credo non fosse quasi mai in città,
comunque, dato che non rispondeva praticamente mai al telefono. Non mi ha mai
mandato cartoline, comunque, se vi steste chiedendo se possiedo prove per
incriminarlo in qualche omicidio sospetto nel resto della Francia.
Silenzio
Per più di cinque anni vissi
lontana da mio marito. Venezia, la mia splendida Venezia era diventata una
prigione per me. Le ore trascorrevano vuote, come fossero pensieri e non tempo,
come se io fossi placidamente adagiata sul confine tra sogno e realtà e niente
mi potesse spingere da una parte o dall'altra. Passavo gran parte delle mie
giornate a camminare. Mi allontanavo dai luoghi turistici per rimanere sola,
ancora più sola di quanto non fossi di solito. Mi guardavo attorno priva di
emozioni e di gioie, intoccabile, impalpabile anche per me stessa.
Silenzio
Trovo affascinante la storia di
Venezia... Prima di conoscerla mi sono sempre chiesta perché avessero costruito
una città dal nulla, in mezzo alla laguna.
Una storia interessante,
effettivamente, ma sarebbe meglio tornare al soggetto principale...
Durante le invasioni barbariche
gli abitanti della laguna costruirono delle palafitte e si trasferirono lontano
dalla terraferma, di modo che gli unni non potessero raggiungerli. Ovviamente
non erano impossibili da attaccare, soprattutto per un popolo di navigatori come
loro, ma pensarono di risparmiarsi la fatica, convinti che un tale insediamento
non sarebbe sopravvissuto. Un'idea folle, quella di creare una simile città,
diversa da tutte le altre, eppure ebbe successo e li salvò.
Anche per me Venezia è stata un
rifugio, lontano dalla vita, lontano dalle preoccupazioni. Forse mi ha salvato
la vita, questo non lo so, ma presto mi convinsi che vi sarei morta, abbandonata
dal mondo, troppo lontana dalla vera vita per poter sopravvivere ancora a lungo.
Ero un po' come i barbari: credevo che la mia vita a Venezia non sarebbe durata
ancora a lungo.
Non conoscevo nessuno nei primi
tempi, poi iniziai ad incontrare altre persone molto ricche, ma smisi presto di
frequentarle: preferivo aspettare mio marito a casa. Mi consumavo
lentamente.
In realtà lo aspettavo perché
speravo che prima o poi mi annunciasse di aver terminato il proprio compito, di
non essere più necessario. Mi rendo conto solo ora che fosse una speranza
impossibile.
Un giorno, poi, mi chiamò al
telefono e mi comunicò che sarebbe arrivato entro qualche giorno e che, questa
volta, si sarebbe fermato più a lungo del solito.
Mi è impossibile trasmettere la
gioia che provai in quel momento.
La mia vita era praticamente
esaurita. A quarant'anni non hai più un futuro, puoi solo sperare di aggiustare
al meglio il tuo passato e di convivere con un presente accettabile.
Scusi se la interrompo, signora
Minet, ma sarebbe meglio se si concentrasse su suo marito, ci servono più
informazioni a suo proposito... Si ricorda il giorno in cui arrivò a
Venezia?
Ovviamente. Era il 30 Settembre
del 2010.
Ordinai di rendere l'appartamento
splendente e prenotai un tavolo nel nostro ristorante preferito.
Quando arrivò a Venezia, però,
Jacques aveva un aspetto lugubre. Non mi spiegò nulla e mi disse che avrebbe
vissuto con me per alcuni mesi. Ero al settimo cielo...
Cosa intende con "lugubre",
signora?
Come scusi?
Lei ha detto che suo marito aveva
un aspetto lugubre. Non vorrei offenderla, ma per una persona che uccide per
professione credo che avere un aspetto lugubre sia abbastanza normale. O mi
sbaglio?
