Salve a tutti!
Questa one shot
è stata scritta in occasione del compleanno di Ciel, il 14
dicembre (cioè oggi). Ho pensato di provare a immaginare
come Ciel avrebbe affrontato le conseguenza degli avvenimenti accaduti
durante la crociera e quali sarebbero potute essere le sue
considerazioni di fronte al nuovo lato che ha scoperto della cugina,
alle rivelazioni su Undertaker e infine sull’onnipresente
Sebastian che questa volta si è mostrato in
difficoltà. Spero che possiate apprezzare il mio tentativo!
Grazie di cuore a
chiunque mi farà avere la sua opinione! Ogni commento o
critica sono ben accetti!
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Amen
- E così sia -
Il
silenzio regnava tra le grandi stanze del maniero, interrotto solo a
tratti da lievi e brevi fruscii o dal suono lontano di passi che si
spostavano sui ludici pavimenti di marmo. Ogni cosa era in perfetto
ordine, non un solo granello di polvere ne deturpava la superficie: i
dipinti appesi alle pareti, i mobili lignei, le fini decorazioni, i
libri della biblioteca privata, tutto era come avvolto da un
incantesimo tanto inumano quanto lo era chi lo aveva creato. Persino il
giardino pareva partecipare a quella strana stasi: non un alito di
vento che muovesse le foglie o un animale che facesse sentire il suo
richiamo. Seduto all’imponente scrivania del suo studio,
circondato da pile ordinate di documenti, accuratamente divisi per
priorità, alcuni già compilati e altri ancora da
supervisionare, Ciel giocherellava pigramente con la raffinata penna
stilografica che teneva in mano. Aveva dato alla servitù un
giorno di riposo, inviando i Meyrin, Bard e Finnian a spendere una
giornata lontano dal maniero. Aveva bisogno di riflettere e quindi
necessitava un po’ di silenzio, cosa che non si poteva
ottenere con quei tre combinaguai nelle vicinanze. Ma ora che
c’erano soltanto lui, Tanaka e, ovviamente, Sebastian, la
villa sembrava quasi disabitata e la sua pace era turbata solo dai loro
respiri.
Il giovane lord
appoggiò la penna sul piano ligneo, mentre un sospiro
sfuggiva alle sue labbra pallide. Era passata poco più di
una settimana dal naufragio della Campania ma tra un impegno e
l’altro non era ancora riuscito a trovare un momento per
rielaborare ciò che era accaduto a bordo della crociera. Si
era dovuto assicurare, come esigevano le apparenze, che tutti
i suoi conoscenti fossero tornati sani e salvi alle loro
proprietà e poi aveva dovuto redigere un rapporto
dettagliato per la Regina. Il tutto era stato complicato dalla costante
presenza di Elizabeth che lo aveva assillato per giorni, senza quasi
mai dargli un attimo di pausa. A poco era servito spiegarle che lui
stava bene e che era molto, troppo
occupato per badarle. La sua promessa aveva comunque insistito per
restare al maniero fino a due giorni prima, affermando che era il suo
dovere di futura sposa assicurarsi che lui fosse veramente in forma.
Quando si era svegliata e non l’aveva trovato con
sé sulla scialuppa, aveva temuto di averlo perso di nuovo
nonostante tutti i suoi sforzi. Ciel poteva capire la sua
preoccupazione e la sua ansia, ma continuava a reputarle
un’esagerazione. E poi aveva il sospetto che la cugina
volesse assicurarsi che nulla fosse cambiato tra loro dopo che lei
aveva rivelato la sua abilità nella scherma,
capacità che poco si intonava con il ruolo della fidanzata
dolce e carina che si ostinava a recitare.
Per
l’ennesima volta il conte non poté, suo malgrado,
non soffermarsi a pensare a quanta impressione gli aveva fatto vederla
combattere senza esitazione gli zombie. Mai l’avrebbe creduta
capace di una cosa simile. Aveva sempre visto Elizabeth come una
ragazzina frivola e molto emotiva e scoprire quel suo lato combattivo
aveva fatto vacillare l’immagine che aveva della sua
promessa, anche se non avrebbe saputo dire se era un bene o un male.