Effettivamente si sbaglia,
commissario. Mio marito ha sempre avuto uno spirito allegro. Era carismatico e
socievole, non lasciava trasparire alcuna negatività o crudeltà come lei
potrebbe aspettarsi. Nessuno avrebbe sospettato che fosse un sicario
professionista, non portava in faccia il marchio di un assassino. D'altronde
nessuno nasce sicario, commissario. Jacques non uccideva la gente per passione,
per divertimento, ma perché era obbligato...
Nessuno è obbligato a uccidere,
signora.
Sì, invece, lui lo era. E se
avesse continuato a farlo voi non lo avreste mai trovato.
Silenzio
Può spiegarsi meglio,
signora?
Come le stavo raccontando, mio
marito aveva un'espressione diversa dal suo solito, una che non avevo mai visto
sul suo volto. La sera, durante la cena, non toccò quasi cibo. Ero offesa dalla
sua freddezza: mi aveva appena comunicato che saremmo tornati a vivere insieme e
non dimostrava alcuna gioia. Credevo di morire, tant'era la disperazione nel mio
cuore. L'uomo che avevo aspettato per anni, l'unico uomo sulla terra a cui
importasse di me, non mi dimostrava più il suo amore! Ero distrutta. Decisi
comunque di tentare un chiarimento e, tornati al mio appartamento, gli chiesi il
perché di quell'atteggiamento. Mi rispose che si trattava di lavoro e che,
ovviamente, non poteva parlarmene.
Quell'atteggiamento strano,
signora Minet, potrebbe essere legato al pluriomicidio avvenuto proprio la notte
del 30 settembre 2010 davanti alla chiesa di Santa Maria del Giglio?
Silenzio
Come dovrei interpretare questo
suo improvviso mutismo, signora Minet?
Silenzio
Non sono legati, signor
commissario.
A me invece sembra ovvio che lo
siano! Suo marito, Jacques Minet, uno dei sicari più spietati dell'Europa
intera, arriva a Venezia il 30 Settembre 2010 e la stessa notte un gruppo di
uomini d'affari viene sterminato in una piazza della stessa città. E, come se
questo non bastasse, il modus operandi è il medesimo di suo marito!
Eravamo insieme quella notte.
Nello stesso appartamento,
probabilmente, ma questo non fornisce alcuna prova. Può essere uscito e
rientrato molto in fretta, lei potrebbe non essersene accorta mentre
dormiva.
Eravamo insieme, commissario,
nello stesso letto, tutta la notte e non abbiamo dormito, glielo assicuro.
Silenzio
Lei potrebbe comunque essere sua
complice, signora Minet, la sua testimonianza non è sicura.
Proseguiamo, comunque, non è del
pluriomicidio che ci dobbiamo occupare.
Esattamente. Beh, per un anno e
mezzo mio marito non si è mai assentato da Venezia e non si è mai separato da me
per più di qualche ora. Avevamo finalmente raggiunto il nostro equilibrio, era
come se il suo lavoro non fosse mai esistito. Col tempo, la sua espressione si
rasserenò e lui tornò l'uomo di sempre, se non migliore. Era più leggero, quasi
più libero.
Non so quale fosse la causa di un
tale regalo, di una tale gioia, so solo che finalmente le catene della mia
prigione erano state spezzate: non vedevo più il mondo attraverso le sbarre, ma
attraverso un cannocchiale che mi mostrava la grandezza e lo splendore delle
bellezze della vita e di Venezia in particolare.
Silenzio
Cosa accadde da marzo a settembre
del 2012, nei sei mesi precedenti l'omicidio di suo marito?
Ricevette una chiamata. Non ne
aveva mai ricevute prima, né a Parigi, né a Venezia, per quello mi insospettii.