Infatti da un lato si era sentito quasi orgoglioso di lei
perché la cugina gli aveva dimostrato di saper badare a
sé stessa e di non essere solo una ragazzina infantile e
capricciosa come spesso si mostrava. Ma dall’altro sapeva che
Lizzy si era impegnata tanto non per sua soddisfazione personale o per
sua volontà, ma per compiacere la sua famiglia e per
dimostrare di essere la moglie perfetta per il conte Phantomhive.
Insomma, ancora una volta non aveva scelto con la sua testa e aveva
pensato solo a diventare quello che gli altri volevano che lei fosse. E
quella era una delle cose che più lo infastidivano in
Elizabeth. Tenere le apparenze in pubblico era un conto, un obbligo
fastidioso ma inevitabile a cui nemmeno lui poteva sottrarsi,
tutt’altra cosa era l’annullare sé
stessi per seguire le convenzioni, perdere il proprio pensiero critico
e sacrificare ad esse la propria indipendenza. Era qualcosa
di inaccettabile dal suo punto di vista. Se da una parte poteva dirsi
forse colpito da quella rivelazione, dall’altro essa non
aveva fatto altro che confermare quello che lui aveva capito ormai da
tempo sulla personalità della sua fidanzata.
Ciel si
alzò, abbandonando noncurante i fogli che ancora
richiedevano la sua attenzione, e andò a mettersi di fronte
al vetro della grande finestra, osservando distrattamente il giardino
silenzioso. Elizabeth era la minore delle sorprese che aveva avuto
durante il viaggio a bordo della nave. Ancora una volta si era trovato
di fronte agli abissi a cui potevano condurre la follia e la debolezza
umane, che gli avevano offerto un raccapricciante spettacolo di morte e
sangue, tutto sapientemente manovrato da quello che aveva creduto una
sua vecchia conoscenza ma che si era rivelato ben altro. Undertaker era
uno shinigami, un disertore da quanto aveva sentito dire al rosso e
all’altro dio della morte che era con lui. Quando il becchino
aveva respinto Grell e si era scostato i capelli dalla fronte, il
giovane conte aveva capito di essersi lasciato completamente ingannare
dalle apparenze, di non aver saputo andare oltre le
profondità dell’insana e inquietante superficie
che Undertaker gli aveva mostrato in tutti quegli anni. Si era
dimostrato ancora più perverso e malato di quanto lui avesse
pensato possibile, pronto a sottomettere tutto senza l’ombra
di un rimorso o di uno scrupolo di coscienza, a sacrificare vite
innocenti ai suoi scopi, o peggio ancora alla sua personale curiosità.
Avvertì un picco di nausea torcergli lo stomaco al ricordo
dell’allegria e della leggerezza che avevano riempito la voce
del suo ex-informatore quando aveva parlato delle sue
“bambole bizzarre” come la cosa più
bella mai creata. Descrivere con una tale espressione dei mostri senza
altro scopo se non la brama di uccidere, alla ricerca incessante
dell’anima che mancava loro e che mai avrebbero potuto
riguadagnare, creature figlie dell’essenza più
nera della disperazione. Da quale mente degenerata poteva nascere una
simile idea?
La sua mano
tremante si infilò nella tasca dei suoi pantaloni a sfiorare
i medaglioni funerari che il becchino gli aveva lasciato prima di
sparire nella confusione della nave che iniziava ad affondare.
Undertaker aveva assunto un’espressione quasi sconvolta
quando si era reso conto di averli persi, ma, non appena i loro occhi
si erano incrociati e il suo ex-informatore si era accorto che li aveva
presi al volo proprio lui, il suo volto si era rilassato e aveva
perfino sorriso in quel suo modo perturbante. Per un attimo Ciel aveva
avuto l’impressione di vedere un guizzo di soddisfazione
negli occhi dello shinigami, quasi fosse stato contento di
quell’evento inaspettato. Poi gli aveva annunciato che si
sarebbero rivisti e che quindi lui doveva conservare con cura i
pendenti che aveva definito come il suo “tesoro”.
Strinse le dita intorno al metallo freddo. Sentiva che il giorno del
loro prossimo incontro non era lontano e fremeva di impazienza, sebbene
non potesse nascondere a sé stesso di provare anche ansia al
pensiero. Quel pazzo aveva molte cose da spiegargli, soprattutto
riguardo al suo accenno alla “massa di eccentrici”
per i quali il becchino aveva sperimentato il potere delle sue
“bambole”. Ma lui voleva anche saperne di
più sul passato di Undertaker, sul perché aveva
fosse diventato un disertore, nonostante si fosse già fatto
alcune idee sulla base alle affermazioni che lo shinigami aveva fatto e
su quel poco che pensava di aver capito di lui, almeno per quanto
riguardava le motivazioni personali del suo ex-informatore. E inoltre
voleva capire cosa esattamente Undertaker volesse da lui. “Sembra che, nonostante tutto, tu
sia riuscito solo rendere il conte miserabile. Quindi forse
è meglio che io ti faccia scomparire”.
La voce del becchino gli rimbombò chiara nella testa. Cosa
gli importava dove il suo contratto con Sebastian lo stava conducendo?
Che cosa aveva voluto dire veramente con quelle parole? Per il momento
anche quelle domande sarebbero rimaste senza risposta.
Ciel emise un
altro sospiro. In fondo quelle riflessioni a cui aveva tanto
disperatamente cercato di dare spazio non lo stavano conducendo ad
alcun risultato. Non aveva nulla in mano, solo congetture e dubbi.
Aveva sbagliato a credere di avere un minimo controllo sulle persone
che lo circondavano. Si stava rendendo conto che sapeva davvero poco di
chi erano veramente e di che cosa pensavano di lui. I suoi occhi
vagarono sul paesaggio che aveva di fronte, mentre la sua mente si
prendeva una pausa da quei pensieri tormentati. Come potessero il prato
e la vegetazione essere ancora così belli e rigogliosi dopo
aver sopportato tutti i danni che Finnian regolarmente combinava era un
mistero. Un sorrisetto ironico gli si aprì sul volto. Per
chiunque tranne che per lui, naturalmente. Perché lui
conosceva benissimo il nome di quel mistero, l’aveva
battezzato lui stesso all’inizio e tale sarebbe rimasto per
tutto il tempo che gli era concesso. Sebastian, il suo perfetto
maggiordomo, la sua spada infallibile, la sua pedina più
preziosa. Ma anche il suo demone, l’onnipresente incarnazione
della sua debolezza, l’ombra che gli ricordava costantemente
dell’abisso in cui era destinato a cadere una volta ottenuta
la sua vendetta. Eppure la creatura restava l’unico per
quanto evanescente punto fisso che aveva. Ci sarebbe stato fino alla
fine, sempre e comunque, in ogni situazione, senza mai esitare, senza
mai mentire.
Il giovane conte
fece una smorfia, ritraendosi dalla finestra. Sapeva bene dove quei
pensieri lo avrebbero condotto, a quali scomode e spinose conclusioni.
Quella era la parte di riflessioni che avrebbe preferito evitare, ma
continuare a far finta di nulla e ignorare ciò che ormai ai
suoi occhi era evidente sarebbe stato da stolti. E lui non lo era. Da
quando i suoi genitori erano stati assassinati e lui era stato rapito,
aveva dovuto imparare a fronteggiare la realtà, per quanto
terribile o scomoda potesse essere. Mentire a sé stesso non
lo avrebbe portato da nessuna parte. Se voleva sopravvivere e
perseguire il suo obiettivo non doveva nascondersi niente, doveva
affrontare tutto ciò che gli si presentava a testa alta,
guardandola dritto negli occhi. Il rapporto che legava lui e Sebastian
non era più lo stesso che avevano creato al momento della
stesura del contratto, in quella notte maledetta che puzzava di sangue.