Nessuno dei suoi amici parigini si era fatto vivo, ma non credevo che qualcuno
avesse il numero di casa nostra. Ero seduta nel salotto e stavo leggendo, quando
sentii la porta sbattere ed i suoi passi sulle scale. Non mi aveva nemmeno
salutata. Sentii il peso del suo passato cadere sulle mie spalle. Temevo fosse
la polizia, qualche investigatore, magari i suoi stessi padroni. Ero
terrorizzata e lo aspettai sveglia molto oltre la mezzanotte.
Che giorno era?
Il 14 marzo. La chiamata arrivò
alle sei del pomeriggio e lui rientrò alle tre meno un quarto del mattino,
all'incirca. Mi gettai tra le sue braccia e lo supplicai in lacrime di dirmi
cosa fosse successo. Solo allora, dopo dodici anni di matrimonio, mi raccontò
qualcosa del suo lavoro. Probabilmente sentiva la morte vicina.
Silenzio
Silenzio
Scambio di sguardi tra gli
investigatori
Mi disse che aveva assistito ad
un omicidio, quando aveva tredici anni. Avevano ucciso suo zio, qualche isolato
dietro casa sua. Lui stava rientrando da scuola ed aveva sentito lo sparo. Si
nascose in un vicolo e aspettò per qualche minuto, poi gli sembrò di sentire una
voce familiare e corse nella sua direzione, sperando di trovare conforto o
protezione. Finì tra le braccia di suo padre, sporche del sangue di suo zio,
riverso a terra.
Non avevo mai visto Jacques
piangere e quello spettacolo mi strozzò il cuore.
Da allora non aveva avuto scelta,
suo padre non aveva avuto scelta: o addestrarlo o ucciderlo. Nella speranza che
prima o poi tutto sarebbe finito Jean-Paul Minet, mio suocero, insegnò al
proprio figlio la crudele arte dell'omicidio.
Silenzio
Capisce cosa intendevo quando
dicevo che non aveva avuto scelta?
Silenzio
Ma sinceramente non la disprezzo
per questo. Anche io per molti anni l'ho odiato per aver intrapreso una tale
vita, per essersi rovinato l'esistenza e, soprattutto, per aver rovinato la mia.
Ma quella notte ho capito molte cose, del suo passato, del mio e anche del
nostro futuro. Non mi disse chi avesse chiamato e dove fosse stato, ma capii che
non avrebbe vissuto ancora a lungo.
Credo avesse provato a scappare,
rifugiandosi con me a Venezia e credo abbia sperato di esserci riuscito, visto
che per diciotto mesi non l'hanno cercato, ma con quella chiamata il cielo si è
aperto e il destino si è mostrato per quello che era: un burattinaio ironico
che, per quanto lo muovesse tra lo splendore di Parigi e la magia di Venezia,
non aveva altri piani per lui se non quello di condurlo all'Inferno prima del
tempo. Nei giorni successivi uscimmo raramente, voleva evitare i contatti
con altre persone e, in realtà, anche con me. Parlammo molto poco e di cose
molto poco importanti.
Tre settimane dopo quella
chiamata è ripartito, senza dirmi dove fosse diretto. Sembrava che la situazione
stesse per ritornare quella di un anno e mezzo prima, io a Venezia, lui in giro
per il mondo. Sinceramente, speravo sarebbe stato così. Preferivo stare lontana
da mio marito, piuttosto che doverlo seppellire.
La città, la mia città era stata
ridorata dal suo ritorno. Le calli e i campi avrebbero nascosto nuove dolcezze
per me, ricordi di quel periodo felice, segni del suo passaggio. Ero convinta di
poter resistere senza di lui per qualche anno, forse era la speranza di un nuovo
ritorno improvviso a darmi tanta forza.
Silenzio
Silenzio
E cosa mi può dire della notte di
giovedì scorso, 15 Settembre 2012?
Silenzio
Commissario, qui è lei che fa le
domande ed io lo so. Ma ci sono tante cose di cui nemmeno io sono a conoscenza.