O, almeno, era cambiato per quanto riguardava lui. Gli costava
ammetterlo, ma non poteva più negarlo. Era già da
qualche settimana che la sua mente indugiava su quel pensiero, ma solo
con gli eventi della Campania ne aveva avuto una prova tangibile. Mai
come durante lo scontro contro Undertaker aveva avuto paura per
qualcuno, e mai avrebbe creduto possibile di poter provare tanta ansia
e pena per quello che avrebbe dovuto essere solo un semplice strumento
nelle sue mani. E invece quando aveva visto Sebastian sotto di
sé, con gli occhi chiusi, il petto squarciato dalla falce
del becchino e il sangue che si espandeva in tutte le direzioni, aveva
sentito un gelido terrore invadere ogni angolo del suo animo. Per un
attimo che era durato un’angosciante eternità
aveva temuto di averlo perso, di essere stato nuovamente abbandonato a
sé stesso, di essere rimasto ancora una volta solo di fronte
al mondo. Non aveva potuto evitarsi di urlare il suo nome, disperato,
mandando a quel paese ogni apparenza e contegno.
Ciel si
passò una mano sul volto, appoggiando l’altra allo
schienale del suo scranno. Era stato imbarazzante, si era
volontariamente umiliato davanti ai suoi nemici. Il conte Phantomhive,
il cane da guardia della Regina, non avrebbe mai dovuto mostrare simili
debolezze, soprattutto mai per un semplice maggiordomo. E il fatto di
essere ancora praticamente un bambino non era un’attenuante.
Anzi, proprio perché era ancora così giovane non
avrebbe dovuto mostrare in nessun modo segni di cedimento. Poteva solo
ringraziare che nella confusione e nella foga dello scontro, nessuno
aveva prestato troppa attenzione al suo comportamento inadeguato. Le
sue dita arrivarono a sfiorare la benda che gli copriva
l’occhio con il contratto. Ma più
dell’atteggiamento che aveva avuto ciò che lo
disturbava erano le emozioni e i motivi che stavano dietro di esso.
Perdere Sebastian avrebbe voluto dire perdere l’ultima
certezza che guidava i suoi passi, il suo ultimo appiglio sulla
realtà, la mano che lo tratteneva dal cadere
nell’abisso della follia e dell’impotenza.
All’inizio aveva creduto che sarebbe bastato il pensiero
della vendetta a farlo andare avanti, ma troppo presto si era reso
conto che non era così, che si era solo illuso che fosse
sufficiente. Aveva sentito la necessità di
qualcos’altro a cui ancorare le sue reti di menzogne, di un
posto sicuro dove nascondere le sue strategie di gioco, di qualcuno che
spianasse per lui la strada sulla scacchiera e lo sostenesse durante la
partita. E ovviamente non aveva potuto far altro che rivolgersi
all’unica persona che non poteva tradirlo, neanche volendo,
dandole sempre più importanza fino a farne il centro del suo
mondo in rovina. Ora non riusciva neanche a concepire la sua vita senza
quell’ombra corvina che lo avvolgeva. Tre anni prima aveva
voltato le spalle alla prospettiva di una vita felice per poter
compiere la sua vendetta. Ora, anche se avesse desiderato ritrattare
quella scelta, non avrebbe potuto perché non c’era
più posto per la luce in un’esistenza che ruotava
intorno alle tenebre.
Il giovane lord
scosse il capo con un sorriso amaro, le dita che iniziavano a scostare
la benda. Non era finita lì. Aveva messo in conto che prima
o poi il padrone avrebbe potuto affezionarsi al suo cane, era forse
quasi inevitabile,
ma lui stava rischiando di andare ben oltre. Sebastian si era imposto
con un sostituto di tutte le figure che erano venute a mancare nella
sua vita. Aveva preso il posto dei suoi genitori, assumendo il ruolo di
suo protettore, e Ciel non poteva fare a meno di considerarlo come una
sorta di “famiglia” per lui, soprattutto da quanto
era morta Madame Red, anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno
sotto tortura. In più, in quanto suo maggiordomo, era la
persona che lo conosceva più di chiunque altro ed era
diventato, seppure contro la volontà di Ciel, una sorta di
confidente, disposto ad accogliere ogni segreto, fino al più
sporco e intimo, senza mai criticarlo. Lo giudicava e si divertiva a
vederlo in quei momenti di debolezza, il conte riusciva a leggerlo in
quelle iridi scarlatte, ma non aveva mai tentato di imporgli il suo
parere. Stava in silenzio, a meno che non gli fosse chiesto di parlare,
e in quei momenti il conte, sforzandosi di ignorare quello sguardo
famelico e provocatorio al tempo stesso, sentiva che avrebbe potuto
liberarsi di ogni peso senza conseguenze, se solo lo avesse voluto. Non
esisteva più un’altra persona a cui lo avrebbe
potuto concedere la fiducia illimitata che dava al demone. Sebastian
aveva anche sostituito Elizabeth, in un certo senso. Quando era
piccolo, prima che il suo mondo andasse in pezzi, la cugina era
l’unica persona che lui riuscisse ad immaginare al suo fianco
nel futuro, non solo come moglie, ma anche come amica e compagna di
vita. Adesso che sapeva che non ci sarebbe stato nessun futuro, la sua
mente concepiva solo i pochi anni che aveva a disposizione dominati
dalla presenza del suo maggiordomo infernale e di nessun altro. E
così, al di là del disprezzo, della rabbia e del
desiderio di rivalsa che provava per il demone era fiorito
qualcos’altro, qualcosa che lui non avrebbe saputo, e che
soprattutto non voleva, definire. Una sensazione di crudo calore tra il
gelo della sua vita, una calma instabile ma che gli dava sicurezza.
Lanciò
uno sguardo al suo riflesso nel vetro, il contratto che brillava
impresso indelebilmente nella sua iride, mentre la benda nera giaceva a
terra, dimenticata. Finché ci sarebbe stato Sebastian il
buio in cui viveva sarebbe stato una notte eterna ma protetta dai
pericoli esterni, a cui lui doveva solo abbandonarsi. Di questo non
poteva dubitare, la conferma era sempre a sua disposizione, gli bastava
prendere uno specchio e aprire entrambi gli occhi.
Un leggero
bussare lo strappò di colpo alle sue riflessioni,
riportandolo bruscamente al presente. Ciel si affrettò a
chinarsi per raccogliere benda, mentre borbottava un impacciato:
“Avanti”. Non aveva bisogno di chiedere chi era,
avrebbe riconosciuto quel tocco fra mille. Quel pensiero lo
turbò e le sue dita tremarono per un attimo impedendogli di
allacciare dietro la testa i lembi di stoffa, che quasi gli sfuggirono
di mano.
Sebastian
sollevò lievemente un sopracciglio con fare indagatore,
fissando i suoi occhi cremisi sui movimenti goffi e maldestri con cui
il suo signorino tentava di ricoprire l’occhio con il
contratto, senza ottenere dei buoni risultati. Con un sospiro paziente
lasciò la presa sul carrello su cui era appoggiata la
merenda che aveva appena finito di preparare e si portò
dietro il conte, sfilandogli i lacci dalle mani e provvedendo a
sistemare la benda con pochi gesti precisi. Ciel si sentì
avvampare, anche se non avrebbe saputo dire se era imbarazzato per la
figuraccia o per le sue riflessioni di poco prima.
“Perché
vi siete tolto la benda, se posso chiedere, signorino?”
domandò il demone, scostandosi per iniziare a servire il
tè. “Ho scelto forse un momento poco opportuno per
venire da voi?”.
Al conte non
sfuggì il lampo divertito che attraversò gli
occhi del maggiordomo nonostante le parole rispettose. Sapeva bene che
era solo una farsa. “Non l’ho slacciata io. Il nodo
si è sciolto da solo” mentì, con un
tono sprezzante. “Probabilmente non sei stato abbastanza
attento quando l’hai legato stamattina”.
“Davvero?
Oh, cielo. Eppure ero certo di averlo fissato alla
perfezione” rispose l’altro assumendo
un’espressione fintamente sorpresa. I bordi delle sue labbra
si piegarono leggermente all’insù.
“Spero che possiate perdonarmi questa svista,
signorino”.
Ciel
sventolò una mano, sedendosi alla scrivania e scostando i
fogli per far spazio alla tazza fumante che gli veniva offerta.