Le sparizioni di mio marito, le coincidenze sospette, i suoi viaggi. Io non ho
mai saputo dove fosse, né nei pochi mesi prima di morire, né nei sette anni di
lontananza da me, né in tutto il tempo prima di incontrarci. A pensarci bene,
sicuramente lei sa molto più di me su mio marito. Lei conosce il suo "modus
operandi", i suoi movimenti bancari, le sue amicizie.
Eppure, signor commissario, lei
non sa che uomo fosse. Lei lo ritiene un uomo meschino e senza cuore, e
nonostante io le abbia raccontato qualcosa del suo passato misterioso e
terribile lei non riesce a scacciare dalla sua mente i volti delle sue
vittime.
Io, invece, l'ho sempre
conosciuto e amato per l'uomo che era realmente. Riuscivo a leggere dietro i
suoi occhi allegri un disgusto costante, una totale insoddisfazione, una
tremenda agonia. Vedevo il suo amore per me, la grande passione che lo spingeva
a ritornare a Venezia per vedermi, la dedizione con cui mi proteggeva. Io ero la
sua isola felice, il suo paradiso, ero il mezzo per dimenticare le sue azioni
sanguinolente. Per questo io non potevo smettere di amarlo. Ma c'era una cosa
che, anche con me, non poteva dimenticare: lui era al di sotto di qualcuno e al
di sotto di quel qualcuno sarebbe sempre dovuto restare.
Mi sembra che le stia divagando,
signora Minet.
Già.
Silenzio
Forse lei si chiede perché le
abbia raccontato tutte queste cose di me e di mio marito.
Voleva tracciare un ritratto di
suo marito diverso da quello che io mi sono sempre immaginato, suppongo. O forse
voleva spiegarmi che quando non era intento ad uccidere qualcuno era a Venezia a
fare l'amore con lei. Oppure, ancora, voleva pulire il nome di suo marito dalle
infinte macchie lasciate dai suoi omicidi raccontandomi quanto fosse buono,
innamorato e generoso, quanto il suo passato fosse stato difficile.
Non lo so, signora Minet, magari
voleva solo farmi perdere del tempo, dato che il suo racconto non ha cambiato di
una virgola il pensiero che io avevo di suo marito e non mi ha fornito alcuna
informazione utile per l'indagine.
Adesso, se non le dispiace,
vorrei che mi raccontasse qualcosa della notte del 15 Settembre, anche se inizio
a dubitare che lei ne sappia qualcosa.
La credevo un uomo più astuto,
signor commissario.
O forse sono stata io a sviarla
con le mie troppe divagazioni. Quella che le ho fornito, anche se tra le righe,
è una confessione.
Come, prego?
Il 15 Settembre mio marito è
ritornato a Venezia senza alcun preavviso. É entrato nel mio appartamento verso
le sette di sera e mi ha detto che non ci saremmo mai più rivisti. Era venuto
per dirmi addio, per fare l'amore con me un'ultima volta. Mi passerà il termine,
commissario, dato che è stato lei il primo a voler parlare... fuori dai denti, è
così che si dice, no?
Silenzio
Venezia rideva oltre la finestra
della nostra camera. Era allegra, la gente passeggiava, chiacchierava. La vita
avrebbe continuato a volare tra i suoi vicoli, l'amore avrebbe continuato a
falciare le sue vittime e niente, assolutamente niente sarebbe cambiato per il
mondo, mentre io sarei appassita e poi marcita, nell'eterna speranza che mio
marito tornasse, per un qualunque assurdo motivo.
É una strana dote, quella di
saper sperare. Dovrebbe aiutare a vivere e invece mi stava uccidendo
inesorabilmente. Io sapevo, sapevo con ogni cellula del mio corpo che, come le
ho già detto, mio marito era al di sotto di qualcuno e che al di sotto di quel
qualcuno sarebbe sempre dovuto restare. É una cosa che avevo dovuto imparare sin
dal primo giorno del nostro matrimonio; e automaticamente l'avevo accettata. Ma
la speranza, Dio mio, la speranza mi corrodeva. Smontava con ogni suo mezzo
quella certezza e ne sostituiva ogni parola con la convinzione che lui, prima o
poi, si sarebbe ribellato e sarebbe tornato da me per sempre.
Anche in quel momento, anche
mentre gli dicevo addio speravo che ritornasse e mi addormentai cullata da
quella convinzione.
All'una di notte fui svegliata
dal rumore della porta del bagno che si apriva: si stava preparando a partire
per sempre e non aveva il coraggio di sostenere il mio sguardo mentre lo faceva.
Non potevo lasciarlo andare via. Non potevo darla vinta a quel qualcuno sopra di
lui.
Silenzio
E se non si fosse mai ribellato?
Se fosse stato costretto a vivere al servizio di altri per tutta la vita? Se
fosse morto svolgendo un lavoro? Se fosse morto senza nemmeno sapere cosa
significava essere libero? Davvero, non potevo guardarlo partire senza fare
niente, senza fermarlo. Il mio amore non era abbastanza, il suo amore per me non
era abbastanza. Cosa potevo fare, signor commissario?
Forse sono io quella che avrebbe
potuto fare un'altra scelta. Ma lei non sa cosa significa aspettare il proprio
uomo per dodici anni. NON LO SA!
Silenzio
E così ha preso la sua pistola e
gli ha sparato.
Sì. L'ho chiamato, gli ho chiesto
di tornare ancora da me. Sapevo che teneva sempre una pistola su di sé, quindi
sapevo che ce n'era una tra gli abiti che si era tolto qualche ora prima. L'ho
trovata e l'ho messa sul letto. Lui è entrato e, lo posso giurare, quando ha
visto la pistola sul letto ha capito. Ha capito il mio dolore e, soprattutto, ha
capito che io avevo compreso il suo.
Mi ha baciata. Sembrava ubriaco
di gratitudine. Mi chiese perdono per avermi condannato ad una vita simile, per
avermi obbligata alla solitudine, ma mi disse anche che non avrebbe mai potuto
sostenere tanta violenza senza il pensiero di me che lo amavo.
Silenzio
Era un uomo disperato: era stato
un ragazzo disperato ed era diventato un uomo altrettanto disperato. Io l'ho
amato per questo, anche. L'ho abbracciato a me e ho premuto il grilletto.
In quel momento ho capito il
significato della parola sacrificio, ho capito l'importanza del matrimonio e del
rispetto. Ho capito la sacralità della vita, della libertà. E ho capito,
finalmente, cosa significhi uccidere un uomo. Ho capito il dolore che mio marito
ha provato per tutta la vita.
In quel momento l'ho amato come
mai prima.
Silenzio
Dove ha nascosto la pistola,
signora Minet?
Risata
L'ho buttata nella laguna.
Altra risata
Non può stupirsene, commissario.
Venezia ha racchiuso il mio dolore, la mia solitudine, il mio amore. Ora
racchiude anche il più sommo dei miei sacrifici.
Silenzio
Se se lo stesse chiedendo,
commissario, non mi sono suicidata perché uccidere mio marito è la cosa di cui
vado più orgogliosa, l'unica cosa importante che abbia fatto nella mia vita.
Uccidermi avrebbe significato pentirsi di ciò. Voglio la mia pena, signor
commissario, voglio scontarla pensando che mio marito me ne sarà per sempre
grato.
E voglio scontarla a Venezia.
Silenzio
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Ho scritto questa storia per il
concorso "Tra le calli di Venezia" indetto da Primavere Rouge sul forum di EFP.
Non è stata stilata una vera e propria classifica, sono stati indicati solo i
vincitori. La mia storia non è arrivata sul podio date le sue caratteristiche un
po' "originali", diciamo, ma ha ottenuto un punteggio di 57/65, che mi ha resa
molto molto felice.
A voi l'ardua sentenza, come
piaceva dire al Manzoni.
Miss
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