“Non importa” borbottò, ignorando il
ghigno che si era dipinto sulle labbra di Sebastian. Maledetto. Si
divertiva un mondo a prenderlo in giro. “Fa’ quello
che devi e poi lasciami solo. Ho del lavoro da finire”.
“Come
desiderate” fu la risposta seguita da un breve inchino.
Il conte
osservò attentamente il demone mentre si affaccendava a
tagliare una fetta di torta al cioccolato e a decorarla, cercando di
concentrarsi solo su quello che stava guardando per impedire alla sua
mente di approdare di nuovo ai pensieri che era stata costretta a
lasciare. Non poteva rischiare che Sebastian cogliesse anche solo una
traccia di quelle sue riflessioni. Sapeva che la creatura lo stava
studiando anche se poteva non sembrare, che aveva capito che qualcosa
lo turbava. Non gli sfuggiva mai nulla del suo stato d’animo.
Il maggiordomo
demoniaco finì di preparare il piatto e lo
appoggiò di fronte a Ciel, prima di inchinarsi nuovamente e
avviarsi verso la porta con il carrello.
“Aspetta!”.
La voce di Ciel invase la stanza, improvvisa, sorprendendo entrambi.
Il demone
tornò a voltarsi, in attesa di ordini, con lo stesso sguardo
inquisitore che aveva assunto quando era entrato, mentre il giovane
lord si sentiva arrossire di nuovo. Che diamine gli era preso?
Perché lo aveva richiamato? Le sue labbra si erano mosse
contro la sua volontà. Il
centro del suo mondo erano quelle iridi insanguinate.
Abbassò gli occhi. Non era proprio la sua giornata. E
adesso? Perché non gli diceva che non era nulla e lo
congedava? Non gli era
rimasto nessun altro al mondo, nessun altro per cui valesse la pena di
fare lo sforzo di fidarsi. Era la cosa giusta da fare.
Eppure non riusciva ad aprire bocca. Quell’essere era tutto
per lui.
“Signorino?”
domandò Sebastian, quasi interdetto, senza sapere bene come
interpretare quel silenzio da parte del suo padrone. Lo
studiò attentamente, soffermandosi sul suo occhio
inquieto e sulle guance ancora lievemente arrossate.
L’umano era decisamente strano quel giorno. Aveva congedato
tutti i servitori e si era chiuso nel suo studio fin dalla mattina,
uscendo solo per il pranzo. E ora quel comportamento inspiegabile.
Alla fine Ciel
parve prendere coraggio, anche se non alzò lo sguardo che
aveva affondato nel suo tè. “Ho cambiato
idea” proferì piano, dandosi al tempo stesso
dell’idiota per quello che stava per dire. Undertaker aveva
ragione, quello che avrebbe dovuto essere il suo cane lo aveva reso
proprio un miserabile. “Resta finché non ho finito
con questi documenti”. Indicò un punto vicino a
lui, poco dietro lo scranno.
Il demone rimase
in silenzio per un attimo, preso alla sprovvista da quella richiesta,
ma immediatamente sulle sue labbra si formò un sorrisetto
divertito. “Yes,
my Lord” mormorò, portandosi una mano
al petto prima di andare a posizionarsi dove gli era stato indicato.
Quel ragazzino non finiva mai di stupirlo. Ma in fondo quello era
proprio uno dei motivi per cui aveva imparato ad apprezzare la vita che
faceva al suo fianco.
Ciel per
l’ennesima volta ignorò la sua reazione e riprese
a leggere i documenti, sorseggiando la bevanda calda. Percepiva
chiaramente la presenza del maggiordomo al suo fianco, immobile e
silenzioso, e sapeva che lo stava guardando anche senza bisogno di
voltarsi. Fu tentato di ordinargli di non fissarlo, ma alla fine non lo
fece. In fondo avvertire su di sé quello sguardo intenso era
un’inquietante rassicurazione condita di dubbi e incertezze,
di domande senza risposta e sentimenti scomodi. Così erano
destinati ad essere. Vicini tanto da potersi sempre sfiorare ad ogni
respiro, ma al tempo stesso troppo diversi e troppo distanti per
congiungersi veramente. E
così dovevano restare fino al sopraggiungere della fine.
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